domenica, Dicembre 22, 2024

Padre James Martin: come possono le parrocchie accogliere le persone LGBT?

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).
Intervento di padre James Martin SJ all’InconItro Mondiale delle Famiglie di Dublino, pubblicato sul sito del settimanale gesuita America (Stati Uniti) il 23 febbraio 2018, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro.
 
Una delle nuove sfide che attendono le parrocchie cattoliche è l’accoglienza dei parrocchiani LGBT e delle famiglie con persone LGBT al loro interno. È una sfida dove abbonda la Grazia, perché le persone LGBT cattoliche si sono sentite escluse dalla Chiesa per così tanto tempo che una qualsiasi esperienza di accoglienza può cambiare loro la vita, può essere un tocco guaritore che le convince a frequentare di nuovo la Messa, tornare alla fede o anche credere di nuovo in Dio.

Negli ultimi anni ho sentito storie aberranti di persone LGBT cattoliche che sono stati respinte dalle parrocchie. Un omosessuale autistico di trent’anni d’età, che aveva fatto coming out con la famiglia e non aveva nessuna relazione sentimentale, mi disse che un assistente alla pastorale era arrivato a dirgli che non poteva più ricevere la Comunione in chiesa. Perché? Perché essere gay costituiva uno scandalo.

Ma la crudeltà non si ferma alla porta delle chiese. L’anno scorso una donna mi contattò per chiedermi se conoscevo “un prete compassionevole” nella sua arcidiocesi. Perché? Era infermiera in una casa di cura e un paziente cattolico stava morendo; il sacerdote assegnato alla casa di cura, però, si rifiutava di somministrargli il viatico, perché era gay.

C’è da stupirsi che molte persone LGBT cattoliche si sentano dei lebbrosi nella Chiesa?

La stessa cosa vale per le famiglie. La madre di un adolescente gay mi disse che suo figlio aveva deciso di tornare in chiesa dopo anni di allontanamento, perché sentiva che la Chiesa lo odiava. Dopo molte discussioni, decise di tornare in occasione della Pasqua. Sua madre era euforica. La Messa cominciò e la donna era entusiasta di avere suo figlio accanto a sé. Ma dopo che il sacerdote aveva proclamato la Resurrezione di Cristo, indovinate un po’ l’argomento dell’omelia? Il male dell’omosessualità. Il ragazzo si alzò e uscì dalla chiesa. Sua madre rimase al banco, a piangere.

Ma nella nostra Chiesa ci sono anche storie di Grazia. L‘anno scorso uno studente universitario mi disse che la prima persona con cui aveva fatto coming out era un sacerdote. La prima cosa che questi gli disse fu “Dio ti ama e la Chiesa ti accetta”. Il giovane mi disse “Questo mi ha letteralmente salvato la vita”. Dovremmo in effetti essere felici che un sempre maggiore numero di parrocchie cattoliche siano dei luoghi in cui le persone LGBT cattoliche possono sentirsi a casa, grazie ai sacerdoti, ai collaboratori parrocchiali e ai vari programmi pastorali.

La mia comunità gesuita di New York si trova vicino a una parrocchia intitolata a San Paolo Apostolo, che propone uno dei programmi pastorali LGBT più attivi del mondo. Questo ministero si chiama Out at St. Paul (Allo scoperto nella parrocchia di San Paolo) e propone ritiri, studi biblici, conferenze e feste per la grande comunità LGBT parrocchiale. Ogni domenica, alla Messa delle 17.15, al momento degli annunci una persona LGBT sale sul pulpito e dice “Ciao! Sono Jason, o Xorje, o Marianne, e sono membro di Out at St. Paul. Se sei lesbica, gay, bisessuale o transgender, vogliamo che tu ti senta accolto/a. Ecco alcuni appuntamenti della settimana entrante”. Ho appena saputo che due membri di questo gruppo quest’anno prenderanno i voti religiosi.

Purtroppo, gran parte della vita spirituale delle persone LGBT cattoliche e delle loro famiglie dipende da dove hanno in sorte di vivere. Se sei gay, lesbica, bisessuale o transgender e stai cercando di dare un senso alla tua relazione con Dio e la Chiesa, oppure sei un genitore di una persona LGBT, e vivi in una grande città, dove ci sono sacerdoti di mente aperta, allora sei fortunato. Ma se vivi in un luogo dalla mentalità più chiusa o se il tuo parroco è più o meno apertamente omofobo, sei sfortunato. E il modo in cui un cattolico viene accettato o meno dalla sua parrocchia influenza il suo modo di considerare non sono la Chiesa, ma anche la fede e Dio.

Questo è il vero scandalo. Perché la tua fede dovrebbe dipendere da dove vivi? È questo che Dio desidera per la Chiesa? Gesù forse voleva che la gente di Betania sperimentasse l’amore di Dio meno di quella di Betsaida? Forse voleva che una donna di Gerico si sentisse meno amata di una donna di Gerusalemme?

Cosa può aiutare una parrocchia a sviluppare l’accoglienza e il rispetto? Come possono i sacerdoti e i diaconi, le religiose e i religiosi, i responsabili del catechismo, gli assistenti laici alla pastorale e tutti i parrocchiani aiutare la loro parrocchia a essere una casa per le persone LGBT cattoliche e le loro famiglie?

Le seguenti osservazioni si basano non solo sulle mie conversazioni con le persone LGBT, ma anche sulla mia esperienza con i ministeri e i gruppi LGBT che ho consultato per questa occasione. Ho chiesto loro: quali sono le cose più importanti che le parrocchie dovrebbero conoscere e fare?

Vorrei sviluppare tre punti. Primo, quali sono le cose basilari che una parrocchia dovrebbe sapere? Secondo, cosa può fare una parrocchia per sviluppare l’accoglienza e il rispetto? Infine, cosa potrebbe dire il Vangelo su questo ministero? Cominciamo con sei concetti base.

1) Sono cattoliche. Sembra ovvio, ma le parrocchie non devono dimenticare che i parrocchiani LGBT e le loro famiglie sono stati battezzati cattolici. Fanno parte della Chiesa tanto quanto papa Francesco, il loro vescovo o il loro parroco. Non si tratta di farli diventare cattolici: lo sono già. Perciò, la cosa più importante che possiamo fare per le persone LGBT cattoliche è accoglierle in quella che è già la loro Chiesa. E ricordatevi bene: solo per rimanere nella Chiesa, molte persone LGBT hanno sopportato anni di rifiuti. La nostra accoglienza dovrebbe riflettere questo ed essere, come dice il Vangelo di Luca, “una buona misura, pigiata, scossa e traboccante”.

2) Non hanno scelto il loro orientamento. Purtroppo, molti ancora credono che si possa scegliere il proprio orientamento sessuale, nonostante la testimonianza di quasi tutti gli psichiatri e i biologi, e soprattutto l’esperienza vissuta delle persone LGBT. Non si sceglie il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere, non più di quanto si scelga di essere mancini. Non è una scelta, e non è una dipendenza: il semplice essere LGBT, quindi, non è peccato, ancora meno è qualcosa a cui dare la colpa a qualcuno, come i genitori.

3) Sono spesso stati trattate come lebbrosi dalla Chiesa. Non sottovalutate mai il dolore delle persone LGBT, causato non solo dalla Chiesa, ma dalla società nel suo complesso. Alcune statistiche possono essere utili: negli Stati Uniti, i giovani e le giovani lesbiche, gay e bisessuali hanno una probabilità cinque volte maggiore di tentare il suicidio rispetto ai giovani e alle giovani eterosessuali. Il 40% delle persone transgender negli Stati Uniti ha tentato il suicidio. Tra i giovani LGBT statunitensi, il 57% non si sente al sicuro per via del suo orientamento. Uno studio ha dimostrato che, più la famiglia di un giovane LGBT è religiosa, più è probabile che questi tenti il suicidio. Molti giovani LGBT vivono in strada perché sono stati rifiutati dalle loro famiglie per motivi religiosi. Le parrocchie devono essere consapevoli delle conseguenze della stigmatizzazione delle persone LGBT.

Molte persone LGBT cattoliche sono state profondamente ferite dalla Chiesa, derise, insultate, escluse, condannate, prese di mira, in privato o dal pulpito. Alcune di loro non hanno mai sentito pronunciare i termini “gay” o “lesbica” in tono neutro, tanto meno in tono positivo. Magari non hanno mai sentito commenti spregiativi in parrocchia, ma li hanno sentiti da vescovi o altri eminenti cattolici. Fin dall’inizio della loro vita da cattolici si sono spesso sentite degli errori. Hanno paura del rifiuto, del giudizio e della condanna da parte della Chiesa; spesso sono le uniche cose che da lei si aspettano, e questo può portarle all’autoemarginazione.

La situazione e il dolore dei genitori di persone LGBT sono simili. C’è un adagio che recita: “Quando un figlio esce dal nascondiglio, un genitore entra nel nascondiglio”. Accettare la realtà dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere di un figlio o una figlia può confondere, spaventare o imbarazzare i genitori, che possono provare vergogna di fronte a parenti e amici. Un figlio o una figlia che dice di essere omosessuale o transgender può causare in un genitore non solo la sensazione di aver in qualche modo sbagliato, ma anche la paura di venire isolato, giudicato ed escluso dalla Chiesa; talvolta i genitori pensano di dover scegliere tra il figlio o la figlia e Dio, o si preoccupano che possa abbandonare una Chiesa che apparentemente lo rifiuta. Per questo le parrocchie devono far sapere a genitori e famiglie che sono sempre i benvenuti, che non hanno nulla da temere dalla Chiesa e che la Chiesa è casa loro.

4) Portano doni alla Chiesa. Come tutti gli altri gruppi, le persone LGBT portano doni speciali alla Chiesa. È importante non generalizzare, ma quando si tratta di un gruppo che è stato considerato dalla Chiesa quasi esclusivamente sotto una luce negativa, è importante prendere in considerazione i suoi molti doni. Per cominciare, essendo state perlopiù emarginate, molte persone LGBT sentono una spontanea compassione per chi vive ai margini. La loro compassione è un dono. Spesso sono pronte a perdonare sacerdoti e vescovi che le hanno trattate come spazzatura. La loro disponibilità a perdonare è un dono. Perseverano nella fede cattolica a dispetto di anni di rifiuti. La loro perseveranza è un dono.

Di recente, alcune istituzioni cattoliche statunitensi hanno licenziato delle persone LGBT che si erano legalmente sposate. Quello che tali situazioni hanno in comune è sempre stato un enigma per me: ogni volta che ho sentito una di queste storie, era sempre l’insegnante, il collaboratore o il direttore del coro “più amato” della parrocchia: mi chiedevo perché queste persone fossero sempre “le più amate”. Poi ho capito perché: le persone LGBT che lavorano per la Chiesa lo fanno perché vogliono davvero stare lì, nonostante il modo in cui vengono trattate. Rimangono fedeli al loro ministero nonostante il rifiuto di cui sono vittime. Vale la stessa cosa per i parrocchiani LGBT: decidono consciamente di rimanere nella Chiesa; perseverano. Quindi, quando pensate ai loro doni, potreste avere la stessa reazione di Gesù di fronte al centurione romano: stupore dinanzi alla loro fede.

5) Anelano a conoscere Dio. Come accade a molti cattolici, molte persone LGBT hanno dei problemi con alcuni aspetti dell’insegnamento della Chiesa: per esempio, l’espressione “intrinsecamente disordinati”. Ma non tutte si impuntano sulle parti problematiche della Tradizione, come si potrebbe pensare. Molte di loro vogliono qualcosa di molto più semplice: sperimentare l’amore del Padre nella comunità. Incontrare Gesù Cristo nell’Eucarestia. Vivere lo Spirito Santo nei sacramenti. Ascoltare buone omelie, cantare begli inni e sentirsi parte di una comunità di fede. Trattatele in questo modo, non come degli importuni, ma come dei parrocchiani. Aiutate le persone LGBT e le loro famiglie ad adempiere al loro più profondo desiderio: conoscere Dio.

6) Sono amate da Dio. Dio le ama, e dovremmo amarle anche noi, e non di un amore avaro, obtorto collo, pieno di giudizi e di condizioni, solo con una parte del cuore: intendo di amore vero. E cosa significa amore vero? La stessa cosa che significa per chiunque: conoscerle nella complessità della loro vita, festeggiare con loro i momenti belli, soffrire con loro le amarezze, come farebbe un amico. E dirò di più: amarle come Gesù amava gli emarginati: follemente ed eccentricamente.

Tenendo presenti questi punti, come deve fare una parrocchia per essere più accogliente? Come possiamo trattare le persone LGBT esercitando le virtù raccomandate dal Catechismo: “rispetto, compassione e sensibilità”? Voglio suggerire dieci punti. Ovviamente questi suggerimenti devono essere adattati alla vostra parrocchia: sono solo dei canovacci. Ogni parrocchia dovrà sviluppare il suo proprio modello.

1) Esaminate i vostri atteggiamenti nei confronti delle persone LGBT e delle loro famiglie. Pensate che una donna viva nel peccato perché lesbica, o che sia più incline al peccato di una donna eterosessuale? Pensate che i genitori siano “responsabili” dell’orientamento sessuale di un adolescente gay? Pensate che una certa persona sia transgender solo perché esserlo è “di moda”? Altra domanda: se nessuno, o pochissime persone, vi hanno detto di essere LGBT, quale pensate possa essere la causa?

E poi, nutrite atteggiamenti discriminatori nel vostro cuore? Per esempio, giudicate la comunità LGBT secondo i medesimi standard con cui giudicate le persone eterosessuali? Quando abbiamo davanti le persone LGBT, tendiamo a chiederci esclusivamente se si conformano pienamente alla morale sessuale cattolica. Fate la stessa cosa nei confronti dei vostri parrocchiani eterosessuali, con chi convive prima del matrimonio o pratica la contraccezione? Siate coerenti quando controllate le vite degli altri. I sacerdoti capiscono meglio le complesse situazioni delle persone eterosessuali, perché le conoscono. Ad esempio, anche se Gesù condanna senza appello il divorzio, la maggior parte delle parrocchie accoglie le persone divorziate. E noi, trattiamo le persone LGBT con la stessa comprensione?

Cosa potete fare di questi atteggiamenti? Siate aperti e sinceri, ma studiate i fatti sull’orientamento sessuale e l’identità di genere da fonti scientifiche e sociologiche, non i miti e i “si dice” da siti web omofobi e male informati. Poi parlate con Dio e con il vostro direttore spirituale a proposito dei vostri sentimenti, e rimanete aperti alla risposta di Dio. Invitate il vostro team pastorale a parlare dei loro sentimenti ed esperienze. Tutto questo ci conduce al prossimo punto.

2) Ascoltatele. Ascoltate le esperienze delle persone LGBT cattoliche, dei loro genitori e delle loro famiglie. Se non sapete cosa dire, potete chiedere: “Com’è stato essere un giovane gay nella nostra Chiesa?”, “Cosa vuol dire essere una lesbica cattolica?”. Una domanda importante è: “Cosa vuol dire essere una persona transgender?”. Sappiamo ancora poco dell’esperienza transgender, quindi è importante ascoltare. Invitate i genitori di persone LGBT a parlare con il vostro team pastorale, e chiedete: “Cosa vuol dire avere un figlio gay?”, “La Chiesa vi ha aiutati o feriti? In che modo?”, “Come è cambiato il modo in cui vedete Dio?”. Prestate attenzione a ciò che dicono, guardate di non utilizzare quel linguaggio che notoriamente trovano offensivo e inutilmente provocatorio, per esempio la parola “sodomia”. I nomi, le parole e la terminologia contano.

In generale, quando partecipate a un ministero LGBT o incontrate privatamente una persona LGBT, cominciate dalle loro esperienze. Abbiate fiducia che lo Spirito Santo guiderà la loro formazione di cristiani. Di fronte agli altri cattolici, ci guardiamo bene dal ripetere l’insegnamento della Chiesa senza prendere in considerazione la loro esperienza vissuta, quindi evitate di farlo con le persone LGBT. Prendete nota di come Gesù trattava chi viveva ai margini, per esempio la Samaritana: la castiga forse per essersi sposata più volte e per convivere con un uomo? No, la ascolta e la tratta con rispetto. Siate come Gesù: ascoltate, andate incontro, accompagnate. Se la Chiesa ascoltasse le persone LGBT, sparirebbero il 90% dell’omofobia e dei pregiudizi.

3) Valorizzate la loro presenza nelle omelie, presentatele come membri a pieno titolo della parrocchia, senza giudicarle come cattolici deviati. Le persone LGBT (nessuno, in realtà) non dovrebbero mai venire degradate o umiliate dal pulpito. Anche solo nominarle può essere un passo avanti. Qualche volta dico nelle mie omelie “Dio ci ama tutti e tutte, anziani o giovani, ricchi o poveri, eterosessuali o LGBT”. Anche una cosa così piccola può costituire un segnale, anche per i loro genitori, i loro nonni, i loro fratelli e sorelle, zie e zii. Forse non credete ci siano persone LGBT nella vostra parrocchia, ma certamente ci sono genitori o nonni di persone LGBT, e c’è qualcuno che ama le persone LGBT. Ricordate che, quando parlate delle persone LGBT, state parlando dei loro figli.

4) Scusatevi con loro. Se le persone LGBT cattoliche e le loro famiglie sono state danneggiate, in nome della Chiesa, da commenti, atteggiamenti e decisioni omofobe, presentate le vostre scuse. Qui mi rivolgo ai ministri della Chiesa. Sono state danneggiate dalla Chiesa, e voi siete ministri della Chiesa. Potete presentare le vostre scuse: non risolverà tutto, ma è un buon inizio.

5) Non riducete i gay e le lesbiche alla vocazione alla castità, che riguarda tutti noi cristiani. Le persone LGBT sono più della loro vita sessuale, ma alcuni sentono parlare solo di quella. Ricordate: non fissatevi sulla loro sessualità, interessatevi alle gioie e dei dolori della loro vita, perché le loro vite sono ricche. Molte persone LGBT cattoliche hanno figli o si occupano dei genitori anziani; altre si occupano dei poveri; altre ancora fanno vari tipi di volontariato. Spesso sono molto coinvolte nella vita della parrocchia. Guardatele nella loro totalità, e se parlate con loro di castità, fatelo come lo fareste parlando con una persona eterosessuale.

6) Coinvolgetele nei ministeri. Come ho detto prima, si tende a interessarsi troppo della moralità sessuale delle persone LGBT cattoliche, il che è sbagliato: prima di tutto, probabilmente non avete alcuna idea della loro vita sessuale; in secondo luogo, anche se sbagliano, non sono certo le sole. Il risultato è che le persone LGBT possono essere indotte a mentire e a pensare che in parrocchia non ci sia posto per loro. Come ogni altro parrocchiano che non vive all’altezza del Vangelo (vale a dire, tutti), anche le persone LGBT dovrebbero essere invitate a far parte dei vari ministeri: quello eucaristico, quello musicale, il lettorato, le visite a chi è in lutto, qualsiasi ministero. Oltretutto, non accoglierle nella Chiesa significa buttare via i loro doni. Se ne andranno lì dove sono accolte, dove potranno portare il loro essere tutto intero. Inoltre, chiedere a qualcuno che si è sentito tagliato fuori la sua vita tutta intera, la vita gliela cambia.

7)Valorizzate i loro doni individuali. Bisogna valorizzare non solo i doni che le persone LGBT portano alla Chiesa, ma anche i loro doni individuali. Per esempio, uno dei coristi della mia parrocchia gesuita è gay. È una persona gentile e compassionevole e da vent’anni la sua bella voce lo rende parte essenziale delle nostre Messe. È probabile ci siano persone così nella vostra parrocchia. Ricordate che è importante valorizzarle, lodarle, far loro sapere che contano. Non nascondete la loro lampada sotto il vostro secchio!

8) Invitate i responsabili della parrocchia ad accoglierle. Magari avete un parroco accogliente, ma gli altri? La persona che risponde al telefono sa cosa dire a una coppia lesbica che vuole battezzare suo figlio? In occasione dei funerali, il figlio gay del defunto è trattato allo stesso modo degli altri figli? L’insegnante della scuola cattolica come si comporta con i due padri che vengono a parlare della figlia? Come si comporta il diacono con il padre che chiede di celebrare il funerale del figlio gay? Gay e lesbiche vengono autorizzati a visitare una persona il cui coniuge è appena morto? La vostra parrocchia accoglie tutti i bambini, anche quelli delle coppie omosessuali? Questi ultimi vengono accolti nella scuola cattolica, all’oratorio e al catechismo? I responsabili della parrocchia conoscono bene l’insegnamento cattolico sulla non discriminazione? Hanno ricevuto una formazione pastorale adeguata?

La voce della parrocchia non si limita alla voce del parroco: è la voce di tutti. Mettiamola in questo modo: quando rifiuta ed esclude le persone LGBT, la Chiesa non è fedele alla sua vocazione ad essere la famiglia di Dio. Quando escludiamo le persone LGBT, noi mandiamo in frantumi la famiglia di Dio e facciamo a pezzi il Corpo di Cristo.

9) Organizzate eventi mirati, oppure un programma pastorale specifico. Come chiunque altro, le persone LGBT cattoliche vogliono sentirsi parte della Chiesa, e l’onere di accoglierle nella comunità spetta alla Chiesa, come per tutti i suoi figli e figlie. Purtroppo, per molte di loro, la Chiesa non è stata un luogo accogliente, perciò eventi mirati o programmi pastorali specifici possono essere utili per colmare la distanza tra le vostre buone intenzioni e la loro diffidenza.

Per quanto riguarda gli eventi, le possibilità sono molte: una Messa di benvenuto, un ritiro spirituale, una commemorazione, un circolo di lettura, una conferenza. Queste ultime non necessariamente devono riguardare le tematiche LGBT: per esempio, si può chiamare qualcuno perché parli ai parrocchiani LGBT della preghiera, o guardare un film su un argomento che necessita di chiarimenti, come l’esperienza delle persone transgender. Su quest’ultimo argomento la Chiesa deve imparare ancora molto, al pari della società tutta. Monsignor Christopher Coyne, vescovo di Burlington nel Vermont, ha detto: “Non vedo alcuna ragione per cui le persone transgender non dovrebbero essere accolte dalla Chiesa. Ci sono molte prove […] per cui gran parte [dell’identità di genere] è dovuta a fattori biologici; non è qualcosa che si fa semplicemente perché va di moda o per scelta culturale. Sono fatte così […] siamo tutti creature di Dio e vorrei invitare chiunque a venire alla mensa”.

Per quanto riguarda i programmi pastorali, ci sono molti modelli disponibili, da quelli in cui le persone LGBT parlano tra loro in privato a quelli dove incontrano gli altri parrocchiani, ai programmi educativi sul Magistero, fino ad approcci più olistici, dove il gruppo parla non solo di sessualità, ma anche di altre problematiche affrontate dalle persone LGBT, passando per i gruppi dedicati ai genitori, i gruppi che cercano di evangelizzare la comunità LGBT della zona oppure mettono in piedi un rifugio per giovani LGBT, i programmi che si occupano di tematiche LGBT in mezzo a molte altre di interesse per la parrocchia, il catechismo per gli adulti, i programmi di giustizia sociale, la pastorale giovanile: dipende da parrocchia a parrocchia.

Per quanto riguarda i genitori, quando le ho chiesto cosa avrei dovuto dire oggi, una madre mi ha detto: “La cosa più importante è offrire ai genitori uno spazio sicuro e accogliente per condividere la loro storia con altri genitori cattolici. Molti di loro si sentono soli e sono convinti che nessuno stia vivendo quello che vivono loro. È un sollievo conoscere genitori che stanno compiendo lo stesso viaggio […] Non vogliono che i loro figli siano equiparati agli alcolisti. Anche ascoltare commenti positivi dal pulpito sarebbe d’aiuto, invece di veder fare come se i loro figli non esistessero”.

L‘anno scorso la parrocchia gesuita dove celebro la Messa (non è certo una sorpresa che sia dedicata a Sant’Ignazio di Loyola) ha organizzato un gruppo serale per condividere la propria storia. Sono intervenuti sei membri della nostra parrocchia (tre uomini gay, la madre di un figlio gay, un padre e suo figlio adolescente gay) e hanno parlato della loro vita. Quella condivisione di gioie e dolori è stata un balsamo per loro e per l’intera parrocchia. Perché un balsamo per loro? Immaginate di essere stati estraniati dalla Chiesa tutta la vostra vita, e che poi vi abbiano chiesto di raccontare la vostra esperienza. Perché un balsamo per il resto della parrocchia? Perché ci ha riuniti tutti insieme in un modo che non avremmo mai osato immaginare.

10) Fate attivismo per la loro causa. Siate profetici. Ci sono molte occasioni in cui la Chiesa può essere una voce morale per questa comunità perseguitata. Non parlo di temi roventi come il matrimonio omosessuale, parlo di quei Paesi in cui gli omosessuali vengono braccati, gettati in galera e persino giustiziati per la loro omosessualità e le lesbiche vengono stuprate per “curarle” dal loro orientamento sessuale. In quei Paesi, combattere per la causa LGBT significa combattere per la vita; in altri Paesi, significa reagire ai suicidi di adolescenti, ai crimini di intolleranza, al bullismo. Una parrocchia ha molte opportunità per stare a fianco delle persone LGBT perseguitate.

Il Catechismo dice “si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione” nei confronti delle persone LGBT. Crediamo a questa frase del Catechismo? Nel 1986 la Congregazione per la Dottrina della Fede scrisse: “Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della Chiesa, ovunque si verifichino”. Crediamo a questa affermazione della Congregazione?

Essere cristiani è anche questo: stare dalla parte degli emarginati, dei perseguitati, di chi viene massacrato. È scioccante pensare a quanto raramente la Chiesa Cattolica lo abbia fatto. I vostri parrocchiani LGBT devono sapere che state dalla loro parte: quando è il caso, parlate delle persecuzioni durante l’omelia o citatele nelle vostre preghiere. Siate profetici. Siate coraggiosi. Siate come Gesù.

Perché, se non cerchiamo di essere come Gesù, cosa ci stiamo a fare in parrocchia? Ricordatevi bene che, durante il suo ministero pubblico, Gesù ha continuamente cercato chi si sentiva emarginato. Il movimento, nel caso di Gesù, andava dalla periferia al centro, Gesù andava a prendere le persone al di fuori per portarle nella comunità, perché per lui non c’era un “noi” e un “loro”, c’era solo il noi.

Vorrei chiudere con un racconto evangelico che ci faccia meditare sulla nostra vocazione all’accoglienza e al rispetto delle persone LGBT e delle loro famiglie.

Il Vangelo di Luca contiene il bel racconto dell’incontro di Gesù con Zaccheo. Gesù sta passando per Gerico, una città molto grande. Sta viaggiando verso Gerusalemme, negli ultimi tempi del suo ministero, e probabilmente era ben conosciuto nella zona, ed è probabile che una grande folla lo seguisse. A Gerico abitava un uomo di nome Zaccheo: era il capo degli agenti delle tasse di quella regione, perciò gli Ebrei lo consideravano “il capo dei peccatori”. Perché? Perché era considerato colluso con le autorità romane, perciò probabilmente Zaccheo veniva evitato da tutti.

Ecco, vorrei invitarvi a pensare a Zaccheo come a un simbolo delle persone LGBT cattoliche, non perché le persone LGBT siano più peccatrici di noi: siamo tutti peccatori; ma perché si sentono molto emarginate. Pensate alle persone LGBT come a Zaccheo.

Luca descrive Zaccheo come “piccolo di statura”. Anche le persone LGBT si sentono spesso “piccole di statura” nella Chiesa. Luca dice che Zaccheo non riusciva a vedere Gesù “a causa della folla”, perché appunto era basso, ma quante volte la “folla” impedisce alle persone LGBT di incontrare Gesù? Siamo anche noi tra quella “folla” che non permette alle persone LGBT di avvicinarsi a Dio?

Così Zaccheo si arrampica su un albero: come dice Luca, voleva vedere “quale fosse Gesù”. Questo è quello che vogliono le persone LGBT: vedere quale sia Gesù. Ma la folla si mette in mezzo.

Poi, ecco Gesù che attraversa Gerico, probabilmente circondato da centinaia di persone che cercano di attirare la sua attenzione. E lui, a chi si rivolge? Alle autorità religiose? A uno dei suoi discepoli? No, a Zaccheo! E cosa dice a Zaccheo? Gli urla forse “Peccatore!”, “Tu, orrendo agente delle tasse!”? No! Gli dice “Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”! È un pubblico segnale di accoglienza nei confronti di un emarginato.

Ecco poi il mio versetto preferito: “Vedendo ciò, tutti mormoravano”! Esattamente quello che avviene oggi quando si tratta di persone LGBT. La gente mormora! Fate un giro su Internet, e vedrete molto mormorio. Offrire misericordia agli emarginati fa sempre arrabbiare la gente.

Zaccheo scende dall’albero; il testo greco ha un’espressione molto forte, statheis: mantenne la sua posizione. Quante volte le persone LGBT hanno dovuto mantenere la loro posizione di fronte all’opposizione e ai pregiudizi dei cattolici?

Poi Zaccheo dice che darà la metà di quanto possiede e ripagherà quattro volte tanto le persone da lui defraudate. L’incontro con Gesù conduce alla conversione, per lui come per tutti. Cosa intendo per “conversione”? Non certo le “terapie di conversione”. No, la conversione che vive Zaccheo è quella a cui tutti e tutte siamo chiamati. Nei Vangeli Gesù la chiama metanoia, la conversione della mente e del cuore. Per Zaccheo, convertirsi significa dare ai poveri.

Tutto questo è frutto dell’incontro con Gesù. L’approccio di Gesù, il più delle volte, privilegia la comunità sulla conversione. Il modello di Giovanni Battista, invece, prevedeva che prima ci si convertisse, poi che si venisse accolti nella comunità. Per Gesù, prima viene la comunità, poi la conversione. L‘accoglienza e il rispetto sono prioritari.

Così Gesù tratta chi si sente ai margini. Li cerca prima di chiunque altro: li incontra e li tratta con rispetto, sensibilità e compassione.

Quindi, di fronte alle persone LGBT a alle loro famiglie che si presentano nella nostra parrocchia, possiamo assumere due posizioni: possiamo stare dalla parte della folla, che mormora e si oppone alla misericordia, o con Zaccheo e, soprattutto, con Gesù.
(James Martin SJ, tratto da Progetto Gionata, 24 agosto 2018)
Il gesuita americano James Martin è editorialista del settimanale cattolico America ed autore del libro “Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt” (Editore Marcianum, 2018). Padre James ha portato questo contributo sull’accoglienza delle persone LGBT nella Chiesa Cattolica all’Incontro Mondiale delle Famiglie Cattoliche di Dublino e porterà una sua riflessione anche al 5° Forum dei cristiani LGBT italiani (Albano Laziale, 5-7 ottobre 2018).

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