lunedì, Novembre 18, 2024

Sei parole per riportare subito la pace (Patrick Boylan)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

In tutte le piazze, i pacifisti hanno gridato “Stop War”, “Stop Putin”, ma di rado le sei parole che potrebbero davvero riportare subito la pace, “Stop all’espansione NATO all’Est!”, causa del conflitto. Sono parole che la NATO non vuole sentire. Ma con questo suo rifiuto, ci sta portando in guerra.

Il popolo della pace ha dato una bella risposta sabato scorso (26.2.2022) all’editorialista de La Stampa che lo aveva dato per disperso. In tutte le piazze d’Italia e in tantissime città nel mondo, i pacifisti sono spuntati fuori in centinaia di migliaia per gridare la loro opposizione al conflitto in Ucraina.

Due slogan sono prevalsi su tutti: “Stop War”, “Stop Putin”. Raramente, purtroppo, i pacifisti in piazza hanno aggiunto le sei parole che potrebbero invece riportare davvero la pace, e subito: “Stop all’espansione NATO all’Est!”. Perché è stato proprio l’annuncio dell’espansione della NATO in Ucraina – nonché l’aumento dei bombardamenti ucraini contro i russofoni del Donbass – che ha provocato la sciagurata risposta di Putin, il quale vede la prospettiva di missili nucleari NATO sulla propria frontiera come un coltello alla gola.

Ma la NATO sembra determinata a non ascoltare quelle sei parole e i nostri mass media appaiono altrettanto determinati a non citarle nei reportage, quando vengono effettivamente pronunciate nelle manifestazioni, come quella in piazza San Marco a Roma lo scorso sabato. Si direbbe che sono parole tabù. Per quale motivo?

Jens Stoltenberg, Segretario generale della NATO, spiega perché: la libertà dell’Ucraina a far parte dell’alleanza e a lasciar installare i missili NATO a testata nucleare sulla sua frontiera con la Russia, sarebbe una libertà “inviolabile”. Perciò, non importano le preoccupazioni che l’esercizio di tale libertà può suscitare in certi suoi vicini.

Ma la nostra libertà non finisce laddove intacca quella degli altri?

Nel 1962, quando l’allora URSS cercò di installare i suoi missili a Cuba, proprio accanto agli Stati Uniti, l’allora Presidente Kennedy minacciò la terza guerra mondiale. Fece alzare in volo i suoi bombardieri nucleari come avvertimento. E ciò è bastato, insieme allo smantellamento di una base missilistica USA in Turchia, per convincere l’URSS a non costruire le sue basi a Cuba.

Come mai un uomo come Kennedy, agli antipodi di un Putin, ha voluto mostrare i muscoli in quella maniera così prevaricatrice e pericolosa? L’ha fatto perché nessun paese vuole missili nucleari sulla propria frontiera, dove possono colpire qualsiasi sua città in pochi minuti.

E’ verosimile che gli strateghi di Washington sapessero benissimo che nemmeno Putin avrebbe tollerato l’installazione di missili nucleari sotto il suo naso. Ma circa un anno fa, hanno annunciato comunque il loro progetto di espansione all’Est. Un annuncio, dunque, chiaramente provocatorio.

Come prima risposta, Putin ordinò “esercizi militari” lungo la frontiera russa con l’Ucraina, per mostrare i muscoli e per far capire ciò che la Russia sarebbe pronta a fare qualora la NATO dovesse cercare di inglobare l’Ucraina. Avvertimento che fu totalmente ignorato da Washington e dalla NATO.

Nei mesi successivi, Putin aumentò vistosamente il numero delle sue truppe. Ma Washington continuava a fare orecchie da mercante fino a lanciare lo scorso dicembre, nei media internazionali, la sua versione dei fatti con un articolo apparso sul Washington Post.

Secondo il Pentagono, la NATO non stava affatto provocando Putin; i missili che intende installare lungo la frontiera ucraina-russa sarebbero semmai puntati sull’Iran [sic], non su Mosca. Che problema c’è, allora? Di conseguenza, l’incremento delle truppe russe lungo la frontiera ucraino-russa risulta senza giustificazione e semmai la prova che la Russia sta progettando di invadere e di conquistare l’Ucraina, per ricostituire il vecchio URSS. Fine articolo.

L’affermazione del Pentagono su una presunto piano russo di invasione, allora gratuita, risultò poi una profezia che è autoavverata.

A lungo andare, Putin, esasperato, effettivamente perse le staffe e, alla fine, fece il passo falso che conosciamo. Ordinò alle sue truppe, schierate inizialmente al solo scopo intimidatorio, di invadere l’Ucraina – ma non per conquistare e inglobare l’Ucraina secondo la narrativa statunitense, bensì per portare al potere a Kiev un “Presidente amico” e poi andar via. Un Presidente amico che avrebbe escluso la NATO dall’Ucraina e che avrebbe fatto cessare i bombardamenti dei russofoni del Donbass.

Portare al potere un “Presidente amico” è esattamente ciò che la NATO ha fatto tantissime volte negli ultimi trent’anni: in Jugoslava, in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria (dove non è ancora riuscito, però). Il problema è che ciò che l’Occidente considera legittimo, quando a farlo è la NATO, viene impietosamente condannato quando a farlo è la Russia.

Per esempio, quando la NATO ha invaso l’Iraq per garantire la propria sicurezza contro le (fantomatiche) armi di distruzione di massa irachene, l’ha fatto come “peacekeeper”, non come aggressore. Quando la NATO ha rovesciato il Capo di Stato della Libia perché egli sparava sui propri cittadini, l’ha fatto a titolo di “regime change” umanitario, non di ingerenza in un paese sovrano. (Notate come, nei comunicati stampa in lingua italiana, le nefandezze vengono sempre mascherate con parole inglesi, incomprensibili ai più.)

Mentre quando Putin ha invaso l’Ucraina per garantire la propria sicurezza (contro i missili nucleari NATO) e per impedire che il governo ucraino continuasse a sparare sui propri cittadini russofoni, il suo gesto è stato chiamato “flagrante violazione del diritto internazionale” (notate il perfetto italiano) e meritevole delle più severe sanzioni.

Non c’è dubbio: invadere un paese terzo, come ha fatto Putin, costituisce senz’altro una flagrante violazione del diritto internazionale e un attentato alla sovranità di uno Stato, da punire sì con severità. Solo che è del tutto surreale – e nauseante – sentire evocare questi bei principi da parte dei politici e dei generali dei paesi della NATO che li hanno calpestati senza scrupolo per decenni nei cinque paesi appena elencati e che continuano a calpestarli tranquillamente, oggi come oggi, nel Sahel e in altre parti dell’Africa. Senza che la stampa mainstream compiacente denunci le violazioni.

Sono questi stessi politici e generali che oggi mandano armi e forze speciali in Ucraina, a loro dire per “fermare il conflitto”. Mentre – come sappiamo dall’Iraq, dalla Siria e dall’Afghanistan – gli “aiuti” militari non faranno altro che prolungare un conflitto, facendo soffrire ancora di più la popolazione civile.

Per fermare la guerra in Ucraina, non servono le armi, signornò.

Per fermare questa guerra – subito e senza sparare un colpo – basterebbe che i politici e i generali pronunciassero le sei parole già evocate: “Stop all’espansione NATO all’Est!”

Le paure russe della presenza di missili nucleari sulle proprie frontiere verrebbero subito meno e Putin ritirerebbe le sue truppe (peraltro già in grave difficoltà). Gli accordi di Minsk, che l’Ucraina disattende da anni, verrebbero subito applicati, ivi compresa la cessazione del bombardamento ucraino delle popolazioni russofone del Donbass. Questo perché se l’Ucraina ha sempre disatteso quegli accordi, è perché con essi le due òblasti del Donbass acquisterebbero il diritto di porre un veto sull’entrata dell’Ucraina in una alleanza militare come la NATO – e certamente lo farebbero. Così, tolta di mezzo la questione della NATO, cadrebbe la necessità di impedire alle òblasti del Donbass di acquisire lo status di regioni autonome con tutti i poteri.

Quindi la pace si può avere, e subito, se si accetta di frenare l’espansionismo della NATO e di dichiarare la neutralità dell’Ucraina – la stessa neutralità di cui godono la benestante Finlandia, la benestante Austria e la ormai benestante Irlanda, che campano benissimo senza la NATO.

Ma, ovviamente, della semplice soluzione al conflitto appena descritta, Washington non vuole sentir parlare.

Anzi, vuole che, invece di pronunciare quelle sei parole, i paesi della NATO mandino armi a gogo in Ucraina, per armare la popolazione civile. Questo folle gesto, che il Parlamento italiano ha approvato oggi ahimè, oltre a prolungare la guerra, esporrà i cittadini ucraini – donne e uomini, giovani e anziani – a scambi di fuoco con un esercito professionale, quello russo, che inevitabilmente risponderà ai loro tiri, facendo un bagno di sangue.

Questo non sembra essere un problema per la NATO. Anzi, se ciò avvenisse, sarebbe una ottima “photo opportunity” (ovvero, sfruttamento di un’occasione, bella o orripilante, per fare una foto che faccia effetto).

Infatti, è prevedibile che le foto delle atrocità che le truppe russe sicuramente commetteranno se ci saranno scambi di fuoco con i civili armati ma poco addestrati, verranno sbattute poi in prima pagina per giustificare un intervento diretto della NATO nel conflitto. Anzi, è legittimo supporre che questa sia la finalità voluta di questa esecrabile operazione di armare civili per resistere ad un oppressore che si potrebbe invece eliminare – senza sparare un colpo – dicendo semplicemente: “Non minacceremo più le vostre frontiere.”

Il resto è altrettanto prevedibile. Dopo settimane e settimane di immagini di massacri di poveri resistenti, i cittadini di tutti i paesi della NATO, giustamente indignati e furibondi, saranno talmente esasperati che accetteranno che la NATO si lanci nella mischia, anche a rischio di provocare una guerra dagli esiti imprevedibili. Non si tratta di fantapolitica. Chi scrive ha visto recitare questo obbrobrioso copione, negli esatti termini descritti sopra, nel mese di febbraio 2011, quando Washington e Parigi hanno lanciato il loro piano per devastare la Libia e uccidere l’allora Capo di Stato, sostituendolo con uno a loro gradito. L’isteria anti-Gheddafi è stata così bene orchestrata, che persino molti pacifisti si sono dichiarati favorevoli ad un intervento militare della NATO, nonostante che rischiava di distruggere l’intero paese (come poi è avvenuto), allo scopo di rovesciare Gheddafi. Vedere in proposito la documentazione raccolta nell’ebook gratuito “Progressisti in divisa” disponibile qui. (N.B. Molti link, funzionanti all’epoca, devono ancora essere aggiornati).

Naturalmente, Putin potrebbe evitare tutto questo orribile scenario ritirando subito le sue truppe, accettando che l’Ucraina faccia parte della NATO e tollerando che vengano installati missili nucleari NATO sulle sue frontiere. Ciò equivarrebbe ad una vera e propria resa incondizionata, una scelta suicida perché la Russia non sarebbe più in grado di difendersi da missili che, appena lanciati, sono già nel suo territorio. Ma Putin potrebbe farlo lo stesso, in nome della pace – almeno, in teoria. In pratica, non lo farà mai, sia perché è tracotante, sia perché egli verrebbe subito defenestrato dai suoi stessi generali per aver tradito la patria così.

Oppure potrebbe essere la NATO ad evitare questo orribile scenario, cedendo alla richiesta russa di intavolare discussioni sulla sicurezza in Europa e, segnatamente, sulla neutralità dell’Ucraina. In fondo, un tale scelta non costerebbe molto alla NATO, con la sua chiara superiorità militare già acquisita e con tutte le basi che possiede già intorno alla Russia, per quanto ad una certa distanza. In pratica, verrebbe congelato lo status quo – nessuna delle due parti perderebbe nulla di già acquisito.

Quindi una via di uscita c’è, senza spargimento di sangue.

Tuttavia, secondo alcuni analisti statunitensi, la NATO rifiuterà sempre di pronunciare le fatidiche sei parole – “Stop all’espansione NATO all’Est!” – proprio perché, in realtà, vuole la guerra e ha accuratamente costruito questa occasione per innescare un combattimento fino all’ultimo sangue con la Russia, sicura di poterlo vincere. Non tanto per impadronirsi delle ricchezze russe in idrocarburi, che sono considerevoli, quanto come primo passo per poi eliminare… la Cina.

Secondo questi analisti, infatti, la principale ossessione di Washington è di far fuori la Cina – competitore diventato troppo ingombrante – ma per questo deve prima far fuori il suo potente alleato russo. Dover combattere contemporaneamente contro entrambi i paesi viene visto come troppo rischioso.

Se quest’analisi è corretta, la provocazione della NATO nei confronti di Putin assume tutt’un’altra dimensione. Infatti, potrebbe trattarsi di una provocazione studiata ad hoc per innescare una guerra già pianificata.

La NATO, da difenditrice della zona euro-atlantica fino al 1991, è diventata, dopo quella data (che corrisponde alla fine della Guerra Fredda), una aggreditrice regionale nei Balcani, nel Medio-oriente, in Asia centrale. Ora, invece, per combattere militarmente l’ascesa della Cina, potrebbe diventare addirittura una aggreditrice globale, combattendo una enorme guerra da Mosca fino a Pechino –seppure svolta in due tempi.

Se così è, bisogna porre un freno, assolutamente.

Il conflitto in Ucraina offre al popolo della Pace un’occasione per contrastare la NATO, almeno nella sua battaglia per guadagnare i cuori e le menti delle popolazioni di cui ha bisogno.

Se, nelle piazze, i pacifisti gridano soltanto “Stop War!”, “Stop Putin” e basta, non contrastano affatto la propaganda occulta che mira a coinvolgere la NATO nel conflitto ucraino. Anzi, confermano la falsa narrazione che il problema sia esclusivamente la tracotanza e il desiderio d’impero del Capo di Stato russo. Una narrazione che giustifica, dunque, l’invio di armi e di truppe speciali NATO in Ucraina per combattere il mostro, gettando così benzina sul fuoco e portando l’umanità sull’orlo di una guerra nucleare.

Se invece nelle piazze i pacifisti gridano “Stop War!”, “Stop Putin” e “Stop all’espansione NATO all’Est!”, inquadrano il dramma ucraino nelle sue giuste dimensioni: le colpe sono del tracotante leader russo certamente ma anche – e in primo luogo – della NATO, che lo ha deliberatamente provocato per innescare una guerra dalle conseguenze che possono oltrepassare di gran lunga l’Ucraina stessa.

In altre parole, bisogna ristabilire la narrativa corretta di ciò che sta avvenendo in Ucrainaecco un compito davvero degno del popolo della pace.

Si tratta di una battaglia che i pacifisti possono benissimo intraprendere in quanto sono i più indicati per farlo, proprio perché non di parte (o, meglio, della parte della pace, punto). Sfatare le bugie di guerra dovrebbe essere dunque una loro specialità.

E per fare ciò, potrebbero adottare, come eroe da emulare, Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, che ha sfatato così tante bugie di guerra che, alla fine, il Potere, furibondo, ha fatto di tutto per farlo tacere, prima tenendolo rinchiuso in un’ambasciata a Londra per sette anni, poi nella prigione di Belmarsh a Londra – senza nemmeno la formalizzazione delle accuse – per altri tre e con la prospettiva di essere estradato negli Stati Uniti e incarcerato per altri 175 anni. E ancora egli resiste.

Popolo della pace, all’armi!

Sì, armi: quelle della cittadinanza attiva, del citizen giornalism e del citizen science con particolare attenzione, come Assange, alle scienze informatiche.

Le narrazioni menzognere sulla guerra in Ucraina sono già iniziate. Esse vi offrono, dunque, un eccellente occasione per cogliere la sfida di lottare per la pace, lottando per salvare il primo bersaglio in ogni guerra, sia del fuoco nemico che del fuoco amico: la verità.

Patrick Boylan, peacelink.it, 1 marzo 2022

https://www.peacelink.it/conflitti/a/49029.html

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