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Sociologo cileno: una deriva settaria della Chiesa ha fatto propserare gli abusi di Karadima (Eletta Cucuzza)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Il 26 luglio 2021 è morto il novantenne Fernando Karadima. Il prete è stato riconosciuto colpevole di abusi sessuali e di potere su minori e adulti dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (CdF) con sentenza del febbraio del 2011; nonché dalla giustizia civile che tuttavia dovette rinunciare a punirlo per sopraggiunta prescrizione. Malgrado la sentenza della CdF Karadima, che operava in una parrocchia a Santiago del Cile, è stato espulso dal sacerdozio da papa Francesco solo nel 2018.

Per il sociologo Eduardo Valenzuela, già Preside della Facoltà di Scienze Sociali dell’Università Cattolica di Santiago del Cile e presidente della commissione creata dalla stessa Università nel 2018 per analizzare la crisi nella Chiesa cattolica cilena UC, la Chiesa cattolica cilena ha fatto passi da gigante nell’indagine e nella prevenzione degli abusi. Tuttavia, «ciò che è in sospeso è la riconciliazione con le vittime» e senza di essa è impossibile «voltare pagina», cosa che in Cile è stato difficile da realizzare per una «responsabilità della Chiesa stessa». Al quotidiano La Tercera (31/7), il sociologo ha rilasciato una lunga intervista dopo la morte di Fernando Karadima, parroco della parrocchia El Bosque riconosciuto colpevole di abusi sessuali e di potere su minori e adulti dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e dalla giustizia civile. Lo scandalo degli abusi in Cile, fatto emergere dalle vittime di Karadima, secondo il sociologo «ha favorito l’attuale comprensione del problema a livello globale e ha alimentato la tesi che la le cause erano nella struttura interna della Chiesa».

«Karadima – afferma Valenzuela – è stato il caso più importante della Chiesa cilena. La cosa di Karadima è quella che viene chiamata una deriva settaria, cioè un gruppo che è affascinato da una leadership assorbente che è radicata all’interno della Chiesa e si chiude anche in se stessa nella pretesa di essere diverso, moralmente esclusivo, religiosamente puro. Il caso Karadima coinvolge una parte della Chiesa, un gruppo significativo al suo interno, vocazionalmente affermato, ben connesso in ambito ecclesiale e non. Per la Chiesa cilena è stata una sfida enorme trovare una deriva settaria all’interno della Chiesa diocesana, cioè dalla struttura regolare della Chiesa. Molte di queste derive settarie si sono verificate all’interno di movimenti apostolici che operano al di fuori della struttura diocesana, come i Legionari di Cristo o la comunità di San Juan in Francia. Ma questo è stato installato all’interno della Chiesa stessa».

«La Chiesa – spiega il sociologo – è un’istituzione morale ed è difficile per le istituzioni morali riconoscere che vi è immoralità al suo interno. La riluttanza a vedere, a riconoscere e ad agire con decisione è molto caratteristica delle Chiese in generale, delle istituzioni morali. All’inizio, accreditare denunce contro Karadima e contro sacerdoti di quel peso e di quell’influenza religiosa è stato molto difficile».

Attualmente, aggiunge, «in termini di indagine e allerta, sono stati fatti molti progressi. Anche nella prevenzione. Ciò che è mancato alla Chiesa cilena, ciò che è in sospeso, è la riconciliazione con le vittime. Ancora il grosso, la maggior parte delle vittime si trova dall’altra parte della strada, in un atteggiamento del tutto contrario a quanto la Chiesa ha fatto nei loro confronti. E quel processo di riconciliazione con le vittime richiede riparazioni efficaci, richiede un lungo e paziente lavoro di riconoscimento, di accoglienza. Anche in molti paesi, le vittime fanno parte del processo stesso di prevenzione e allarme di questo genere di cose. Sono incorporati nel processo di rettifica che deve essere fatto. Tutto ciò che è in sospeso».

Eletta Cucuzza, Adista.it, 02/08/2021

https://www.adista.it/articolo/66484

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