Il dharma ha un carattere multidimensionale; vi è un ordine generale e eterno che comprende quelle virtù sempre valide indipendentemente dal tempo o dal luogo, quali la nonviolenza, la verità, l’amore, la compassione, il principio del donare e di partecipazione alla vita. A questo dharma generale se ne affiancano numerosi altri specifici, relativi alla condizione che ciascun essere umano vive, al proprio ruolo nella società e alle proprie attitudini. In sintesi, il dharma costituisce il codice dei diritti e doveri di ciascuno; rappresenta la guida per l’azione, la discriminante fra il giusto e l’errato in ciascun comportamento.
Date queste premesse si evince che la condizione umana, finché vi è identificazione con l’ego, è soggetta a errore. Motivo per cui le Scritture e gli insegnamenti dei maestri sottolineano l’importanza di una giusta condotta (sadachara) e di una buona compagnia (satsangha).
Deviare da questi due “binari guida” comporta il rischio di sbagliare e inevitabilmente di soffrire o di far soffrire altri in un tempo più o meno breve.
Tenendo saldo il rispetto delle leggi dello Stato in cui ci si trova a vivere, il reato chiama in campo due fattori principali: la pena e il perdono. Nelle Scritture si menzionano diverse forme di espiazione, prayascitta; tra queste il pellegrinaggio ai luoghi sacri, il digiuno, la preghiera, rituali specifici, la detenzione, e altre.
In questa ottica è importante la sequenza del rendersi conto dello sbaglio o dispiacere per la sofferenza prodotta, per poi chiedere scusa (o riparare, per quanto possibile, in maniera diretta o indiretta) per produrre un cambiamento al fine di non ripetere più l’errore.
Nell’uomo comune, se il pentimento è autentico, sarà lo stesso autore del reato a volersi purificare dalla sua azione scorretta e l’accettazione del carcere è un modo per incominciare a pagare il proprio debito. La sofferenza della privazione della libertà e dell’allontanamento dalla propria vita, dagli affetti e dalla comunità di appartenenza, se affrontata in modo consapevole, può trasformarsi in opportunità.
Ovviamente è importante la creazione di una relazione umana, tra operatore carcerario e detenuto, fatta di rispetto, di capacità di entrare nel “linguaggio” della persona per condurla in questa presa di coscienza, restando attenti alle trappole del buonismo, del giustificazionismo, dell’attribuzione della “colpa” alla fantomatica società, in quanto – pur esistendo ovviamente condizioni di vita più o meno favorevoli – la responsabilità delle azioni è individuale e individuale ne è la soluzione, compresa la volontà di trarre giovamento dall’aiuto offerto al miglioramento di se stessi.
L’induismo poi ha a sua disposizione anche lo yoga; se approcciato nella sua autentica matrice filosofica e spirituale, offre un cammino di consapevolezza, di presenza mentale innanzitutto nel corpo e poi nel respiro, per orientare successivamente la psiche alla purificazione delle impressioni inconsce.
Lo stesso dicasi per le vittime e le loro famiglie. Il processo del perdono è un po’ più facile se si vede nel “carnefice” il percorso di cambiamento a cui abbiamo più sopra accennato, ma anche in questo caso è un cammino che richiede del tempo. I perdoni immediati da intervista televisiva sono poco credibili, a meno che il diretto interessato non sia un illuminato che ha già realizzato il senso della vita! Aver subìto una perdita ad opera della cattiva volontà altrui mette in gioco processi psicologici profondi: la propria sofferenza e quella delle persone amate, gli attaccamenti anche materiali, il senso della giustizia e dell’ingiustizia, le credenze spirituali. Il risentimento, intriso di dolore, di rabbia e di paura, è la reazione umanamente più naturale, ed è solo con un delicato lavoro di trasformazione che è possibile arrivare al perdono.
Infine, anche per la vittima la sofferenza può trasformarsi in una preziosa opportunità di miglioramento di se stessi attraverso l’attribuzione di un senso positivo, per quanto doloroso e difficile, a un’esperienza negativa. Si può diventare più forti e più in grado di aiutare ad esempio chi ha vissuto vicende simili, accettando la propria storia e trasformandola in un’opportunità di crescita.