mercoledì, Dicembre 18, 2024

“Rifiutare di prestare servizio nell’esercito è il mio piccolo atto per il cambiamento”: intervista di Oren Ziv a Hallel Rabin

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Quando due settimane fa Hallel Rabin  si presentò davanti al Comitato degli obiettori di coscienza dell’IDF, l’organismo militare che doveva decidere se  rimandarla o meno in prigione per essersi rifiutata di prestare servizio nell’esercito,  si sentì porre una strana domanda: ” Indosserebbe l’uniforme dell’esercito se fosse rosa? ”

“Non ho problemi con il colore”, ha risposto, “Ho problemi a indossare un’uniforme dell’esercito, indipendentemente dall’esercito”. Obiettrice di coscienza, Rabin era in una prigione militare per essersi rifiutata di prestare servizio a causa delle politiche di occupazione dell’esercito. Il 20 novembre si è concluso il suo quarto periodo in prigione; il giorno successivo l’esercito le ha ufficialmente dato il congedo che aveva voluto. Ha  trascorso dietro le sbarre un totale di 56 giorni.

Rabin, 19 anni, del Kibbutz Harduf, nel nord di Israele, venne incarcerata per la prima volta ad agosto, dopo essere comparsa davanti al Comitato per  appellarsi all’esenzione. È stata processata e condannata a due diversi periodi di reclusione, incluso durante il Rosh Hashanah, il capodanno ebraico. La scorsa settimana, al  suo rilascio, Rabin pensava che sarebbe tornata a casa per un breve periodo prima di scontare un’altra sentenza. Ma quando ha acceso il telefono, ha ricevuto un messaggio dal suo avvocato Asaf Weitzen, che l’ha informata che la Commissione aveva accettato la sua richiesta e che sarebbe stata rilasciata.

Come ha detto a Orly Noy in ottobre, Rabin è stata cresciuta da una madre che insegnava educazione civica e  iniziò a porsi domande sulla realtà in Israele sin dalla giovane età. A 15 anni sapeva che non sarebbe stata in grado di arruolarsi nell’esercito, dal momento che farlo andava “contro i miei ideali più elementari  in base ai quali non posso sostenere tali politiche violente”.

Meno di una settimana dopo il suo rilascio, Rabin deve ancora abituarsi alla vita fuori dal carcere. Si sveglia ogni giorno alle sei, come era stabilito in prigione, e risponde alle centinaia di messaggi che riceve regolarmente da tutto il mondo. L’ho incontrata questa settimana ad Harduf per una chiacchierata sul suo rifiuto di prestare servizio nell’esercito, sul  suo periodo dietro le sbarre e sulla possibilità di parlare del suo rifiuto con i giovani israeliani.

Come sei finita in prigione? In che modo hai espresso il tuo rifiuto al servizio militare??

“Il giorno del mio arruolamento, sono arrivata alla base di coscrizione sapendo che sarei andata in prigione. Quello era il mio obiettivo, ma non capivo davvero come farlo. Ho iniziato  la procedura di coscrizione ma non sapevo a chi rivolgermi [per rifiutare]. Mi sono seduta su una sedia e ho  annunciato ad alta voce: “Ho bisogno di qualcuno che sappia dirmi cosa fare. Sono un obiettrice di coscienza e devo andare in prigione. Non diventerò un soldato”.

“Alla fine, una donna mi ha portato in un ufficio dove ho firmato un documento dicendo che mi rifiutavo di fare il servizio militare. Ho trovato divertente che il mio obiettivo fosse andare in prigione e che una volta lì sarei stata nel posto giusto“.

Rabin è stata inizialmente condannata a sette giorni ed è stata mandata nel reparto femminile della prigione Sei, una prigione militare nel nord di Israele. “È stato il giorno più lungo ed estenuante della mia vita”, racconta. “Mi ci sono voluti tre giorni per capire cosa stava succedendo, come rispondere [alle autorità della prigione], come muovermi. Ho imparato velocemente.”

Come sono stati i tuoi giorni in prigione?

“È stata un’esperienza folle. Ero in una cella con un’agente della polizia di frontiera, una donna che ha prestato servizio a un posto di blocco, due donne che si sono rifiutate di prestare servizio come operatrici di monitoraggio della sorveglianza, una donna che aveva attaccato il suo comandante e un ufficiale di polizia militare che è poi andata via. In totale eravamo sei.”

“La prima domanda che mi hanno fatto è stata ‘perché sei qui?’ Ho detto loro, esitante: ‘Sono un’ obiettrice  di coscienza’. Hanno subito iniziato a fare tutte le solite domande: ‘Sei di sinistra? Sei filo-palestinese? “Durante la mia prima fase ho imparato a vivere da obiettrice di coscienza. Ogni volta che c’era un nuovo gruppo di ragazze o tornavo [in prigione], l’argomento suscitava polemiche e molte discussioni“.

In prigione I soldati e i comandanti ti hanno parlato della tua decisione di obiettare?

“Non c’è un soldato che non abbia ascoltato la mia storia. Anche i comandanti erano interessati. C’era un’agente che mi ha detto che apprezzava la mia decisione e mi ha persino lodato. Questa è stata una delle conversazioni più importanti che ho avuto – qualcuno dall’interno del sistema ha capito perché ho fatto quello che ho fatto e lo ha apprezzato”.

“In prigione non ho litigato con nessuno. E’ stata una pratica per il mio ego, per la mia capacità di avere un confronto e di essere socialmente flessibile. Ero in una posizione in cui le persone non erano d’accordo con me e in cui mi sentivo a disagio – quasi minacciata – ma  l’avevo accettato.”

Rabin è stata rilasciata dopo cinque giorni e rimandata a casa, dove ha trascorso le successive 2 settimane e mezza. “Ci vuole tempo per riabituarsi a casa. In prigione c’è ordine in tutto, poi all’improvviso vieni rilasciata. È fonte di confusione“, dice. “La cosa più difficile del tornare a casa è dover tornare in prigione.”

Una vista della prigione militare israeliana 6. (Oren Ziv)

Quando è tornata alla base a Tel Hashomer, Rabin è stata condannata ad altre due settimane di prigione: una settimana per rifiuto di prestare servizio e un’altra per assenteismo. Come altri obiettori di coscienza, dopo ogni periodo in carcere ha ricevuto un’altra convocazione ed è stata ripetutamente condannata.

Come hai passato il tempo?

“Ho letto otto libri, tra cui “Il femminismo è per tutti “di Bell Hooks e “La non violenza spiegata ai miei figli” di Jacques Semelin. I miei amici Hillel e Tamar, anche loro obiettori di coscienza, mi hanno detto quasi scherzando che il mio compito era trovare somiglianze tra il femminismo e l’obiezione di coscienza“.

Prima del suo terzo periodo in prigione, Rabin ha deciso di rendere pubblico il suo rifiuto con l’aiuto di Mesarvot, una rete di base che riunisce persone e gruppi che si rifiutano di arruolarsi nell’IDF per protestare contro l’occupazione. “All’inizio, speravo che non ci sarebbe stato alcun motivo valido per rivolgermi ai media. Avevo sperato di essere esonerata dal Comitato degli obiettori di coscienza. Pensavo che tutto sarebbe finito dopo la prima fase“, spiega.

Anche prima della sua data di arruolamento, Rabin aveva cercato di rivolgersi al Comitato degli obiettori di coscienza, che aveva prontamente respinto la sua richiesta di esenzione. Durante il suo primo periodo di incarcerazione, ha presentato ricorso e ha aspettato che i militari  le comunicassero i motivi per cui era stata incarcerata. Quando le  motivazioni  sono arrivate, in ritardo, ha deciso di rivolgersi ai media. Dopo la sua terza volta in prigione, Mesarvot ha organizzato una manifestazione a sostegno di Rabin fuori dalla base della coscrizione. È stata condannata a 25 giorni. Tra il terzo e il quarto periodo di incarcerazione, Rabin doveva avere la sua seconda udienza davanti al Comitato degli obiettori di coscienza dell’IDF.

Qual è stata la differenza tra il primo e il secondo Comitato?

“La seconda udienza è stata più lunga, hanno  chiesto più dettagli. Il primo Comitato mi aveva posto domande per provare a dimostrare che il mio rifiuto era politico e basato sull’obiezione di coscienza piuttosto che sul pacifismo (l’IDF ha storicamente fatto una distinzione tra coscritti che possono dimostrare di essere “pacifisti non politici” e coloro che obiettano a causa di quelle che l’esercito ritiene ragioni “politiche”, come l’opposizione specifica all’occupazione israeliana. Nonostante le difficoltà di farlo, i coscritti che possono dimostrare di rientrare nella prima categoria, hanno maggiori possibilità di essere esentati).

“Nella seconda udienza della Commissione mi hanno chiesto perché non indossavo la mia uniforme militare. Ho spiegato che ero venuta da casa mia e che comunque come obiettrice di coscienza mi ero rifiutata di arruolarmi, motivo per cui non avevo mai ricevuto l’uniforme. Anche se mi avessero chiesto di indossarla, non l’avrei  mai fatto. Cercano di capire se il tuo rifiuto è politico o guidato dal pacifismo, come reagisci alle situazioni di violenza e com’è il tuo stile di vita“.

Che cosa hai detto?

“La seconda volta ero più preparata. Cinquanta giorni di prigione, di conversazioni quotidiane sull’argomento e di interviste con i media mi hanno aiutato a spiegarmi”.

“Ho detto che non ero disposta a prendere parte in alcun modo a un sistema la cui essenza è basata sulla lotta e sull’oppressione violenta. Credo che questo debba cambiare, e questo è il mio modo do spingere per il cambiamento. Questo è il mio piccolo atto. Ho aggiunto che sono da sempre vegetariana, che compro vestiti di seconda mano e che sono contraria allo sfruttamento, al capitalismo e al sessismo“.

Ti è sembrato che il Comitato avesse capito che un obiettore pacifista che si oppone alla violenza è anche contro l’occupazione?

“Li sconvolge. È difficile per loro. Sono quattro membri dell’esercito e un professore di educazione civica. Tutti loro hanno 50 anni o più e hanno dedicato la loro vita a raggiungere posizioni elevate [nell’IDF], e io sono una ragazza di 19 anni che dice loro “questo non va bene”. Sono sicura che sia molto difficile per loro. Non mi arruolerei neppure nell’esercito svizzero, ma vivo qui e dovrei prestare servizio in un esercito che commette questi atti. Mi oppongo all’occupazione perché è violenta, oppressiva e razzista”.

Durante la sua seconda udienza in commissione, i membri hanno mostrato a Rabin una sua foto mentre prendeva parte alla protesta di Mesarvot fuori dalla base di coscrizione, avvenuta poco prima che fosse incarcerata per la terza volta. La foto la mostrava con in mano un cartello che diceva “Mesarvot” [in ebraico  è la forma femminile di ” obiettori”] e “Rifiutare l’occupazione è democrazia”.

“Mi hanno chiesto cosa significasse il cartello”, dice Rabin. “Ho detto che è legittimo opporsi a questioni che si sono trasformate in argomenti tabù – che opporvisi è democratico”.

Gli attivisti di Mesarvot hanno detto a +972 che nell’ultimo semestre il Comitato degli obiettori di coscienza ha reso molto più difficile concedere ‘’esenzione per motivi di coscienza e  fornire spiegazioni quando le richieste vengono respinte. L’organizzazione spera che  la storia di Rabin porti a un cambiamento in questa politica.

Ritieni che sia possibile parlare dell’occupazione con gli adolescenti?

“Non si tratta di età. Non ho bisogno di aspettare che metà della mia vita sia alle spalle per lottare per i miei principi … non è un male dichiarare ad alta voce che  presentarsi al Comitato degli obiettori di coscienza è un’opzione legittima e che è possibile pensare per se stessi. Anche la prigione non è male. È estenuante, ma non me ne sono andata con una sensazione di ansia o con la voglia di morire“.

Che tipo di risposte hai ricevuto dopo il tuo rilascio?

“Molte persone mi hanno contattato da Israele e da tutto il mondo. Alcune persone mi hanno maledetta. Altri hanno scritto che il mio rifiuto è stato fonte di ispirazione e porta la speranza che ci siano adolescenti che difendono ciò in cui credono. Anche dei palestinesi mi hanno scritto, dopo che la mia storia è stata pubblicata in Turchia. Qualcuno di Tulkarem ha scritto che apprezza il mio atto e spera che un giorno berremo un caffè insieme e parleremo della vita. ”

 

Oren Ziv – 27 novembre 2020

Oren Ziv è fotoreporter, uno dei  membri fondatori del collettivo fotografico Activestills e  scrittrice per Local Call. Dal 2003, ha documentato una serie di questioni sociali e politiche in Israele e nei territori palestinesi occupati con un’enfasi sulle comunità di attivisti e le loro lotte. Il suo reportage si è concentrato sulle proteste popolari contro il muro e gli insediamenti, alloggi a prezzi accessibili e altre questioni socio-economiche, lotte contro il razzismo e la discriminazione e la lotta per liberare gli animali.

Immagine di copertina: l’obiettrice di coscienza israeliana Hallel Rabin, Kibbutz Harduf, Israele. (Oren Ziv)

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org

 

Fonte: English Version

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