La preghiera è questione di attenzione, o se vogliamo, di consapevolezza. La preghiera rende noi esseri distratti – letteralmente tirati un po’ di qua e un po’ di là e quindi mai seriamente al centro delle cose – attenti a ciò che si vive, presenti al reale, al qui ed ora, per scorgervi dentro la Presenza. Che sia un incontro, uno sguardo, le stelle, il bere ad una sorgente, tutto ciò che ci succede per caso, può divenire teofania, luogo di incontro col divino, perché in ultima analisi, “il caso, è Dio che passeggia in incognito” (Albert Einstein).
La preghiera diviene così, l’antidoto più potente contro una vita distratta, banale e superficiale.
Per cui, va da sé, che per scorgere Dio all’opera, o se vogliamo ‘fare la –cosiddetta- volontà di Dio’, occorre vivere una fedeltà non tanto a Dio, ma a noi stessi, agli avvenimenti che ci capitano, obbedienti alla storia. Dio si rivela lì! Dio non scavalca l’umano. Occorre diventare fedeli alla nostra umanità più profonda, non tradirla mai.
Rischiamo di vivere tra rimpianti e rimorsi, lacerati cioè tra l’ avrei dovuto, e l’avrei potuto.
Dio non chiede di cancellare nulla del nostro passato, ma di scorgere in esso la sua presenza. Non annulliamoci, Dio ha fatto tanta fatica a farci crescere! Diciamo piuttosto: “Sì, valeva la pena soffrire, perché alla fine è nato qualcosa di grande, e ho scoperto così un sentiero insospettato che mi conduce alla cima del monte. Ora so che una mano ha preso la mia mano”
La preghiera fa essere aperti all’imprevisto, perché il previsto lo conosciamo già. Cosa attendiamo se non l’inaspettato? Se ci aspettassimo ciò che ci aspettiamo, perché viviamo? La vita sarebbe solo consuetudine, visione di cose già viste, una ripetizione che porta alla noia per dirla con Moravia, o alla nausea per dirla con Sartre.
La preghiera è evento di stupore: sorprendersi per una visita inattesa.
don Paolo Scquizzato
29 gennaio 2016