Le persone di fede musulmana che vivono in Europa fanno fatica a vedersi riconosciute come parte integrante del futuro del continente. Che siano in Europa da pochi anni o da più generazioni, vengono spesso avvertite – dal resto della popolazione, ma anche dalle stesse istituzioni – come un “corpo estraneo”.
L’islam costituisce oggi una realtà costante e imprescindibile del panorama culturale, religioso e politico dell’Europa, specie quella occidentale. Il suo insediamento e la sua sedimentazione sono frutto di diversi fattori concatenati: il colonialismo; la manodopera immigrata negli anni del boom economico (’50 e ’60 del secolo scorso); il ricongiungimento familiare e infine, negli ultimi anni, il flusso di migranti/profughi scappati dalla fame e dalle guerre (Somalia, Afghanistan, Iraq, Siria ecc).
La fede islamica è oggi la seconda religione in Europa dopo quella cristiana. Quanti sono esattamente i musulmani che risiedono nel vecchio continente non è dato sapere. Le statistiche parlano di 20 milioni circa, ma è un dato indicativo in quanto il calcolo delle stime non si basa su una metodologia di ricerca uniforme e condivisa tra tutti i paesi europei. In particolare, vi sono due parametri di non facile trattamento.
1) La definizione di “musulmano”. Un immigrato che viene dallo Yemen, paese a stragrande maggioranza musulmana, se non crede nella esistenza di Allah come viene “registrato”?
2) Il criterio della nazione di origine. Come classificare gli immigrati che provengono da paesi come l’Albania, dove circa un terzo della popolazione non è musulmana?
Sui musulmani in Italia, ad esempio, i dati relativi al Dossier statistico immigrazione Idos/Confronti di quest’anno parlano di 1,6 milioni di musulmani, mentre il Pew Research Center (Prc) li dava intorno ai 2,2 milioni già nel 2010. I calcoli (stime e proiezioni) dello stesso centro di ricerca indicano una crescita decennale dell’incidenza dei musulmani in seno all’intero continente europeo pari all’1%. Saranno 58 milioni nel 2030 (vedi grafico).
Circoscrivendo il campo di analisi alla situazione nell’Unione europea, la stima del Prc indica una popolazione musulmana di circa 30 milioni nel 2030, con un’incidenza pari al 7% sulla popolazione totale (era sotto il 5% nel 2010). Si tratta di una realtà molto eterogenea e plurale, anche se vi sono due gruppi che si contendono la leadership e quindi la rappresentatività presso le istituzioni pubbliche e private al livello europeo: i marocchini e i turchi, presenti in quasi tutti più importanti paesi dell’Unione. Mentre altri gruppi sono più concentrati in alcuni paesi come il Regno Unito, dove prevale la “comunità” indo-pakistana, e ciò deriva da un retaggio coloniale, come anche nel caso della Francia con i maghrebini (gli algerini in primis) e gli africani subsahariani.
L’integrazione dell’islam rimane a tutt’oggi uno dei nodi politici e sociali da sciogliere in quanto esso risente del peso di diversi fattori.
Alcuni di questi fattori sono endogeni alla società europea:
1) lo scontro ideologico, radicato nella storia, tra cristianesimo e islam. Questo retaggio è più presente in paesi a maggioranza cattolica e ha forti ricadute politiche sul rapporto istituzionale con le comunità islamiche: si veda il caso dell’Italia e quello della Francia; fa eccezione la Spagna, che fu colonizzata dagli arabi per oltre sette secoli e fu a lungo in stretto rapporto con la cultura islamica;
2) l’islam, essendo una realtà “importata”, viene inevitabilmente collegato all’immigrazione, suscitando in alcuni segmenti della società civile e del mondo politico una chiara avversione nei confronti dei due fenomeni sociali considerati una minaccia per l’“identità” e la sicurezza dell’Europa.
Altri elementi, invece, sono strettamente legati a fattori esogeni:
1) le guerre e i conflitti che affliggono da anni diverse parti del mondo musulmano e che coinvolgono anche l’Europa per ovvi motivi geopolitici. Da ciò deriva in gran parte il dilagare del terrorismo, anche in Europa, e l’emergere del fenomeno dei jihadisti europei che fanno i pendolari tra Europa e Medio Oriente;
2) l’ingerenza degli Stati islamici nella vita delle comunità islamiche e nella gestione delle reti associative islamiche, come fanno il governo algerino in Francia, quello marocchino in Italia, quello turco in Germania e via dicendo. In questo processo di controllo delle “diaspore” musulmane si sono inserite con decisione le petro-monarchie del Golfo (specie a partire dalla cosiddetta “primavera araba”), le quali hanno investito ingenti quantità di denaro nella costruzione di moschee in giro per l’Europa. Il Qatar, per fare un esempio, è pienamente coinvolto in questa operazione con lo scopo di estendere la sua egemonia sull’islam in Europa. Attraverso il finanziamento per la costruzione delle moschee, il Qatar sta rimpiazzando i tradizionali paesi dai quali proviene l’immigrazione islamica in Europa (Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Pakistan, Turchia ecc) e investe logicamente nei luoghi di culto sotto controllo dei Fratelli musulmani (Fm). In Francia svariati milioni di euro sono stati investiti nella realizzazione di nuove moschee (Nantes, Mulhouse e Marsiglia) attraverso la Qatar Charity, una ong “caritativa”. In Irlanda, il Consiglio municipale ha autorizzato la costruzione di una moschea – finanziata in parte dal Qatar – nella periferia di Dublino, città dove risiede l’European Council for fatwa and Research di cui al-Qaradawi (ideologo dei Fm) è il massimo esponente. Gli sceicchi del Qatar corteggiano i musulmani in Italia: dal dicembre 2012 all’ottobre 2013, sono state inaugurate tre grandi moschee con ingenti contributi della Qatar Charity: la prima a Catania, la seconda a Ravenna e l’ultima a Colle di Val d’Elsa (Siena).
In passato non sono mancate aspre polemiche sulle moschee in Europa, sul controllo finanziario e ideologico che i donatori stranieri esercitano sui musulmani. Oggi invece su questi finanziamenti si mantiene un profilo basso: i politici non ne fanno più un argomento di propaganda e i media ne parlano poco, perché il Qatar, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono ottimi alleati con i quali si fanno ottimi affari, specie nel commercio del petrolio/gas e delle armi.
L’intreccio tra tutti questi fattori (interni ed esterni) hanno finora reso vano qualsiasi processo di “cittadinizzazione” dell’islam nel contesto europeo, volto a far sì che i musulmani, a partire della seconda generazione, possano considerasi senza reticenza musulmani europei a pieno titolo. La mancanza della volontà politica di considerare l’islam una parte integrante del futuro dell’Europa è testimoniato anche dai problemi nella concessione della cittadinanza alle persone di origine straniera, comprese quelle musulmane: ad oggi è rimasta sensibilmente bassa, la media europea è del 2,5% nel 2014 (vedi Dossier Idos/Confronti 2016).
Inoltre i modelli di integrazione (intesa come processo d’inserimento assistito attraverso strumenti adeguati ed inclusivi di formazione, di inserimento lavorativo, di politiche alloggiative mirate, per evitare i quartieri-ghetto come la Goutte d’or a Parigi, il Tower Hamlets a Londra o Porta Palazzo a Torino) messi in atto ad oggi, da quello repubblicano giacobino assimilazionista francese a quello cumunitarista inglese o ancora a quello multiculturalista tedesco, hanno prodotto scarsi risultati.