A 42 anni dall’istituzione della Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese non c’è pace nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme e in Israele. E mentre Tel Aviv è alle prese con una grave instabilità politica, i Territori palestinesi vengono di fatto abbandonati dagli Stati Uniti.
Sono passati 42 anni da quando le Nazioni Unite hanno istituito la Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, eppure non c’è ombra di pace per gli abitanti della Striscia di Gaza e della Cisgiordania.
Almeno 34 persone sono state uccise, tra cui tre donne e otto minori, e più di 80 ferite, negli ultimi raid aerei effettuati dall’aeronautica di Israele sulla Striscia di Gaza tra il 12 e il 14 novembre 2019. Inoltre, sarebbero almeno 48 le abitazioni palestinesi danneggiate, alcune delle quali completamente distrutte. Tantissimi anche i lanci di razzi dalla Striscia di Gaza verso Israele, diretti in particolare sulle città di Ashkelon, Sderot e Netivot.
Striscia di Gaza e Israele: il motivo dei bombardamenti
Questa volta il casus belli è stato un attacco israeliano contro importanti membri del Jihad islamico a Gaza, costato la vita a Baha Abu al Ata, alto esponente del gruppo Palestinian Islamic jihad (Pij). La decisione di compiere alcuni omicidi mirati di militanti del Pij è stata approvata all’unanimità dal gabinetto di Benjamin Netanyahu, leader del Likud. Al Ata era infatti accusato di essere l’uomo di traverso in un possibile accordo tra Hamas e Israele e uno dei principali responsabili dei lanci di missili dalla Striscia di Gaza nel 2019. L’attacco è stato duramente condannato dal leader di Hamas, Ismail Haniyeh, nonostante la rivalità con il Pij per il controllo della Striscia.
Il Council of foreign affari ha definito il Pij come un «gruppo militante islamico di ispirazione iraniana che mira a far deragliare il processo di pace israelo-palestinese». Il Pij, a differenza di Hamas e Fatah, principali fazioni politiche palestinesi, non partecipa infatti alla vita politica e rifiuta di negoziare con Israele o di impegnarsi nel processo diplomatico. Dopo giorni di intensi bombardamenti è stata raggiunta una tregua tra le parti, grazie soprattutto alla mediazione dell’Egitto.
Territori palestinesi: crisi umanitaria nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania
Gli ultimi bombardamenti non hanno fatto che aggravare le già disperate condizioni di vita degli abitanti della Striscia di Gaza. Con quasi due milioni di persone, la metà delle quali minorenni, distribuite su 363 km quadrati di territorio, Gaza è tra i luoghi più popolati al mondo, con una densità di 4.500 abitanti per km quadrato.
«Ancora oggi 2 milioni di persone vivono intrappolate nella Striscia di Gaza, senza nessuna prospettiva. Tutto questo è il risultato di tantissimi errori da ambo le parti e di una politica quasi sempre unilaterale e imposta dall’alto, che ha portato alla paralisi dell’economia palestinese, al quadruplicarsi del numero di coloni negli insediamenti israeliani illegali e alla cronicizzazione di un’occupazione che dura ormai da 52 anni senza nessuna reale prospettiva di pace per i palestinesi, gli israeliani e l’intera regione». Questo l’allarme lanciato da Paolo Pezzati, il policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia.
L’ong ha pubblicato a settembre del 2019 un report intitolato “Dal fallimento alla giustizia”, nel quale si sottolineano le criticità dell’Accordo di Oslo. Due i dati più significativi: la vita di oltre 2,5 milioni di persone, di cui un milione di bambini, dipende dalla presenza di aiuti umanitari; e quasi 2 milioni di persone tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania non hanno un regolare accesso ad acqua potabile e a servizi igienico sanitari.
«All’origine di condizioni tanto drammatiche vi è la severità dei provvedimenti imposti dall’occupazione israeliana che hanno portato a restrizioni della libertà di movimento delle persone, della forza lavoro e delle merci, alla sistematica erosione della base produttiva, alla confisca dei terreni, dell’acqua e delle altre risorse naturali, all’isolamento dai mercati internazionali, a oltre un decennio di blocco e di assedio economico della Striscia di Gaza, alla costosa frammentazione dell’economia palestinese in tre regioni separate e spezzettate tra Striscia di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est», si legge inoltre nella sezione “Palestina senza futuro” sul sito della ong.
Israele: l’instabilità politica travolge Netanyahu
L’attacco contro esponenti del Pij è avvenuto in un contesto di estrema instabilità politica all’interno dello stesso Stato ebraico. I cittadini israeliani potrebbero infatti essere chiamati a esprimere la loro preferenza elettorale per la terza volta in un anno. Il leader del partito Blu e Bianco, il generale Benny Gantz, ha infatti rimesso il mandato per cercare di formare un governo di unità nazionale, facendo così scattare il periodo di 21 giorni previsto dalla legge israeliana.
Durante questo lasso di tempo i parlamentari potranno chiedere un mandato al presidente per cercare di formare un nuovo esecutivo. Una volta che verrà chiusa anche questa finestra temporale, il presidente di Israele Reuven Rivlin dovrà indire nuove elezioni.
A dare il colpo di grazia alla formazione guidata da Gantz è stato in particolare Avigdor Lieberman, leader del partito ultranazionalista Yisrael Beiteinu. Lieberman ha infatti negato il sostegno del proprio partito sia a Gantz che a Netanyahu.
Le nuove elezioni, però, potrebbero tenersi in un contesto diverso rispetto alle precedenti. Il primo ministro uscente, Benjamin Netanyahu verrà infatti incriminato per tre distinti reati. Ad annunciarlo il procuratore generale Avicahi Mandelblit, in riferimento a tre diverse indagini.
Nella prima, il caso 1000, Netanyahu è sospettato di aver accettato regali da parte di uomini d’affari in cambio di diversi favori. Nel Caso 2000 si accusa il leader del Likud di aver avuto contatti con l’editore del quotidiano israeliano Yediot Ahronot per una copertura mediatica a lui favorevole. In entrambi i casi i reati contestati sono di frode e abuso d’ufficio. Nell’ultima inchiesta, invece, quella sul caso 4000, il premier uscente è indagato per aver concesso favori normativi alla Bezeq Telecom Israel, la più grande società di telecomunicazioni di Israele.
Territori palestinesi occupati: ora gli Usa dicono che sono legali
«Gli insediamenti dei coloni israeliani in Cisgiordania per gli Stati Uniti non sono più contrari al diritto internazionale». Lo ha dichiarato Mike Pompeo, segretario di Stato Usa, durante una conferenza stampa sulla questione israelo-palestinese. Questo cambio di posizione da parte degli Stati Uniti, che per 40 anni hanno considerato illegali gli insediamenti israeliani nei Territori palestinesi, potrebbe allontanare ulteriormente la possibilità di una pace stabile e duratura nella regione.
Il presidente statunitense Donald Trump, che dovrebbe presentare già nelle prossime settimane l’atteso piano di pace Usa, durante il suo mandato ha compiuto altri passi importanti verso l’alleato in Medio Oriente: ha riconosciuto Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico, con conseguente spostamento dell’ambasciata Usa, e ha riconosciuto anche la sovranità israeliana sulle Alture del Golan, territorio siriano occupato.
Palestina o Israele? I prodotti Ue dovranno indicarlo
Il dibattito sugli insediamenti israeliani in Cisgiordania ha animato anche l’Unione europea, che ha però deciso di adottare una posizione diversa rispetto agli Usa. La Corte di giustizia europea ha infatti stabilito, nella sentenza del 12 novembre, che «gli alimenti originari di territori occupati dallo Stato di Israele devono recare l’indicazione del loro territorio di origine, accompagnata, nel caso in cui provengano da località che costituiscono un insediamento israeliano all’interno del suddetto territorio, dall’indicazione di tale provenienza».
Non sarà più sufficiente perciò la scritta Made in Israel, ma si dovrà indicare sull’etichetta del prodotto se proveniente dalla Cisgiordania, dalle Alture del Golan, da Gerusalemme Est o dalla Striscia di Gaza. Questo perché, secondo i giudici europei, ai consumatori finali devono essere fornite «le basi per effettuare delle scelte consapevoli e per utilizzare gli alimenti in modo sicuro, nel rispetto in particolare di considerazioni sanitarie, economiche, ambientali, sociali ed etiche».