Dare voce ai ragazzi e ai giovani – questa è la preoccupazione dei nuovi presidenti dell’organizzazione di coordinamento delle associazioni giovanili cattoliche (BDKJ). Nell’intervista con katholisch.de il nuovo presidente federale e il nuovo assistente della BDKJ raccontano come vogliono raggiungere questo ambizioso obiettivo. Una chiacchierata parlando di giovani e fede, abusi, via sinodale e di una Chiesa che deve cambiare dal basso!
La Federazione della gioventù cattolica tedesca (BDKJ) ha un nuovo consiglio direttivo: sabato l’assemblea generale ha eletto il sacerdote di Essen Stefan Ottersbach e l’assistente sociale berlinese Gregor Podschun a capo dell’organizzazione di coordinamento delle associazioni giovanili cattoliche in Germania. In un’intervista con katholisch.de, i nuovi presidenti dicono cosa vogliono ottenere nel loro mandato- e dove la Chiesa deve cambiare.
Domanda: Signor Ottersbach, lei è un prete e pratica la boxe. Cosa può imparare un prete dalla boxe?
Stefan Ottersbach: Il pugilato è una questione di forza. Ma la forza da sola è controproducente. Si tratta anche di elasticità e di saper leggere la situazione, e saper agire a seconda della situazione che ci si trova d’innanzi. Non si tratta di battere ottusamente la testa contro un muro. Per i contesti pastorali è enormemente importante che si cambi… Non si può più dire semplicemente “così è e così io faccio”, ma trovare vie che si adattino ai contesti reali. Si deve adattarsi alle persone che si incontrano, alle loro esigenze, e quindi cercare un dialogo su questa realtà vissuta, questo è quello che il Vangelo ci chiede.
Domanda: Come presidente federale lei fa parte di un organo collegiale o, per così dire, è parte di una squadra (anche se al momento questa espressione non è ben accetta a Roma!). Cosa può imparare la Chiesa dal modo in cui le organizzazioni giovanili percepiscono la leadership?
Ottersbach: Anche come assistente diocesano degli Scout e di altre associazioni, ho sempre trovato molto arricchente il fatto di non stare da solo, ma che tante persone con talenti diversi collaborino e si arricchiscano a vicenda. Questo include anche una giusta e leale forma di critica. Tutto questo corrisponde al mio modello di uomo e di prete: non devo essere perfetto e posso sempre imparare dagli altri.
Domanda: Signor Podschun, il suo sport non è la boxe, ma il ballo –questa sua esperienza cosa le ha dato e, soprattutto, cosa possono apportare Charleston e Lindy-Hop alla gestione della leadership di una grande associazione giovanile con?
Gregor Podschun: Charleston e Lindy-Hop sono balli in cui di solito non si hanno partner di ballo fissi ma si cambia di continuo, in cui ci si sprona a vicenda a ballare seguendo il ritmo, in cui non ci sono incarichi e ruoli fissi. Ad esempio va bene che gli uomini ballino con gli uomini e le donne ballino con le donne… Questo è il modo in cui voglio lavorare insieme alla squadra: in modo flessibile! Ognuno dovrebbe portare il proprio carisma, le specificità del proprio ruolo e la propria persona.
Domanda: Lei è stato presidente della BDKJ nella diocesi di Berlino. Il lavoro giovanile Germania orientale funziona in modo diverso da quello della Germania occidentale?
Podschun: Sì certamente ci sono differenze… Innanzitutto per via della storia perché la Chiesa nella DDR funzionava in modo molto diverso. Era una Chiesa che doveva difendersi da uno stato ostile. Quindi era una comunità ecclesiale che tendeva a chiudersi su se stessa a riccio, isolandosi dal mondo esterno. Certo questo ha lasciato segni visibili ancora oggi… anche perché, se ci pensiamo bene, non è passato così tanto tempo dalla caduta della DDR. In questo contesto ho vissuto il lavoro delle associazioni giovanili come qualcosa di speciale, perché è una forma di azione che va consapevolmente verso l’esterno, guarda volontariamente oltre i propri confini e comprende il cattolicesimo in modo diverso rispetto al cattolicesimo che era predominante nella DDR. Ai tempi della Repubblica democratica infatti le associazioni cattoliche non erano ammesse. In questo contesto ho sentito il lavoro dell’associazione giovanile come qualcosa di speciale… qualcosa che brillava di luce propria!
Domanda: Si parla molto di una Chiesa in crisi… Come deve cambiare il lavoro giovanile affinché questa “luce” rimanga accesa?
Podschun: La luce è lì dove i giovani vogliono continuare il loro impegno nella Chiesa. I giovani stessi rendono possibile questo quando amano stare nella Chiesa e sentono di avere qui una “casa spirituale”. Dobbiamo però vigilare! Prestare maggiore attenzione perché la Chiesa stessa non allontani i giovani solo perché si rifiuta di riconoscere e valorizzare la loro realtà di vita.
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Domanda: Oltre ai simboli ci sono anche le strutture: A livello di Conferenza Episcopale si prevede di riformare le “Linee guida della pastorale giovanile”… Dove vede la necessità di una riforma?
Ottersbach: La necessità di una riforma nasce dal fatto che la situazione reale dei credenti è cambiata negli ultimi anni… La parola chiave è: “laicità/secolarizzazione”! Dobbiamo, con più convinzione di quanto sia mai stato fatto, imparare che la fede non è una cosa scontata nella nostra società e che dobbiamo acquisire nuove competenze linguistiche per poter continuare la nostra missione. Noi come associazioni giovanili, è importante sottolinearlo, stiamo già mettendo in pratica queste linee guida in molte realtà, in modo da trovare nove forme e linguaggi adatte per bambini, ragazzi e giovani.
Podschun: Nel Sinodo dei giovani è stato detto chiaramente che sono necessarie forme nuove di partecipazione. Che non facciamo la pastorale giovanile “per” i bambini e i giovani, ma “con” i bambini e i giovani: Loro infatti sono protagonisti, loro si impegnano e così creano la loro pastorale giovanile! Certamente sono accompagnati e supportati da adulti. Dobbiamo poi rendere possibile una pastorale giovanile che realizzi realmente, ciò che lo studio MHG indica come fattori di protezione necessari per prevenire casi di abuso sui minori: partecipazione, processi democratici e trasparenti, che i bambini e i giovani siano considerati come persone con dei diritti, che possono dire chiaramente “no” e che si sentano sempre protetti. Questo è anche lo scopo del Cammino sinodale: Che la Chiesa sia un luogo sicuro per i bambini e i giovani… con garanzie reali! Pertanto i risultati del Cammino sinodale, del Sinodo dei giovani e anche i processi pastorali nelle diocesi devono riflettersi in nuove “Linee guida della pastorale giovanile”.
Domanda: Lei, signor Podschun, è già membro dell’Assemblea sinodale come rappresentante del Consiglio diocesano di Berlino: La “via sinodale” dopo l’Istruzione vaticana sulle parrocchie ha ancora un futuro? I forum sul potere e sui sacerdoti sono ormai alla fine? Ha senso andare avanti?
Podschun: Era già successo in passato che la discussione di molti argomenti importanti e centrali non fosse ben visto da Roma. Tutti sono consapevoli che i risultati non possono essere attuati immediatamente uno a uno nelle diocesi, ma che molte cose devono andare a Roma ed essere discusse lì. Spero che il Cammino sinodale possa porre un segno nella Chiesa universale per creare una Chiesa che abbia una speranza per il futuro. Credo quindi che il cammino sinodale oggi sia ancora sostenibile ed importante. Quando la Conferenza episcopale tedesca congiuntamente ai laici si esprime con forza e dice chiaramente cosa vuole cambiare, allora questo è un segno grande che non può essere ignorato. Allo stesso tempo, spero che ci siano cambiamenti concreti che possano essere facilmente implementati alla base. Ci sono alcuni temi, come ad esempio la benedizione delle coppie omosessuali, che potrebbero essere attuate con relativa facilità senza doverne discutere a Roma.
Domanda: Quale sarà l’argomento che lei, in qualità di presidente di BDKJ, porterà con più entusiasmo nell’assemblea sinodale?
Podschun: Per noi è importante sottolineare sempre uno dei motivi fondamentali per cui esiste la “via sinodale”: Affrontare i casi di abuso sui minori e come trovare strategie per tutelare bambini e giovani. Questi restano per noi obbiettivi importanti e ci aspettiamo risposte concrete ed immediate dal sinodo… e, per ottenerle, sappiamo dobbiamo impegnarci per cambiare strutturalmente la nostra Chiesa. Lo studio MHG lo ha dimostrato. Questo è il nostro ruolo e noi vogliamo impegnarci fino in fondo. Ma il nostro compito è anche quello di mostrare che i bambini e i giovani possono essere propositivi ed avere una loro visione di Chiesa… noi vogliamo aiutarli a dare vita a questa visione!
Domanda: Don Ottersbach, nel suo CV ha l’interessante voce di “liquidatore”. Cosa si impara, per il futuro della Chiesa, quando si chiude definitivamente una realtà ecclesiale?
Ottersbach: Ho imparato che, in una posizione di responsabilità, si devono e si possono indirizzare i processi di cambiamento. Nel farlo si può operare in modo tale che un cambiamento, che viene percepito da molti come negativo e come una rottura con il passato, non deve tuttavia portare a ferite insanabili e scoraggiamento. Almeno è quello che dovrebbe accadere nel migliore dei casi!
Domanda: Nella sua tesi di laurea ha affrontato il tema “La gioia come stile di vita”. Che cosa significa per lei?
Ottersbach: La gioia mira allo sviluppo di ogni singolo essere umano, perché ogni persona ha ricevuto da Dio una dignità unica ed individuale, che deve essere rispettata. La gente arriva alla propria vocazione e a scoprire i propri carismi, solo quando può sentire che questa gioia è desiderata anche da Dio. Questo è più di uno stile di vita basato puramente sull’individualità, ma è intimamente legato alla percezione che la gioia può crescere solo dove anche gli atri sono felici. Bisogna sentire l’obbligo di praticare uno stile di vita giusto e solidale in questo mondo: non esiste la gioia “privata”, esclusiva, solo per una persona che se la gode.
Domanda: Nella sua forma attuale, la Chiesa è il luogo che promuove la gioia come stile di vita?
Ottersbach: Ci troviamo nella giusta direzione per sperimentare che lo Spirito di Dio è sempre all’opera in questo mondo e che possiamo contare su di lui in ogni momento. Ciò significa: non sono obbligato a “fare” nulla per far crescere la gioia!
Podschun: La forza spirituale di Dio opera sempre e ci porta alla gioia. Ma vedo anche in molti ambiti della nostra Chiesa, questa gioia è soffocatada strutture quasi disumane. È nostro compito che le nostre strutture servano anche a trovare la gioia e a sperimentare la forza dello Spirito di Dio.
Intervista a cura di Felix Neumann
(liberamente tradotto da don Paolo Zambaldi)
Articolo originale: https://www.katholisch.de/artikel/26315-neuer-bdkj-vorstand-wir-wollen-die-kirche-strukturell-veraendern