venerdì, Febbraio 21, 2025

Roger Lenaers SJ: linguaggio e teo-logia (P. Zambaldi)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

«Il linguaggio tradizionale della Chiesa è divenuto estraneo per gli occidentali del terzo millennio. È un linguaggio per affiliati, compreso solo da un residuo in rapido calo di fedeli che hanno ancora familiarità con l’immaginario del passato.». Il gesuita belga Lenaers è profondamente convinto di questa necessità di cambiamento, non tanto per abbandonare fede e spiritualità, ma per tradurre il messaggio cristiano in un linguaggio che l’umanità odierna possa comprendere e in cui essa possa riconoscersi. Questa per Lenaers fu la missione di una vita, convinto profondamente che la fede non sia qualcosa di statico e che, se cambiare costa ancora fatiche e non è certo indolore, è qualcosa di estremamente necessario per continuare a “tradurre” il messaggio del Nazareno al mondo odierno.

Quando affronta il tema della “lingua/linguaggio” il gesuita di Ostenda inizia il suo ragionamento andando a vedere quali sono i significati che possono essere associati ad esso: dalle parole ai modi in cui esse si raggruppano per esprimere idee e concetti; dai tanti segnali e convenzioni della comunicazione non verbale al ricco e complesso linguaggio del corpo umano; fino ad abbracciare tutto ciò che aiuta l’uomo a trasmettere pensieri, immagini, emozioni. Il linguaggio umano, così ricco e variegato, è qualcosa che può andare oltre la semplice descrizione della realtà e diventare un ottimo mezzo per l’essere umano di auto-espressione, di emersione del vero sé, di costruzione identitaria. 

Per Lenaers la domanda centrale, non riguarda tanto i meccanismi di comunicazione umana e la loro evoluzione, ma attiene al perché noi umani sentiamo questo irrefrenabile richiamo verso la comunicazione e la condivisione. Questo bisogno ancestrale, da sempre presente nella vita dell’uomo e nelle sue espressioni spirituali o religiose, si può riassumere in poche decisive parole: stabilire connessioni/relazione con l’altro-da-me, essere confermati/rassicurati nelle nostre convinzioni, dare un’identità a noi stessi, al nostro pensiero e al gruppo umano in cui siamo inseriti. Il problema di oggi è che questo sistema di comunicazione ed identitario, è entrato pesantemente in crisi in tutto l’occidente e le parole/formule/espressioni “vestigiali” che ci sono rimaste sono spesso insignificanti per noi e per la nostra esistenza. Non a caso Lenaers afferma che, dal punto di vista religioso ma non solo, «Un sistema di comunicazione compreso da tutti per oltre mille anni si è improvvisamente trasformato, senza migrazione di Stati o invasioni barbariche, in una lingua straniera, in un linguaggio morto (…).». 

Un altro punto importante, e spesso ignorato o male interpretato dai cristiani conservatori, è che il linguaggio è condizionato dal suo essere indissolubilmente legato al tempo: questo è vero per ogni sua espressione sacra o profana che sia. Infatti ogni linguaggio religioso  risultare incomprensibile per la post-modernità perché esso è legato a realtà, immaginari e concetti che risalgono a tempi arcaici, pre-moderni e pre-scientifici. La post-modernità, con la sua visione più cosciente, più ampia, più orientata alla pluralità e alla relatività/provvisorietà delle verità e dei risultati, non può che trovare difficile il relazionarsi con un linguaggio antico e statico, un idioma che pretende anche di essere eterno/definitivo e, perciò, immutabile.  Dunque il problema che Lenaers rileva, a partire dal suo ragionamento teologico e dalla sua attività pastorale di una vita passata a contatto con le persone, consiste in un linguaggio religioso strenuamente difeso dalle teologie “di corte” e dalle gerarchie religiose di tutte le Chiese, che è ormai un elemento estraneo alla vita e alla realtà odierna in Occidente.  

Riflettendo sugli scritti di Lenaers, Claudia Fanti, fa notare come l’autore si proponga di rileggere il cattolicesimo, e il cristianesimo stesso, partendo da un problema fondamentale: la necessità di passare «dall’eteronomia alla teonomia, intesa come “riconciliazione tra l’autonomia dell’essere umano e la fede in Dio”» (Fanti C., La Buona Novella nel linguaggio della modernità. Un teologo belga “riscrive” il catechismo, Adista Documenti n° 44 del 25/04/2009). Nel fare questo il gesuita belga, volutamente, realizza opere accessibili nel linguaggio anche ai neofiti e presenta testi agevoli senza ponderosi apparati di note. 

Lenaers mette in evidenza come i tre grandi monoteismi, dall’Ebraismo al Cristianesimo passando per l’Islam, seguano, al netto di alcune specificità, logiche di fondo e teo-logie sostanzialmente identiche in alcuni punti fondamentali. Infatti alla base di questi grandi sistemi esiste un assioma, scelto e rafforzato nel tempo per mantenere in vita tutte le sovrastrutture di potere e controllo sociale essenziali per la sopravvivenza delle religioni storiche, che Lenaers definisce una visione eteronoma.

Che il cristianesimo segua una logica eteronoma è testimoniato dall’universo delle rappresentazioni tradizionali che hanno sempre dipinto la realtà come scissa: un mondo reale (creato) che è collegato e plasmato da un mondo ultraterreno. Un regno celeste concreto, quasi “fisico” con le sue leggi e le sue dinamiche. Un modo di rappresentare la realtà della terra e dell’universo che si è protratto nell’umanità per millenni, partendo dalle Scritture e dai miti del passato fino alla teologia, ai dogmi e ai concili delle nostre chiese odierne. Questo assioma incontestabile, quello di più mondi visibili e invisibili connessi tra loro, contribuisce a rendere il cristianesimo, e le istituzioni che lo propongono, come qualcosa di non più credibile, una fuga dalla realtà, un mito del passato a cui si rimane indifferenti. 

Nel vocabolario teologico-filosofico occidentale l’eteronomia si riferisce alla condizione in cui un individuo, o un gruppo/società, indirizza la propria vita in base a norme esterne, piuttosto che seguire la propria volontà o ragione. Ne risulta che, seguendo questa logica propria degli odierni fondamentalismi religiosi, l’uomo non raggiungerà mai la libertà e l’autonomia, ma rimarrà un essere impaurito, schiavo e costantemente dipendente. Questo concetto è diametralmente opposto alla logica dell’autonomia, che spinge l’uomo ad agire secondo la propria volontà e la propria ragione. Lenaers si domanda anche se sia questo cambio di prospettiva, che ha affermato la morte del “Dio” del teismo, ad aver generato l’ateismo contemporaneo. La risposta dell’autore abbraccia tutta la complessità della domanda affermando in sintesi che, in Occidente, le Chiese cristiane hanno fatto di tutto per combattere questo anelito umano di crescita e di evoluzione, condannando l’autonomia di pensiero, ostacolando lo sviluppo della libertà individuale e schierandosi quasi sempre contro il progresso del genere umano. La sciagurata battaglia cattolica contro il cosiddetto Modernismo ne è stato un esempio lampante: la Chiesa ha condannato senza appello e perseguitato chi proponeva il dialogo, votandosi così all’insignificanza e relegando il cristianesimo alle “soffitte della Storia”, assieme alle altre mitologie del passato. 

Lenaers ci parla dunque di una «visione teonoma» e ci rendiamo immediatamente conto che, anche se “Dio” e il suo mondo vengono cancellati, il Mistero senza nome continua a vivere, non in un mondo esterno e lontano, ma dentro il nostro mondo e noi stessi. Lenaers a riguardo conclude affermando che «Questa riconciliazione di autonomia e fede in Dio è chiamata «teonomia». Colui che pensa teonomamente riconosce in Dio (in greco: theós) la dimensione più profonda di ogni cosa e pertanto anche la legge (dal greco: nomós) interna del cosmo e dell’umanità. In questo pensiero teonomo esiste un solo mondo: il nostro. Ma questo mondo è sacro poiché è la costante autorivelazione del sacro mistero che chiamiamo “Dio”.». In quest’ottica nuova anche il concetto di “salvezza”, l’esperienza di Gesù di Nazareth e il nostro essere comunità in cammino cambia in modo decisivo. 

In questa prospettiva il gesuita belga spiega come l’umanità odierna, che ha assimilato il pensiero scientifico e ha uno sguardo nuovo su se stessa, sul cosmo, su “Dio”, non possa più accettare acriticamente le formulazioni del passato basate su credenze magiche e su di un pensiero eteronomo.

P. Zambaldi, 18/02/2025

Roger Lenaers (Ostenda, 4 gennaio 1925 – Heverlee, 5 agosto 2021) è stato gesuita e teologo belga. Ha studiato in modo approfondito filosofia, teologia e filologia classica. Dal 1995 è stato in servizio pastorale come sacerdote a Vordernhornbach e a Hinterhornbach (Lechtal, Tirolo). Come laureato in filologia classica, nonché professore di greco e latino nelle scuole superiori, si è specializzato nella didattica delle lingue classiche (ci sono a suo nome circa 30 pubblicazioni, libri di testo, sempre provvisti anche della guida per l’insegnante). Nella sua vita ha insegnato religione nelle scuole superiori e si è dedicato alla formazione degli insegnanti di religione. Ha trascorso gli ultimi anni della sua vita nella Casa dei gesuiti a Lovanio.

Opere importanti per approfondire il pensiero di Lenaers:

Il sogno di Nabucodonosor. Fine della Chiesa cattolica medievale, Massari, 2009;

– AA.VV., Oltre le religioni. Una nuova epoca per la spiritualità umana, a cura di Claudia Fanti e don Ferdinando Sudati, Gabrielli, 2016;

Gesù di Nazaret. Uomo come noi?, Gabrielli, 2017;

Cristiani nel XXI secolo? Una ri-lettura radicale del Credo, Il pozzo di Giacobbe, 2018.

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