giovedì, Novembre 21, 2024

Guerra in Ucraina. Cardini: «Un errore continuare ad armare Kiev»

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Lo storico e saggista, tra i promotori del referendum contro gli aiuti bellici: giusto votare sì perché dove c’è guerra bisogna aprire una speranza di pace

Il 3 marzo sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale tre quesiti referendari. Due sono promossi da Generazioni Future (ex Comitato Rodotà, lo stesso dei due referendum sull’acqua del 2011), dal comitato “Ripudia la guerra”. Due dei quesiti hanno come obiettivo il disarmo e uno la salute pubblica, intesi come beni comuni da governare nell’interesse delle generazioni future. La raccolta delle firme per tutti i tre quesiti è cominciata il 22 aprile.

Professor Cardini, in queste ore il Comitato Generazioni Future sta raccogliendo le firme per il referendum contro l’invio delle armi. Perché ritiene che impedendo all’Italia di rifornire l’esercito ucraino si lavori per la pace?

Quando c’è un conflitto, fornire armi a uno dei due contendenti può essere una semplice operazione commerciale, ma dato il tipo di merce trattata si suppone sempre e comunque una qualche simpatia per la causa del Paese favorito, il che significa schierarsi non per la fine del conflitto bensì in favore della vittoria di uno dei contendenti. Quando poi l’invio di armi sia addirittura sancito da un voto parlamentare, com’è accaduto in Italia, allora il Paese che adotta questo comportamento si rende responsabile di un “atto di ostilità” nei confronti di quello avversario, rispetto al Paese che tali armi ha ricevuto.

L’Italia come dovrebbe valutare l’aggressione russa?

Si può certo stigmatizzare e condannare l’aggressione della Russia di Putin all’Ucraina (ma contestualmente si dovrebbero valutare le provocazioni ucraine dal 2014 in poi: la guerra è in realtà scoppiata allora), ma l’invio di armi (e, peggio ancora, d’istruttori e di “consiglieri militari”) è propriamente un atto che fa diventare l’Italia “paese ostile” nei confronti della Russia. Alla pace si arriva in vari modi: i principali sono quelli diplomatici e commerciali. Nei confronti della Russia abbiamo una tradizione di rapporti diplomatici che fino all’inizio del conflitto faceva d noi degli interlocutori graditi e rispettati da parte del governo russo: un fermo invito alla pace, con avviso di provvedimenti di chiusura totale da parte nostra, se fosse diretto in modo rigoroso al Cremlino al di là di qualunque sospetto di una nostra azione richiesta o sollecitata da altre potenze (per esempio gli Usa), fornirebbe al governo russo l’occasione per contare su un possibile ritorno a rapporti amichevoli; ed esso in questo momento ne ha bisogno per rompere l’accerchiamento occidentale. Quanto alla fornitura di armi, è chiaro che possiamo sospenderla nei confronti dell’Ucraina solo informando il governo russo che tale sospensione è direttamente e rigorosamente collegata all’immediato “cessate il fuoco” da parte delle sue forze combattenti. A questi patti, sospendere l’invio delle armi significa sollecitare l’Ucraina alla pace, non abbandonarla al suo destino.

Storicamente, è successo che negando i rifornimenti militari ai contendenti si è favorito un processo di pace?

Accade sempre, e regolarmente, che quando si vuol far cessare una guerra che non ci vede belligeranti si sospenda l’invio gratuito o commerciale di armi ad entrambi i contendenti. Ciò è considerato conditio sine qua non per provare che, durante un conflitto, un paese sia sicuramente ed esplicitamente neutrale.

Bisogna riconoscere però che sul piano delle forniture militari Ucraina e Russia non sono in condizioni paragonabili…

In effetti, no. Dietro all’Ucraina c’è l’intero occidente, allineato e coperto sull’esempio e la sollecitazione che gli proviene dagli Usa, che si dice e si dimostra pronto a fornire armi praticamente (fino ad oggi senza limiti e senza condizioni). Inoltre Usa e Occidente compatti premono energicamente sulla Cina affinché essa non fornisca armi alla Russia. Se si vuole davvero la pace l’invio di armi deve cessare subito, da parte di chiunque e nei confronti di tutti: e il diretto, fermo e sistematico controllo al riguardo da parte della Nazioni Unite è necessario.

Lei crede che una vittoria dei Sì farebbe riflettere Biden?

Biden continuerà a spingere l’Ucraina alla guerra finché lo riterrà vantaggioso per gli interessi del suo paese, del suo governo, del suo partito e della sua stessa nuova candidatura alla presidenza degli Stati Uniti. Il personaggio vuole con tanta energia la prosecuzione del conflitto che, dal febbraio 2022, non ha mai pronunziato nemmeno una volta una qualche proposta di distensione. Questa guerra si è verificata in quanto la politica e la diplomazia degli Usa la consideravano una delle tante vie per favorire il rafforzamento della loro influenza nello scacchiere eurasiatico e un ostacolo a qualunque riaffermazione non solo di potenza, ma anche di dignità del governo russo. Questa guerra sta continuando in quanto il governo statunitense la considera vantaggiosa per sé e dannosa per l’Europa, che è un suo obiettivo quasi altrettanto importante della Russia, anche se attraverso metodi diversi (indebolire l’Europa dal punto di vista direttamente morale per mezzo dell’umiliazione di una guerra imposta e indirettamente economico-commerciale attraverso la ricaduta sui paesi europei di gran parte del costo delle sanzioni).

Perché un cattolico dovrebbe votare Sì al referendum che promuovete?

Perché quando vi sia una guerra il primo dovere del cattolico è provare qualunque via suscettibile di aprire una speranza di pace.

Paolo Viana, Avvenire, venerdì 19 maggio 2023

https://www.avvenire.it/attualita/pagine/intervista-allo-storico-e-saggista-tra-i-promotor?fbclid=IwAR3nV1Ds7z-kO1kzoTGQjskj-ylwHKfwFbV8GF5Vrmlcg-GUp_Rmv7AMJWw

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