mercoledì, Dicembre 18, 2024

È tempo di una nuova idea di Dio? (Vincenzo Pezzino)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

È necessario innanzitutto definire il perimetro di questo argomento, partendo proprio dai termini che compaiono nel titolo e da alcune semplici domande.

È tempo… perché il tempo?

L’idea di Dio cambia con il tempo?

Ma che cosa vuol dire idea di Dio?

E che cosa vuol dire, inoltre, “credere”?

Che cosa ci dice il mondo reale e qual è il ruolo della scienza?

Qual è lo stato di salute del cristianesimo oggi?

1. Certamente l’idea di Dio nella mente umana muta col tempo

Se le verità dogmatiche di una religione durano a lungo, prima o poi nasce un contrasto con la cultura. I dogmi sono immutabili, mentre la cultura progredisce. A un certo punto, quindi, inevitabilmente diventano incompatibili, entrano in collisione.

Nelle epoche antiche a Dio si facevano sacrifici. Bisognava soddisfarlo, per ingraziarselo. Era Lui che evidentemente li richiedeva. E non bisogna fare grandi sforzi per rendersi conto che tale retaggio sopravvive ancora nella tradizione cristiana: Gesù di Nazareth si è “immolato” per noi; è Lui l’ultimo sacrificio per la salvezza dell’umanità; Dio ha sacrificato suo figlio per cancellare i nostri peccati. Un intellettuale, non cristiano, oggi direbbe: “Questa roba è incomprensibile…”. Inoltre, qualsiasi cristiano praticante conosce bene le formule liturgiche che, in ogni celebrazione eucaristica, ripetutamente, richiamano questo concetto.

Ebbene oggi, col mutare del tempo, questa idea di Dio collegata ai sacrifici, non sembra più accettabile. Conosco già un’obiezione: la teoria sacrificale, espiatoria, non è l’unica. Si può pensare diversamente. Ma è anche impossibile negare quanto questo concetto ancora oggi sia presente (e invadente) nella religione cristiana; lo è a ogni passo.

Nel tempo, il progredire delle conoscenze scientifiche ha influenzato il modo di pensare Dio. Pensiamo a Galileo, all’illuminismo e a tutto quello che è seguìto, fino ai nostri giorni.

Torneremo su questo effetto del tempo, a proposito della scienza.

2. L’idea di Dio

Non si può disgiungere l’effetto del tempo da altri mutamenti dell’idea di Dio.

Nella nostra mente Dio può tranquillamente essere buono, giudice, vendicativo, amorevole, misericordioso, implacabile, controllore, padre, responsabile o no dei malanni dell’uomo… a piacere, a seconda di come lo vogliamo. Ma può essere Dio contemporaneamente tutto questo? I mali del mondo, di ogni genere, sono così dirompenti e laceranti che non c’è bisogno di ricordarli. Ancora oggi una grande parte dell’umanità vive ogni giorno il tormento della fame, della guerra, dell’ingiustizia, della povertà, della “distruzione” della propria vita.

Da migliaia di anni (vedi il libro di Giobbe) ci chiediamo perché Dio, supremo Bene, permette il male. C’è una evidente contraddizione tra l’amore di Dio e la sua onnipotenza. Dobbiamo scegliere: o è l’uno o è l’altra (personalmente preferisco che sia bene/amore e non onnipotente). La migliore risposta che finora sia stata data fa leva sul nostro “libero arbitrio”, che riversa sul genere umano la responsabilità dei mali, mentre l’umanità percorre un faticoso cammino verso il bene. “Il male c’è perché Dio ci ha dato la libertà…”. Questa soluzione sembra buona, ma si riferisce sempre ai mali causati dall’uomo, non a quelli indipendenti da lui. Come la mettiamo con terremoti e tsunami che in un attimo cancellano centinaia di migliaia di persone? E che dire delle malattie genetiche gravi o le malattie mortali nell’infanzia? Purtroppo, così, neanche questa tesi è soddisfacente.

Basta renderci conto che Dio non è onnipotente e tutto diventa più chiaro. Ci dimentichiamo facilmente che la vicenda storica del grande profeta dei cristiani, Gesù di Nazareth, ci suggerisce proprio l’immagine di un Dio debole e non potente, e che proprio lui stesso, il Maestro dei cristiani, ha condannato infinite volte la potenza, il dominio, la ricchezza come opere del demonio.

Ma ci vuole proprio tanto a capire che Dio non interviene (e non è mai intervenuto) nelle nostre vicende e che non esaudisce affatto le nostre preghiere “di richiesta”? È del tutto evidente, ce lo dice la realtà, ma, appunto, certi convincimenti sono molto radicati dentro di noi. Non riusciamo a scrollarci di dosso il simbolo della “potenza” come una delle caratteristiche di Dio.

Le elucubrazioni su chi sia o come sia Dio sembrano interamente e genuinamente umane. Così ognuno può farsi l’idea di Dio che più gli piace e a sostegno di quanto pensa può facilmente appellarsi a quelle parole della Scrittura che più convengono e corrispondono a quell’idea.

3. Che cosa vuol dire credere

Credere in Dio vuol dire credere in una frase, in una proposizione dottrinaria? Fare uno sforzo mentale per credere che una verità dogmatica definisca Dio? Dio può essere definito dalle nostre parole? Lo rinchiudiamo in un nostro pensiero? È Dio prigioniero di alcune nostre frasi che secondo noi rappresentano la verità assoluta? Ma come possono il nostro pensiero o il nostro linguaggio delimitare Dio? È forse meglio avere dei sani dubbi che delle certezze assolute. La fede è una continua ricerca; non è equiparabile alla certezza che un sasso lanciato in aria cadrà a terra.

Dio che sta nell’alto dei cieli sembra non esistere più. Non possiamo più “rimetterci alla volontà di Dio” (che a volte può somigliare pericolosamente a un capriccio…). Questa idea di Dio è troppo antropomorfa. Paradossal-mente, invece di dire che Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, dovremmo, al contrario, dire che l’uomo ha creato Dio a sua immagine e somiglianza, attribuendogli, comprensibilmente, qualità e caratteristiche superumane, ma pensate sempre con metri umani!

Insomma, le narrazioni mitologiche sono in declino. Nessun Dio interviene nelle nostre storie singole o collettive.

4. Il mondo reale e ruolo della scienza

Forse la scienza può aiutarci a guardare nella giusta direzione. Scienza e fede hanno ambiti ben distinti. Non sono però tra loro incompatibili. Esistono scienziati credenti e scienziati non credenti.

Il cammino culturale, intellettuale, scientifico, tecnologico dell’umanità (o almeno di una piccola parte di essa) fa sì che oggi non sia più sostenibile un’idea di Dio simile a quella dei secoli passati (e forse neanche dei decenni passati). Quell’idea rimaneva sempre profondamente legata a delle misure umane: un’entità sovrumana (ma, nonostante il termine, ancora troppo umana) e onnipotente, da invocare (richieste a Dio), da ringraziare (lodi a Dio), o per alcuni persino da maledire.

Ma come può essere accettabile tutto questo per la nostra intelligenza, oggi un po’ più smaliziata di ieri? È veramente surreale! Ciò che intendiamo come Dio non può avere meriti o demeriti. È qualcosa di diverso, anche se non riusciamo a definirlo oltre.

Non usiamo sufficientemente la ragione per ascoltare la voce della realtà. Sarebbe già un bel passo in avanti riuscire a usare la nostra intelligenza per leggere i messaggi che ci arrivano dal mondo reale e interpretarli nel modo più corretto possibile. E tale comprensione può fare tesoro di tutti i “bagagli” di conoscenza che via via si sono accumulati grazie al nostro intelletto e che si sono amplificati e irradiati attraverso tante generazioni. Probabilmente Albert Einstein cinquemila anni fa non avrebbe elaborato le sue teorie della relatività, o quantomeno non sarebbe stato in grado di trasmettercele.

Le attuali conoscenze del microcosmo e del macrocosmo non possono non influenzare il nostro modo di intendere il mondo, la vita, la religione, il soprannaturale. Qualsiasi religione “tradizionale”, a sua volta, dovrebbe tenerne conto, pena l’anacronismo, il fallimento, la perdita di credibilità.

Senza un adeguamento “costruttivo” tutte le religioni sono ormai destinate alla dissoluzione, non importa in quanto tempo o con quale ritmo di perdita dei “fedeli”. Intestardirsi su concetti, principi teologici, verità dogmatiche che ormai fanno quasi sorridere vuol dire uscire irrimediabilmente dagli orizzonti del pensiero umano e della cultura in genere, su cui premono con forza sempre più irresistibile le acquisizioni scientifiche di cui il nostro cervello è stato fin qui capace.

La realtà ci parla di un’evoluzione intelligente del creato che procede verso forme sempre più organizzate e complesse, fino alle funzioni del nostro cervello, compreso ciò che intendiamo con le parole coscienza, autocoscienza, spiritualità.

Tale evoluzione abbraccia ininterrottamente la materia-energia che chiamiamo “inanimata”, le macromolecole organiche, il sorgere della vita, la moltiplicazione cellulare, il mondo vegetale, quello animale, le forme viventi via via più organizzate sino a homo sapiens (almeno per quanto fin qui ne sappiamo).

È impossibile che tale evoluzione intelligente sia frutto del caso. Il vero mistero è: quali leggi hanno guidato l’evoluzione dall’energia del big bang e dalle polveri cosmiche primordiali, attraverso molteplici tappe, fino al cervello umano? Una di queste leggi è la selezione naturale darwiniana, ma ve ne sono altre che non conosciamo.

Tutti i pensatori che si sono succeduti dall’antichità sin quasi ai nostri giorni non disponevano delle basi scientifiche, grazie alle quali conosciamo meglio la straordinaria organizzazione e complessità dei fenomeni biologici, campo nel quale oggi siamo arrivati alquanto avanti con criteri rigidamente scientifici, che nulla hanno a che spartire con la filosofia. Pertanto, nel corso del tempo i più famosi filosofi si sono sbizzarriti in astrazioni, teorie, procedimenti mentali anche geniali, che però non tenevano conto delle preziosissime informazioni della scienza, almeno fino a quasi un secolo fa.

La tendenza della materia-energia a organizzarsi in forme sempre più complesse contraddice il principio dell’entropia (secondo principio della termodinamica), secondo il quale un sistema abbandonato a se stesso tende alla disorganizzazione e non al contrario. C’è quindi un meccanismo sconosciuto che spinge questo processo nella direzione “intelligente” suggerita dalla realtà sotto i nostri occhi.

L’andamento di questa evoluzione è molto intrigante, non esente da errori, imperfezioni, passi indietro, tortuosità, ridondanze. Tutto questo lo fa somigliare al caso, ma non è così. Sarebbe stato impossibile arrivare fino a questo punto solo per caso.

L’evoluzione intelligente coincide anche con la tendenza al Bene?

È probabile, è sperabile, ma di questo il mondo reale non ci dà segnali sicuri.

Mentre l’intelligenza nel creato è evidente, molto meno lo è il principio etico.

La presenza di un principio etico nelle sorti dell’umanità e del creato si intuisce, ma non si fa tanto sentire, non appare, resta un po’ nascosta dietro le quinte.

Purtroppo, se guardiamo alla nostra storia, una intelligenza sana è stata continuamente mortificata e sovrastata da una intelligenza folle, che sembra avere poco a che fare con la razionalità. Per convincersene basta leggere un qualsiasi buon libro di storia.

La scienza influenza il nostro modo di pensare Dio. Man mano che si allargano le conoscenze sull’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, man mano che si allarga l’orizzonte di questa conoscenza, inevitabilmente anche l’orizzonte di “chi è Dio” si dilata. Capiamo allora che Dio non è così “antropomorfo” come l’abbiamo immaginato, predicato e tramandato. È molto più “impersonale”. E questo ci aiuta a capirlo proprio la scienza.

5. Crisi del cristianesimo

Nei Paesi occidentali è in atto da tempo una “fuga in massa” dal cristianesimo. Anche per questo si dice comunemente che il cristianesimo e il suo futuro vanno maggiormente cercati oggi nell’America Latina e in Africa, dove la fede è vissuta con maggior intensità e partecipazione.

Naturalmente questa fuga non è da tutti avvertita, certamente non è omogenea, spesso è addirittura inconsapevole. Sarebbe anche molto facile argomentare a favore della resistenza e della incrollabilità del cristianesimo. Ma è un’illusione. La fede cristiana si vive oggi prevalentemente come “consuetudine”, una sorta di effetto “trascinamento” che viene dal passato, da tradizioni consolidate, che ormai si sono sedimentate profondamente dentro di noi. Il vecchio rassicura, il nuovo genera diffidenza.

Se ci chiediamo quale sia l’identità del cristiano, siamo immediatamente portati a pensare più all’adesione a proposizioni dottrinarie (vedi catechismo), piuttosto che alla prassi insegnata dal Maestro, come appare nei Vangeli. La dottrina si rifà a delle “verità rivelate” considerate immutabili. Ma non è un po’ strano che tali dogmi siano stati formulati attraverso vari concili, tra il 300 e il 400 dopo Cristo, cioè diversi secoli dopo le vicende che diedero origine al cristianesimo? Come mai questa verità rivelata non fu chiara sin dall’inizio? Forse proprio perché tanto chiara non era e finì con l’essere il frutto di un pensiero tutto umano, con pignolerie che potrebbero anche farci sorridere. Vale qui la pena ricordare che il cristianesimo attecchì e si espanse presso i “gentili”, cioè i pagani, colorandosi ben presto delle tinte e della cultura greca e mediorientale, e incanalandosi su derive dottrinarie e dogmatiche che Gesù di Nazareth, ebreo, non avrebbe mai sognato.

Come identifichiamo allora i cristiani? Col Battesimo? Troppo semplicistico. Prendiamo come criterio arbitrario i praticanti che vanno a messa la domenica. Le statistiche dicono che in Italia la percentuale non supera di molto il 10% dei fedeli attesi (escludendo bambini e disabili). Veramente pochi. E se si obietta che molti veri cristiani non vanno a messa, si potrebbe ribattere che molti di quelli che ci vanno non sono poi tanto cristiani…

Inoltre, buona parte di quella che chiamiamo fede poggia, da sempre, sulle devozioni popolari, in quell’inestricabile intreccio tra sentimento religioso, ingenuità, superstizione, che alla fine compone quella che chiamiamo “tradizione popolare”. Provatevi ad annullare la festa patronale di una città e vedrete quello che succede!

Potremmo metterci quasi tutti d’accordo, affermando che le verità dottrinali sono oggi più considerate con rispetto che non credute con convinzione.

In conclusione, l’immagine di Dio proposta dal cristianesimo ufficiale sembra ormai vecchia, anzi decrepita, e non può resistere a lungo al normale dinamismo del pensiero umano e all’inesorabile influenza che i “bagagli” continuamente crescenti della storia umana esercitano sulle nostre consapevolezze. Un numero sempre crescente di pensatori e teologi la pensa proprio così, basta andare a cercarli. Vito Mancuso, teologo laico alquanto noto, li ha persino elencati nel suo libro Dio e il suo destino (Garzanti, 2015, pag. 39).

Non propongo soluzioni o verità alternative, ma, come spesso si dice, è meglio un sano dubbio che una certezza che si rivela poi sbagliata. C’è bisogno oggi di una nuova idea di Dio.

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 3 del 28/01/2023

Vincenzo Pezzino, già docente universitario alla Facoltà di Medicina di Catania, impegnato nel movimento Pax Christi e nelle attività del coordinamento provinciale di Libera

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