Tristezza e gratitudine sono la miscela di sentimenti che suscita la notizia di (don) Paolo Zambaldi che lascia il ministero. Lo conosco e lo stimo da molti anni, essendo
stato un mio studente sempre attento e aperto al dialogo e all’approfondimento. Ordinato prete nel giugno 2016, dopo 9 anni di servizio nella Chiesa di Bolzano-Bressanone ha deciso di concludere questo suo impegno.
Ha lavorato come collaboratore parrocchiale a Bolzano, come assistente spirituale dell’Associazione “La Strada-Der Weg”, nonché di vari gruppi scout. Negli
ultimi tempi si era anche speso ad organizzare – con la benedizione della Diocesi – un gruppo di lavoro ed iniziative rivolte alle persone LGTB+. Quanti lo hanno
incontrato e hanno dialogato con lui hanno potuto apprezzare il suo stile sincero, il suo predicare sobrio ma profondo, la sua lealtà verso gli impegni presi. In molti
hanno lodato anche i suoi lavori filosofico-teologici, sia su tematiche relative a Baruch Spinoza, sia su non facili questioni della post-cristianità e del post-teismo. Le sue
posizioni a volte critiche verso la teologia ufficiale e il Magistero ecclesiale hanno provocato qualche arricciamento di nasi, ma anche confermato che nella Chiesa di Dio si possono avere e sostenere opinioni diverse da quelle del mainstream.
Nell’attività pastorale ha messo in pratica una forte capacità di ascolto delle persone, di riflessione sul proprio essere e il proprio fare, così da risultare uno che ha
messo in pratica l’invito di papa Francesco: “dobbiamo imparare ad essere normali!” Il suo essere normale lo ha sempre protetto dal clericalismo e lo ha reso gradito e
seguito interlocutore anche in ambienti laici. E quanto la Chiesa abbia bisogno di uscire dalle sacrestie, di farsi missionaria, di camminare con la gente nell’ordinario,
non vi è alcun bisogno di spiegarlo.
Personalmente sono davvero dispiaciuto di non poter più contare sulla collaborazione fattiva di un giovane aperto e intelligente, che aveva iniziato anche a insegnare teologia pastorale al nostro Istituto di Studi Religiosi di Bolzano. E mi auguro davvero che la Chiesa locale riesca a valorizzare la sua serietà, la sua coerenza e le sue innegabili qualità. Come pure che – in genere – sia più vicina e attenta ai suoi preti, specie a quelli più giovani, che sono esposti a pressioni ed esigenze sempre più forti. Si può capire che un giovane abbia più ritorno
motivazionale dal celebrare battesimi e matrimoni che non sequenze pesanti di funerali. E così pure sarebbe bene che certe responsabilità ed incarichi venissero
assegnati in base alle effettive competenze ed esigenze e non primariamente secondo la logica dei buchi da tappare.
Permettetemi ancora due precisazioni. (Don) Paolo non lascia perché magari innamorato di una parrocchiana, ma perché disamorato del suo ministero. E questo deve diventare un motivo riflessione sul ruolo e lo stile dell’essere prete nella Chiesa e nella società di oggi. In secondo luogo, nessun può “spretarsi”, come si suole dire. Uno può lasciare il ministero (in termini tecnici viene sospeso ‘a divinis’, cioè dall’esercitare le funzioni sacerdotali), ma non perde la sua consacrazione. Sono
sicuro allora che il nostro (don) Paolo saprà comunque essere una benedizione e una persona che esercita un ministero (cioè un servizio) in senso ampio. Gli auguro
di trovare nella vita quella strada a cui si sente chiamato e gli esprimo la gratitudine mia e di tante altre persone per quello che è stato e quello che ha fatto per molti nei
suoi anni di impegno. Il sorriso e la riflessione seria e profonda non ti abbandonino mai, amico caro, come pure l’amore per Gesù, grande e insostituibile modello per le
nostre vite!
don Paul Renner da Corriere dell’Alto Adige 31.08.2025