L’insostenibile retorica del rifiuto dell’accoglienza per giustificare gli sgomberi ai danni dei senza dimora. Come funziona davvero la bassa soglia a Bolzano (Parte 1).
Lo sgombero di Natale avvenuto ai danni di alcuni senza dimora riparati sotto ponte Langer è la punta dell’iceberg di un’inefficace quanto dispendiosa politica di accoglienza e di bassa soglia messa in piedi oggigiorno nella provincia più ricca d’Italia.
A Bolzano l’argomento non è nuovo, eppure alle porte dell’inverno, ogni anno si riparte da zero: le proteste di attivisti e solidali, il rimando di responsabilità e competenze tra istituzioni comunali e provinciali (talvolta pure nazionali ed europee), l’adozione finale di soluzioni dispendiose, usa e getta e spesso al limite della dignità umana, per dimostrare ai più scettici (e preferibilmente metterli a tacere) che a dispetto delle malelingue si sta facendo generosamente la propria parte. Se le istituzioni tendono la propria mano, rifiutarla è dunque segno di enorme ingratitudine oppure la prova di aver qualcosa da nascondere. O almeno questo è il mantra ripetuto per giustificare sbrigativamente e amalgamare in un’unica melassa chi vive di nascosto ai margini, sulle rive del fiume, nei ruderi abbandonati, sotto i ponti e i viadotti autostradali.
La polizia municipale di Bolzano impegnata a sgomberare alcuni senza dimora sotto ponte Langer la mattina del 23 dicembre. Foto: salto.bz
Un copione tenuto in piedi anche durante lo sgombero di Ponte Langer. Motivi di sicurezza, di decoro, di quieto vivere, coperti dal solito velo di paternalismo e pietismo a cui proprio non si riesce a rinunciare: nelle strutture c’è posto, accedere non è difficile. Lo sgombero natalizio è anche per il bene di chi viene sgomberato perché avrà la possibilità di passare il Natale al caldo nelle strutture gentilmente offerte dal comune. Questo il commento dell’assessore alle Politiche Sociali, Juri Andriollo sulle pagine del Corriere dell’Alto Adige il giorno successivo all’azione della polizia municipale che ha sgomberato e reso inaccessibile l’area.
Le informazioni e le testimonianze raccolte da salto.bz nelle ultime settimane suggeriscono al contrario, che l’accesso ai servizi di accoglienza e bassa soglia assomiglia più a una corsa ad ostacoli a cui, talvolta, non ti viene data nemmeno la possibilità di partecipare, mentre il traguardo più che a un approdo sicuro per ricominciare assomiglia a una palude stantia in cui marcire, lontano da tutti e da tutto. Da qualche anno a questa parte, la città di Bolzano ha infatti messo in piedi un graduale processo di espulsione dei soggetti più vulnerabili dal centro cittadino. I principali servizi di prima accoglienza e bassa soglia si trovano ai margini della zona industriale. Per la cosiddetta “emergenza freddo” i soggetti maggiorenni maschili fanno riferimento alla struttura di Via Comini gestita dal gruppo Volontarius e, fino al 31 marzo, a quella dell’Ex Alimarket di via Gobetti gestita dalla Croce Rossa, inaugurata quest’estate come centro diurno e finita nel mirino sin da subito per i costi esorbitanti di gestione, la totale assenza di regia e il lassismo delle istituzioni, che scaricavano ogni responsabilità sui volontari e le volontarie del centro. Dopo il caso mediatico, la Croce rossa ha sospeso per diverse settimane i volontari indipendenti dall’ente che chiedevano un incontro chiarificatore alle istituzioni, le cui attività – questa volta sotto il controllo degli operatori – hanno potuto riprendere con l’istituzione del servizio di emergenza freddo notturna lo scorso 15 novembre, previo stanziamento di 305.305 euro, che vanno a sommarsi ai 35.000 euro di affitto mensili per l’intera struttura in cui si trova adibito anche un centro di accoglienza. Le modalità di accesso decise dal Comune e dall’Azienda Sanitaria sono state esplicitate in un’apposita conferenza stampa in cui veniva esaltato, ancora una volta, il lato accogliente di Bolzano.
La sicurezza prima di tutto
Liste infinite, attese interminabili scandite da lunghi pellegrinaggi sono le parole chiave del percorso di “accoglienza” escludente e disumanizzante a cui sono sottoposti quotidianamente decine e decine di persone senza dimora presenti sul territorio. Per dormire in una struttura ci si deve mettere in lista recandosi di persona, la mattina, presso la struttura stessa, via Comini o Ex Alimarket che sia. L’accesso ad esse non è mai stato immediato e con le nuove disposizioni la situazione è ulteriormente precipitata. Una volta registrati, la struttura invia ora una richiesta all’Azienda Sanitaria che dovrebbe fornire un appuntamento in ospedale per il tampone molecolare.
Stando alle testimonianze raccolte, allo stato attuale si trovano diverse persone che nonostante siano iscritte da settimane, non sono mai state contattate per venire sottoposte a PCR. Quando succede, l’Azienda Sanitaria si palesa tramite sms in cui viene chiesto se si è ancora interessati all’accoglienza e, in caso affermativo, di procedere con l’invio dei dati personali già rilasciati in sede di registrazione. Quando dopo giorni, o settimane, si riesce ad ottenere l’appuntamento in ospedale per il test anticovid, in caso di esito negativo (che si saprà come minimo il giorno dopo) allora, e solo allora, sarà possibile entrare. Il tampone molecolare, anche dopo mesi di permanenza non verrà mai più richiesto a meno che non ci si assenti, indipendentemente dal motivo, per qualche notte dalla struttura. In tal caso toccherà ricominciare dal via.
Una delle decine di testimonianze raccolte da salto.bz nelle ultime settimane: dopo una notte passata fuori Bolzano per motivi di lavoro, R. non è stato riammesso in Via Comini. Foto: salto.bz
Le rimostranze di operatori e volontari per la complessità e l’insensatezza della procedura di ingresso che non garantisce una reale protezione dal virus si sono fatte sentire sin da subito. Il Comune afferma di essersi mosso per l’ottenimento di un macchinario al fine di far eseguire il tampone molecolare in loco, ma ancora oggi, a un mese e mezzo dall’apertura, restano solo vaghe promesse.
Anche la stessa procedura per l’ottenimento del Green pass si è rivelata fonte di problemi, nonostante la gran parte delle persone in strada abbia completato il ciclo di immunizzazione.
Dopo il vaccino, reperire la certificazione (operazione considerata scontata per la maggior parte della cittadinanza), per una persona che vive in strada, non iscritta al sistema sanitario, o priva di documenti diventa l’ennesimo ostacolo. A Bolzano, in particolare, si segnalano difficoltà nella procedura di riconoscimento del codice univoco STP rilasciato in fase di inoculazione del vaccino, un problema che in certi casi poteva essere risolto solo da Roma attraverso gli uffici ministeriali.
Il dormitorio di Via Comini. Foto: Thomas Werner
Dentro l’Alimarket
Dalla stazione dei treni per raggiungere il centro di Via Gobetti a piedi ci si impiega all’incirca 45 minuti, sempre se si viaggia liberi da bagagli e borse. Dopo essersi lasciati alle spalle la zona produttiva si arriva al cancello dell’edificio isolato in fondo alla strada. È chiuso. Lì si controlla il Green pass che serve per tutto, anche per mangiare e farsi la doccia nei container esterni.
“Benvenuta dove finisce il mondo”, recita con tanto di inchino un anziano avventore. Ha appena preso il sacchetto con il suo pranzo che viene consegnato tutti i giorni fuori a chi lo richiede o a chi si trova sprovvisto di certificazione. Gli altri possono mangiare all’interno.
L’ingresso dell’Ex Alimarket di via Gobetti, prima centro diurno ora anche “emergenza freddo”. Foto: salto.bz
Nel cortile c’è un capannello di persone di diverse nazionalità che discutono animatamente in cerchio. “Là, in quella via, c’è un’intera fila di case vuote” esordisce W. “E perchè non le danno a noi invece di farci stare qui?”, incalza prontamente F. “Quelle case sono per gli italiani, anzi per i tedeschi” risponde ridendo M. “Nah, io sono tedesco, eppure guardami qua…” ribatte amareggiato W.
La scenetta si interrompe all’arrivo di un’automobile di volontarie che portano alcuni vestiti invernali.
Qualcuno si avvicina, compreso M, che camminando commenta: “Sai… anni fa, quando c’era lavoro, a noi marocchini ci hanno spaccato la schiena nei campi e nelle fabbriche. Adesso che non serviamo più ci buttano via come immondizia”. Siamo arrivati in ritardo: i capi migliori sono andati. M. si accontenta di un berretto, ringrazia e se ne va con la schiena dritta e lo sguardo di chi, a cinquant’anni, dopo anni di lavoro si deve mettere in fila per un vestito gettato da qualcun altro. La distribuzione di vestiti, specie in inverno, è l’ennesimo tasto dolente del servizio a bassa soglia altoatesino.
L’auto di una volontaria carica di vestiti. A Bolzano non esiste un vero servizio che si faccia carico della distribuzione di capi d’abbigliamento per chi si trova in stato di necessità. Foto: salto.bz