domenica, Dicembre 22, 2024

Che genere di Dio. L’ideologia che non c’è (S.Zorzi)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

“Sì è un maschio”… dice una donna incinta con un sorriso sulle labbra e un orgoglio intimo a chi le chiede di che sesso sarà il nascituro. Inizia così la questione del genere: esso è il valore, il senso, il significato, il destino o i sogni che associamo alla determinazione sessuale di una persona.

Gli studi di genere non intendono affermare che maschi e femmine non esistono o non sono differenti, ma che il sesso non è il genere. Cioè il sesso è un dato con cui si viene al mondo ma il genere è il valore, il colore, il ruolo, il significato, il carattere, i limiti e le aspettative che io attribuisco al sesso. Siccome non c’è un diretto collegamento tra ciò che un neonato racchiude nel pannolino e il futuro stipendio che avrà se uomo o donna, si capisce che il problema avviene in ciò che accade tra quando nasce e quando diventa adulto. Quanto accade nel frattempo si chiama “costruzione sociale”. Il genere quindi appartiene alle aspettative sociali e ai valori culturali. Ecco perché si dice che è una “costruzione sociale”. Si tratta piuttosto delle aspettative sociali o delle convinzioni che abbiamo introiettato così in profondità  da sembrarci “naturali” (nel senso di un destino meccanico che viene dalla morfologia).

Iniziai a occuparmi del tema ‘se la donna fosse creata a immagine di Dio’ in occasione della stesura della mia tesi di dottorato in teologia, contro la mia volontà. Mi sembrava infatti una questione inutile, superata, perché la Bibbia era lì da sempre a dire che la donna è creata ad immagine di Dio (Gen 1,27).  Studiando però la storia della teologia su questo tema, mi trovai a misurarmi con interpretazioni (che possiamo chiamare ‘costruzioni’) di quel dato biblico inammissibili e penalizzanti per le donne, interpretazioni di cui si potevano seguire modifiche e sviluppi nel corso della storia, ma anche processi involutivi. Una bimillenaria costruzione di genere, una riflessione teologica sulla donna, sulla spiritualità femminile e sul ruolo delle donne nella Chiesa, che era stata fatta esclusivamente da parte di uomini e impregnata di mentalità patriarcale, tanto più potente sulla costruzione sociale ed ecclesiale quanto più introiettata dalle donne e da esse condivisa. Non si trattava solo di ingenue teorie antiche, perché su tali assunti continuano a fondarsi ancora molte prescrizioni, leggi e istituzioni ecclesiali. Per chi studia teologia come donna la parzialità di una tale prospettiva risulta inaccettabile. Ho anche scoperto però che erano ormai tante le teologhe che si erano misurate già prima di me con una tale storia: un immane sforzo compiuto da tante donne in particolare negli ultimi cinquant’anni nel campo della riflessione storico-religiosa che ha intrecciato la riflessione femminista e gli studi di genere.

Questi studi hanno riguardato le concezioni teologiche sulla donna e il femminile; le metafore maschili e femminili (presenti nella Bibbia) per parlare di Dio; le teologhe hanno riesumato dal silenzio in cui le aveva lasciate la tradizione maschile, donne importanti nella storia della salvezza. È stato evidenziato il rivoluzionario messaggio e il comportamento di Gesù con le donne, ma si è anche smascherato il ruolo delle antiche ideologie patriarcali sulla costruzione dei ruoli femminili nel cristianesimo ideologie che hanno frequentemente soffocato il messaggio evangelico, infine si è ridimensionata l’azione e la missione delle donne cristiane – un imponente lavoro sulla mariologia – fino a toccare le questioni legate alla maschilità di Gesù, su come essa aiuterebbe la costruzione di un modello di maschilità non machista e sia invece stata usata ideologicamente per costruire e giustificare il clericalismo ecclesiale.

Se c’è un luogo, insomma, in cui la separazione tra sesso e genere è stata all’opera fin da tempi non sospetti, questo luogo è proprio la teologia, il discorso su Dio. Dio non ha sesso e quindi di LUI (maschile?) si parla solo usando categorie di ‘genere’. Ecco allora che, dal momento che Dio è per il credente il Bene e tutto il positivo dell’esistenza al massimo grado, sarà detto, immaginato, descritto e dipinto (nelle cattedrali come nel proprio spirito) tramite tutte le nostre convinzioni, valori, significati associati alla positività: allora sarà “lui”. E quando gli vorremo associare caratteristiche positive come la dolcezza, l’accoglienza, la tenerezza allora parleremo delle sue caratteristiche femminili. Ma Dio non ha sesso. Lo sanno i bambini che da come disegnano Dio ci aiuterebbero a uscire dai nostri schemi irrigiditi.

Il genere, entrando come categoria analitica nel campo teologico, smaschera vecchie e nuove ideologie che hanno ricadute sulle concezioni della natura dell’essere umano, del posto e del ruolo della sessualità nella persona, della dignità delle persone nella chiesa e nella società, fino ad aprirci gli occhi sulla misura in cui l’ideologia patriarcale abbia plasmato e rischi di continuare a farlo, la costruzione dottrinale e sacramentale del cristianesimo. Il genere appartiene alle aspettative sociali e ai valori culturali.

Gli studi di genere risultano fortemente utili per le nuove aperture che il Papa richiede nei confronti delle “giuste rivendicazioni” (Evangelii Gaudium 103-104) delle donne nella chiesa (ecclesiologia). Insomma, c’è molta “costruzione di genere” nella storia della teologia, nella dogmatica, nell’antropologia cristiana e nella sacramentaria: gli studi di genere ci aiutano a vederla e a smascherarla. Il genere fa bene alla teologia. Certo che il modo in cui sono fatta, il mio corpo, se sono alta o bassa, se sono bella o brutta, se ho il carattere di mia nonna o di mio padre, influenzerà la mia storia le mie scelte, la mia interazione con altri e in società. Ma non c’è nessun destino, perché appunto l’essere umano, per quanto condizionato dalla sua biologia, dalla sua storia, dal suo peccato o dalle sue buone abitudini, è aperto al futuro di Dio. In questo senso l’uguaglianza di genere non è il fatto che le persone siano tutte uguali o che non si voglia riconoscere che un pene sia diverso da una vagina. L’uguaglianza di genere significa uguaglianza di dignità tra maschio e femmina, di opportunità e di ruoli (responsabilità) da assumere.

La specie umana si trova davanti a nuove sfide sociali, culturali e scientifiche per le quali non ha ancora maturato forze etiche, spirituali e schemi mentali adeguati. La recente creazione del mostro “ideologia del gender” sembra piuttosto nascondere un problema più ampio: è il nome delle nostre paure, dei nostri limiti mentali, di quegli schemi introiettati che invece di aiutarci a trovare una conformazione e una identità plastica e relazionale diventano una prigione in cui catturare noi stessi, gli altri e imprigionare le nostre migliori possibilità. Come ci insegna la storia biblica e la psicologia, non si scappa dalle proprie zone di ombra proiettandole fuori di noi e combattendole come mostri, ma solo tramite il riconoscimento che qualcosa di quel nemico è anche in me. Il “gender” così come è stato costruito da chi lo combatte, in fondo è l’altro lato di quella libertà incoercibile e indeterminabile che il cristianesimo riconosce ad ogni persona indipendentemente dal suo sesso.

Il “gender”, lungi dall’essere una ideologia chiara, sostenuta da autori precisi con contenuti tematici specifici, è solo un criterio di analisi che smaschera come non ci sia una legge naturale che determini carattere, ruolo e destino di uomini e donne, ma è ciò che crediamo che una persona debba essere, diventare o comportarsi, a seconda del suo sesso. Ecco perché si dice che è una “costruzione sociale”. Si tratta dunque delle aspettative sociali o delle convinzioni che abbiamo introiettato così in profondità  da sembrarci “naturali” (nel senso di un destino meccanico che viene dalla morfologia). 

Spiace vedere la confusione che regna in coloro che combattono questo “gender” ritenendo che esso sia una precisa ideologia e poi non sanno distinguere tra i termini maschio, maschilità, maschile, uomo, femmina, femminilità, femminile, donna, per non parlare della confusione che emerge quando si inizia a chiedere loro quali contenuti esso avrebbe. La cosa grave è che tramite questa sorta di lotta scatenata a questa fantomatica ideologia si rischia di perdere alcune conquiste che sembravano assodate circa i ruoli, la dignità e i diritti delle donne, la maggiore di tutte le minoranze.

Gli schemi di genere, invece, hanno radici storicamente antiche e sono profondamente iscritti in ciascuno di noi per questo: ma sono sorti a favore della felicità della persona e della società e devono continuare a funzionare a favore della libertà, dignità e valorizzazione delle persone. Quando essi diventeranno un randello per limitare, denigrare o condannare qualcuno, allora non hanno più senso e vanno velocemente abbandonati.

Sarebbe un peccato per noi teologhe e per la teologia tutta essere costrette ad abbandonare questa feconda categoria teologica che studiamo da molti decenni solo a causa di una campagna prettamente politica che speriamo finirà presto, non appena si troverà una soluzione alle nuove sfide sociali: ma se non si esce dalla contrapposizione la Chiesa avrà perso il suo ennesimo treno di dialogo con la società moderna che invece ha contribuito essa stessa a costruire e alle istanze della quale non è estranea. Sono i valori cristiani che portano a batterci per un riconoscimento della sessualità nella struttura umana della persona intera, per una educazione alla affettività, per una lotta alla discriminazione.

Ecco perché mi auguro che dalla contrapposizione tra cattolicesimo e “ideologia del gender” si passi al dialogo e alla riflessione profonda sulle nuove questioni, molto differenti tra loro, che si affacciano alla cultura e alla società, come anche alla legislazione: una delle strade maestre che oggi si offe alla Chiesa è la teologia fatta dalle donne. Ma anche qui: bisognerà che la Chiesa si dimostri disposta a cambiare molti schemi di genere.

Benedetta Selene Zorzi
www.ingenere.it

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