lunedì, Novembre 18, 2024

Il costo delle armi all’Ucraina: Mil€x spiega perché la presidente Meloni non dice la verità (G. Petrucci)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Quanto affermato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni in Parlamento, e cioè che l’invio di armi al governo ucraino non rappresenterebbe un aggravio di costi per il bilancio dello Stato italiano, appare davvero «poco fondata, proprio per la natura del meccanismo di sostegno militare implementato già poche settimane dopo l’invasione russa, ed è già stata smentita in passato da analisi nostre e condotte da altri». Lo afferma una nota diramata ieri dall’Osservatorio Mil€x sulle spese militari, alla luce anche delle iniziative europee «che impongono una rivalutazione del costo complessivo anche per l’Italia di tale scelta di aiuto militare».

L’Osservatorio già in passato ha stimato i costi dell’operazione nonostante le difficoltà di calcolo dovute alla «secretazione dei dettagli sugli invii armamenti operati mediante successivi decreti interministeriali».

Il ripristino delle scorte

L’invio di armi è stato definito da Decreti-Legge, successivamente convertiti in Legge con voto del Parlamento, da parte dei governi guidati da Mario Draghi prima e da Meloni poi. Lo schema, spiega Mil€x, è sempre lo stesso: con i «Decreti interministeriali vengono individuati materiali di armamento in surplus, non più utilizzati dalle Forze Armate italiane, che vengono quindi spediti verso l’area del conflitto ucraino». Non si tratta dunque di materiali di nuovo acquisto, certo, ma «è altrettanto ovvio che alcuni fondi dovranno essere individuati per il ripristino delle scorte». A conferma di questo, l’Osservatorio cita la dichiarazione, nel corso di un’audizione parlamentare del 25 gennaio scorso, del ministro della Difesa Guido Crosetto, secondo il quale «l’aiuto che abbiamo dato in questi mesi all’Ucraina è un aiuto che in qualche modo ci impone di ripristinare le scorte che servono per la difesa nazionale». A partire dunque dai dati sui materiali d’armamento inviati a Zelensky, si può individuare l’ammanco da ripristinare negli arsenali italiani, e quindi il costo che l’Italia dovrà sostenere.

Il fondo europeo

Data la secretazione non esistono cifre certe: il ministro degli Esteri Antonio Tajani a gennaio identificava nella cifra di un miliardo il valore delle armi inviate, mentre il monitoraggio del “Kiel Institute” parla di circa 350 milioni di euro. «Come dato di partenza di base – chiarisce dunque Mil€x – abbiamo perciò scelto di attestarci su una cifra di 500 milioni che ci pare più realistica nel valutare il controvalore, pur se non è possibile sapere se si tratta di prezzi di costo per nuovo riacquisto o valutazioni di magazzino. Tale elemento di partenza è fondamentale perché, come abbiamo già spiegato, è su tale cifra che si basano le richieste di rimborso avanzate dai Paesi Membri all’Unione Europea, che da mesi ha deciso di aiutare lo sforzo di aiuto militare ingrandendo sempre di più i fondi della European Peace Facility» (EPF), lo strumento finanziario “fuori bilancio” a supporto delle iniziative militari internazionali europee. È stato istituito il 22 marzo 2021 con un fondo di 5.692 milioni di euro, che è poi arrivato a 7.979 milioni a metà marzo 2023 e, a seguito delle decisioni di febbraio scorso, ha toccato quota 3,6 miliardi di euro, proprio per sostenere gli invii di armi all’Ucraina. Spiega Mil€x che «l’EPF è finanziato dai contributi annuali degli Stati membri dell’UE stabiliti in base a calcoli basati sul Reddito Nazionale Lordo per i quali la quota di contribuzione annuale dell’Italia risulta essere di circa il 12,8% del totale».

Mil€x spiega anche che il rimborso dei materiali inviati all’Ucraina può coprire circa il 50% del valore spedito «ma tale quota potrebbe scendere ulteriormente in quanto secondo diversi retroscena molti Stati starebbero gonfiando le cifre relative alle proprie spedizioni».

A marzo poi il Consiglio Europeo ha deciso «un nuovo programma di sostegno all’invio di munizionamento verso l’Ucraina, con due fasi da 1 miliardo di euro ciascuna».

La stima di Mil€x

Insomma, «per tutti questi fondi l’Italia ha un obbligo di contribuzione già evidenziato pari circa al 12,8%, da cui deriva la parte principale del costo che il nostro Paese deve sostenere relativamente alle decisioni di invio armamenti al governo ucraino. In pratica è soprattutto questa “quota collettiva” a gravare sulle casse statali e a smentire con evidenza le dichiarazioni dell’onorevole Meloni: il costo non è direttamente legato al ripristino delle scorte ma esiste ed è rilevante». A conti fatti, afferma l’Osservatorio, «otteniamo per l’Italia ad oggi un costo già sicuro di 838 milioni di euro», che salirà a «oltre 950 milioni di euro» se e quando l’Italia aderirà formalmente alla seconda tranche dei programmi di nuovo munizionamento. Cosa che, verosimilmente, farà.

Giampaolo Petrucci, Adista.org, 23/03/2023

https://www.adista.it/articolo/69736

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