La figura di don Milani è stata a lungo significativa non solo per quei giovani, che lo conobbero di persona, ma anche per quelli che ne condividevano “da lontano” le idee e le scelte.
Così come è stata importante per quei cristiani che cercavano di dare un senso alla loro fede, per quelli che sentivano l’inadeguatezza di una Chiesa rigidamente clericale, sempre schierata a fianco di chi sfruttava i poveri e che, di certo, non stimolava la presa di coscienza dei loro diritti, nè amava la schiena dritta di fronte ai padroni. É stata importante per quelli che dubitavano che quella Chiesa fosse quella annunciata dal Vangelo…
Per essi don Milani rappresentò un punto di riferimento, una speranza, una luce di verità.
Anche molti non credenti si lasciarono coinvolgere dalla sua radicalità evangelica, dalla sua onestà intellettuale, dalla sua vita di povero con i poveri.
L’ostilità del suo vescovo e non solo divenne pubblica, e lasciò addolorati e sconcertati tutti coloro che lo apprezzavano e ne seguivano gli insegnamenti.
Il suo superiore prese di mira la scuola che aveva aperto nella parrocchia di S.Lorenzo a Calenzano dove era cappellano. Una scuola per giovani adulti, non necessariamente credenti, nella quale più che l’alfabetizzazione, si curava la maturazione di una coscienza critica riguardo al mondo. Dunque il porsi domande sull’agire della politica, sulla giusta rivendicazione dei diritti del lavoro, sulla necessità di assumere iniziative concrete affinchè questi diritti fossero garantiti, in particolare i diritti del mondo operaio.
Una scuola in cui il tema della pace, peraltro al centro della carta costituzionale, era particolarmente dibattuto.
Naturalmente in questa scuola si permettevano critiche alla Chiesa, alla sua ricchezza, alla sua potenza, alla sua connivenza col potere. Don Milani infatti era convinto che solo non eludendo le domande scomode, si potesse far intravedere una chiesa “altra”, che sapesse cogliere le istanze del tempo e confrontarsi, senza demonizzarlo, con il mondo marxista.
La scuola fu chiusa. Il maestro trasferito senza la possibilità nemmeno di difendersi. Le sue richieste di confronto con il vescovo non vennero prese in considerazione. Un’esibizione di potere assolutamente in linea con un’idea di obbedienza intesa come servilismo, annullamento della persona, umiliazione…
Don Lorenzo finì a Barbiana, sperduto borgo ancora senza acqua e luce elettrica a far da parroco a 40 persone sparse tra i boschi. Un uomo intelligente, animato da una grande fede, un uomo giovane che aveva l’unica colpa di criticare “costruttivamente” la Chiesa di cui era parte. L’aveva fatto anche con un libro, “Esperienze pastorali”, prima edito e poi ritirato, contro il quale si erano scagliati con livore i rappresentanti di quel conservatorismo cattolico becero e stupido, ma estremamente potente (allora… e forse anche oggi).
In quel libro vi è la testimonianza di un prete che vede l’inadeguatezza pastorale della Chiesa, il suo non essere espressione dell’evangelo, la sua intolleranza nei confronti delle istanze del mondo moderno, il suo autoritarismo spacciato per “protezione dei valori”…
Ma anche nell’esilio di Vicchio la sua luce non si spense… “Non potendo fare il prete, faccio il maestro” disse. E diventò famosa la sua scuola, i suoi metodi, il libro scritto con i suoi alunni, libro in cui si evidenziava la necessità di abbandonare una scuola borghese a favore di una che promuovesse la dignità delle masse operaie impoverite dal capitalismo rampante.
Così come nessuno può dimenticare “L’obbedienza non è più una virtù” che stigmatizzava la presenza di cappellani militari, nonché un’idea di obbedienza che cessa di essere virtù per “diventare una subdola tentazione”, quando essa porta l’uomo ad accettare la guerra.
Ora il Papa e di recente il Presidente della CEI, citano don Milani in modo asettico, senza (non sia mai!) sottolinearne le scelte, senza riprenderne le idee.
E ovviamente senza chiedergli scusa per le sofferenze che la “madre Chiesa” gli ha inferto con deliberata crudeltà, persino quando era ammalato.
Perché allora nominarlo? Perché dunque citare un “prete” molesto e critico, un paria della Chiesa, un dimenticato?
Perchè fa parte di un atteggiamento populista. Dare a tutti un contentino. Mettere tutti e tutto sullo stesso piano. Far sparire le persone, persino quelle profetiche, nel mare del qualunquismo mediatico. Un cinismo davvero inimmaginabile col quale si ignora volutamente tutta la sofferenza fisica e spirituale che la Chiesa gerarchica (non altri) ha inflitto a un uomo nobile e coraggioso! E poi si parla di combattere il clericalismo, di misericordia, di Chiesa in uscita…
Vorrei concludere ricordando a tutti, ma soprattutto a chi il potere lo gestisce nella nostra Chiesa, che il modo migliore per “fare pace” con don Lorenzo e con tanti altri profeti perseguitati (Turoldo, don Primo Mazzolari, don Tonino Bello, Ortensio da Spinetoli…) sarebbe quello di smetterla una buona volta di confondere “potere” e “servizio”, accogliendo invece chi nella Chiesa mostra strade nuove… non continuare (come si sta facendo anche adesso!) a non mettersi mai in discussione, a condannare e a perseguitare!
Noi che don Milani l’abbiamo amato e ascoltato, rimaniamo sgomenti davanti a questa ennesima delusione e nel nostro cuore gli chiediamo di perdonarci per non averlo difeso abbastanza, per non esserci ribellati abbastanza…
don Paolo Zambaldi
Bravo Paolo!
Parole dure, vere, evangeliche come piacere a a Lorenzo. Se non servono a loro, serviranno a salvarci l’anima, diceva.
Continuiamo a rompere il muro di carta e d’incenso, sempre a qualsiasi costo!
Ciao con un abbraccio dal Brasile.
Anna Maria Rizzante