martedì, Dicembre 24, 2024

“Dio” è morto… ma “dio” vive (don Paolo Zambaldi)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

La guerra (e l’oppressione attuata da regimi violenti) di oggi e di ieri, con le crudeli conseguenze che ne derivano e che sempre colpiscono i più poveri sterminandoli, violandone i diritti e le speranze, pone inevitabilmente domande sul come si concepisca l’idea di Dio.

Ogni parte “combattente”, infatti, si giustifica dicendo di mettere in pratica il volere di Dio. E ogni parte sofferente e disperata chiede “il miracolo”, invoca la potenza di Dio.

Questo Dio in realtà è un Dio “sequestrato”, a cui noi abbiamo affidato un ruolo che di volta in volta rispecchi, giustificandoli, i nostri bisogni, le nostre attese.

Continua ancora (anche se con maggiori perplessità), nonostante le clamorose smentite, la narrazione di una divinità onnipotente, che sia capace di intervenire per modificare la storia. Un Dio che molto “umanamente” scelga un campo, un popolo, un’etnia, una religione persino un singolo uomo con cui schierarsi. Si pensa ancora che egli viva “nell’oltre” o come Dio padre/provvidente/giudice/vendicatore (teismo) o come un “completamente altro” (ad esempio negli scritti di E. Levinas) ma comunque fuori dalla realtà fisica/naturale/umana, in una dimensione che si definisce appunto “meta-fisica”.

Ma questo Dio, qualunque cosa egli sia, non solo sembra sordo ad ogni invocazione, preghiera, sacrificio, ma punisce l’uomo con ogni sorta di male, sebbene dica di amarlo… Il suo è capriccio, sadismo o semplicemente indifferenza verso le sue stesse creature? Tutti l’abbiamo pensato più spesso di quello che vogliamo ammettere!

Ma chi si interroga onestamente su ciò (i non–credenti/atei che possiamo leggere ora in chiave profetica/anticipatoria, ma non sono pochi nemmeno i fedeli a una qualche religione), usando non solo la ragione, ma anche il sentimento e l’amore per l’universo tutto, non trova risposte che reggano, nelle dottrine, nelle scritture, nelle teologie, nelle dogmatiche che tutte si fondano su quello stesso concetto non più credibile di un Dio avulso dal mondo, fondamento di ogni verità e immutabile.

Non convince ovviamente la risposta che vien data dalle chiese, quando sorgono questi interrogativi, e cioè “che i pensieri di Dio sono misteriosi (e dunque non si possono indagare/contestare razionalmente)… che il dolore è frutto della colpa… che dobbiamo espiare il fatto di essere donne/uomini cacciati dall’Eden, un peccato ab origine… e che se ora soffriamo poi ci aspettano luminosi aldilà come ricompensa”.

Così come non convince più l’interpretazione letterale della Sacra Scrittura, che essendo storicamente condizionata, risulta escludente/dogmatica/patriarcale/antiscientifica e dunque inadatta ad essere significativa già per l’uomo moderno, ma sicuramente incomprensibile per l’uomo post-moderno…

L’onestà intellettuale, ma anche l’amore per la Verità, spinge ad andare a fondo sulla questione perché non è affatto marginale, nemmeno per un mondo che pare indifferente al sacro e perché la vita non perda ogni senso… perché non ci si lasci trascinare nel mare oscuro del nichilismo che ingoia ogni spiritualità e porta alla disperazione.

Del resto il problema viene da lontano. Molti filosofi/teologi veri profeti, han dato risposte più convincenti al riguardo, a volte rimettendoci gravemente a livello personale, come spesso succede a chi va oltre il mainstream culturale/religioso del suo tempo.

Già Baruch Spinoza (1600) aveva messo in chiaro che quel “Dio” descritto nella Bibbia (un Dio a misura d’uomo)  aveva portato solo conflitti, guerre di religione, crociate, violenza, esili ed epurazioni. Lui stesso fu cacciato dalla sua sinagoga, perché aveva osato una riflessione libera sulla interpretazione della Torah. Baruch concepisce dio non più esterno a noi, ma in noi. Egli è infatti la verità che ci appartiene, il bene intrinseco all’universo, la nostra libera potenzialità di realizzare noi stessi come uomini liberi e responsabili. È un dio da scoprire, potremmo dire un dio “da vivere” più che da adorare…

Poco dopo l’illuminismo col trionfo della ragione, vista come unica difesa contro l’oscurantismo del pensiero medioevale, aveva minato fortemente la visione ebraico-cristiana di un Dio personale e soprattutto provvidente, dato che i   progressi scientifici, frutto del pensiero umano, scardinavano senza più ombra di dubbio molte delle “verità bibliche”, peraltro già confutate da Galileo, e rendevano insostenibili dogmi e assoluti morali fondati su un essere metafisico di stampo parmenideo…

La successiva inarrestabile evoluzione della scienza e della tecnologia, la riflessione filosofica post-metafisica, la comparsa della psicoanalisi, la rivoluzione marxista obbliga ora l’ uomo post-moderno (cioè noi!), religioso e non, a un profondo ripensamento riguardo alla definizione/descrizione di dio e lo rende finalmente consapevole (il processo è in fieri) che il radicale cambiamento del linguaggio, inteso come interpretazione del reale, non permette più al mondo di oggi di comprendere “il sacro” come soprannaturale. Ciò lo porta ad accettare, con sempre maggiore convinzione, la secolarizzazione, frutto maturo di cambiamenti ormai secolari, non più come un allontanamento dalla “fede” tout court (come temono tutte le chiese), ma come una “riappropriazione di senso”. Dio non è più dato, ma dio è cercato là dove si manifesta.

Quando Nietzsche fece gridare a un pazzo che “Dio è morto”, non fece che sottolineare che quel Dio trascendente era morto per sempre, “ucciso dai suoi credenti”, perché era un Dio senza senso, che umiliava l’uomo rendendolo schiavo. Ma colui che interpretò in maniera assolutamente condivisibile questo cambiamento fu assolutamente Martin Heidegger che mise in crisi il concetto stesso di metafisica e pose un fondamento filosofico alla base del rifiuto di concepire un Dio “altro” dall’esperienza umana. Egli diede compimento a quello che molti filosofi scienziati psicologi avevano affermato ormai da anni. E cioè che era in atto un superamento del dualismo materia/spirito e che era necessaria la “morte di Dio” come Assoluto e la morte di conseguenza di tutti gli assoluti.

Heidegger afferma che la verità non è più oggettiva, ma “plausibile e persuasiva”, perché l’essere assoluto che prima ne costituiva il fondamento è in realtà semplicemente un “evento”. In passato infatti, la cultura e la religione, (il cristianesimo) si fondavano su schemi ritenuti veri/assoluti perché appartenenti all’occidente (dunque buoni e veri per definizione), ma ora al confronto con altre culture e religioni, mostrano la loro caratteristica di “momenti transitori”, e si scopre che il rapporto col mondo cessa di essere “fondato su una verità oggettiva”, “data da là fuori” (come espresso da G. Vattimo). La storia è orientata dunque verso l’indebolimento dell’essere (come fondamento inattaccabile), verso la fine del soprannaturale (il cielo è vuoto) e del regno della metafisica, per orientarsi verso un “regno del senso”.

La ricaduta più evidente e temuta di tale secolarizzazione, è il crollo della religione intesa come istituzione regolata e fondata su dogmi, culti, riti. Se l’immagine di Dio è cambiata, è chiaro che per quel tipo di “fede” non c’è più spazio. Né ci sarà mai più!

Ma molto vi è di guadagnato nel cambio di prospettiva, perché la morte della metafisica libera l’autenticità del cristianesimo.

Infatti lo svuotamento della divinità (della sua onnipotente metafisica eternità) si realizza simbolicamente, come intuisce con grande ispirazione profetica Vattimo, nell’ incarnazione. Infatti un pensiero “debole” (nel senso che è privato dei suoi assoluti/Dio) è in realtà più consono alla “carità evangelica” e al “Gesù autentico”, il quale se rileggiamo in quest’ottica i vangeli, non ha fatto che condannare tutto ciò che era dato come assoluto: l’elezione del suo popolo, culti, riti, il tempio, la terra promessa, il potere, la lettura letterale della Bibbia (“vi è stato detto… ma io vi dico”),Dio padre che descrive come potenza trasformatrice dell’uomo …

Egli afferma che solo “l’amore reciproco eccedente perdente/debole” agli occhi del mondo, dona vita. Egli suggerisce un itinerario interiore (sono la via) che scelga gerarchie di valori liberanti (sono la verità), per dare un senso vero alla vita (sono la vita).

Gesù (e non solo lui…) ritiene che l’uomo “volontariamente” convertito a rapporti di armonia e di inclusione scopra il senso del suo esserci, come evento che si realizza qui e ora. Infatti nessuna guida eterodiretta (etica, spirituale) se pur fatta “per il nostro bene” può farci cambiare radicalmente. Nessuna dottrina imposta, nessuna dogmatica elevata a muro protettivo della verità, nessuna minaccia o premio ultraterreno porterà a cambiare la nostra interiorità.

Del resto anche le rivoluzioni politiche, sono destinate a finire nella necessità di imporre con la forza la presunta verità, che cessa appunto di essere tale, se non implica presa di coscienza e responsabiltà individuali.

Niente che vien imposto da un qualche potere esterno è “vero” in assoluto e per sempre. La verità è dentro di noi, dentro l’universo nel quale viviamo. Dobbiamo solo farci carico di cercarla e di viverla.

In questo senso siamo chiamati a smettere definitivamente di affermare che “Dio è la verità”, ma ad accettare il fatto che “la Verità è dio”.

don Paolo Zambaldi

Per approfondire Vattimo G., Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso, Milano, Garzanti, 2002;

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