mercoledì, Marzo 12, 2025

Elogio della diserzione: perché l’Europa non ha più carne da macello (F. Anderlini)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

L’odierno fervore bellicista, mascherato da europeismo, ricalca il fanatismo interventista di un secolo fa. Ma l’Europa liberale ed edonista non genera più guerrieri né carne da macello. L’unica vera resistenza è la diserzione di massa, unica risposta al riarmo e ai suoi apologeti.

Elogio della diserzione

 Fausto Anderlini*

Un vero diluvio di stupidaggini percuote l’aere. Una Folgore, come nembo di tempesta. Spaventevoli aut aut e squilli di tromba lanciati dai salotti. Chiamate alle armi. Maîtres à penser da feuilleton a percuotere le menti intorpidite e a schiacciare, non bastasse la morsa di Maastricht, gli zebedei dei popoli europei.

La guerra eroica, purificatrice dello spirito e depuratrice del sangue, da preferirsi alla “pace mutilata” dei prepotenti e dei codardi.

Toni decisamente dannunziani e marinettiani. Arditismo e vittimismo. Lo stesso delirio interventista, e poi reducista, che animò la piccola borghesia intellettuale prima e dopo la prima ecatombe mondiale. Lo chiamano europeismo, ma gli ingredienti sono gli stessi del vieto nazionalismo d’antan. Alate corbellerie. La guerra (contro la Russia) come levatrice della vagheggiata e tradita patria europea. Qualcosa che già echeggiava nei risvolti del celebrato sogno spinelliano, nascosto sotto il velo della pace perpetua.

C’è questo (il Serra) che si leva dall’amaca, dalla quale, comodamente remunerato dall’editore, intrattiene un pubblico forbito con elegante ironia. “Qui si fa l’Europa o si muore! Europa o muerte!” Un soprassalto, un grido così forte che lui stesso s’è spaventato. Al punto di rimettere la sordina.

C’è quell’altro (il Gramellini) che invita con fiero cipiglio a non barattare la “libertà con la sicurezza”. E già lo vediamo levarsi dal sofà televisivo per indossare la mimetica. Uno scarto clamoroso, meritevole di bocciatura, rispetto alla filosofia politica europea illuminata che ha in Hobbes il capostipite. Essendo il baratto fra libertà e sicurezza, certo secondo dosaggi variabili, la quintessenza del contratto che fonda la società. Immemore, il verboso intrattenitore, che una democrazia non in grado di corrispondere la sicurezza e ridotta a mera e verbosa enunciazione martirologica ha sempre le ore contate.

Solo un cenno per quell’altro buontempone, il Mieli, che già s’è imposto il sommo sacrificio: non mangerà mai più i pasticcini all’ambasciata americana. Si comincia così. Con la dieta democratica, con questa sedizione da dessert, in attesa di emulare Sacharov e i martiri tragici dello sciopero della fame.

Ma è lo Scurati, colui a cui è stato assegnato il diamat dell’antifascismo, che ha colto la radice del problema. Sulle pagine di Repubblica imbraccia la lanterna e chiede a gran voce nella notte: “Dove sono i guerrieri?!!”

C’è da dire che le premesse dell’analisi sono ben poste, e anche ben scritte. Dopo due guerre mondiali, la gente, stufa di fare la vittima sacrificale, ha imboccato la via del disincanto pacifista: nessuna causa vale la vita. In solaio tutte le mitologie martirologiche con le loro caterve di cadaveri immolati sugli altari dei valori imperituri.

Come mi ricorda Marcella Mauthe, è su questi dati, del resto, che il neoliberismo ha celebrato la sua momentanea egemonia. Mettendo al centro l’individuo e i suoi desideri: di identità, autovalorizzazione e godimento personalizzati tailor-made. Il pacifismo tradotto come consumismo. Il cittadino come consumatore sovrano. Interesse e godimento come dolci passioni a portata di tutti. Le armi che hanno portato al crollo dell’URSS, senza colpo ferire.

Se c’è una definizione che sintetizza l’Occidente post-moderno è questa visione individualista, laica ed edonista del mondo vitale. Che ha fatto strame di ogni identificazione sacrificale: la religione, la nazione, l’ideologia. L’Europa felix, liberale e liberista.

Ed è qui che s’innesta il paradosso. Sono infatti valori che implicano il rifiuto di dover morire per essi. Impossibile radunare un esercito di coscritti (*). Manca drammaticamente la carne da macello (a meno che non si convinca qualcun altro, putacaso gli ucraini, a prestare la propria). Questo è il problema. Non la mancanza di guerrieri, per quanto la questione demografica in paesi con figli unici abbia il suo peso, ma la carne disposta a farsi macellare.

Come se ne esce? Ed è qui che lo Scurati tira fuori il coniglio dal cilindro: con l’eroismo partigiano della Resistenza. Fare la guerra per amor della pace. Un’idiozia fuori contesto, uguale a quella che si è sforzata di vedere nei nazi dell’Azov una nuova brigata partigiana.

Scurati evoca la Resistenza, ma le sue brigate partigiane ricordano piuttosto gli Arditi della prima guerra o i Legionari di D’Annunzio, se non le camicie nere. Reparti autonomi o soldataglie parallele affiancate agli eserciti legali e armate di un’ideologia a priori. Formazioni paramilitari. E qui si vede un approdo naturale una volta imboccata la via dell’interventismo.

Il partigiano è un irregolare che combatte per sé. In origine le bande partigiane si formano per scissione: sono sbandati e renitenti alla leva. Ogni lotta partigiana, come ogni rivoluzione di popolo autentica, parte sempre da una diserzione.

E anche adesso, una diserzione di massa è la risposta al riarmo e ai suoi apologeti.

Nota a margine

(*) La guerra nei paesi “civili” è concepibile solo come un’attività di polizia esercitata tramite specialisti professionali e garantita nel successo da una abissale disparità tecnologica. La soglia di tolleranza in termini di perdite umane (quelle di pertinenza, non quelle degli altri, i nemici, che possono morire a milioni…) è vieppiù bassa.

L’arruolamento obbligatorio, la levée en masse, è finito con la guerra del Vietnam. I vietnamiti ebbero milioni di morti, ma tennero duro, mentre agli USA bastarono 58.000 caduti per togliere le tende. Nell’ultima guerra, gli americani preferirono sganciare due bombe atomiche piuttosto che rischiare qualche decina di migliaia di uomini in un assalto finale all’arma bianca.

Del resto, gli americani, che pure sono un popolo guerriero nel quale il servizio militare gode sommo prestigio, non hanno mai più vinto una guerra una volta messo piede a terra e ingaggiato un confronto territoriale convenzionale. In Afghanistan hanno lasciato il campo a una torma di fanatici male armati e con gli infradito dopo una lunga occupazione costata solo 2.300 caduti…

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