mercoledì, Dicembre 18, 2024

Padre Turoldo un giorno disse agli studenti “Cari ragazzi la Resistenza non è finita” (Giorgino Carnevali)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

A cent’anni dalla nascita di Padre Maria Turoldo, che soleva ricordare: “Beati coloro che hanno fame e sete di opposizione”. Ed ancora: “Beato colui che sa resistere”

Buona giornata Gianni Carlo, buona giornata. Ho letto di una virtuosa iniziativa presso il Centro Pastorale Diocesano, nella giornata di venerdì 25 novembre alle ore 18,00, per ricordare degnamente il centesimo anniversario della nascita di un grande uomo, David Maria Turoldo.

Agli organizzatori vadano incondizionatamente “lode e gloria”,  per sempre. Ci sta tutto! Bene, allora non posso esimermi dal “fare memoria” (e buona memoria!) io stesso, nel mio piccolo, di un prete (e che prete!) che così si espresse sulla Resistenza: “Non tradire più l’uomo (…). Resistenza fu la scelta dell’umano contro il disumano…”.  Percezione immediata!

David Maria Turoldo, al secolo Giuseppe Turoldo, fu religioso e poeta italiano. Nasce a Coderno di Sedegliano (Udine) il 22 novembre 1916, giusto giusto cent’anni or sono, deceduto a Fontanella di Sotto il monte (Bergamo) il 6 febbraio 1992, frate dell’Ordine dei Servi di Maria e “partigiano”. Ecco, appunto, quell’appellativo di “PARTIGIANO” mi rimanda alla mente un “sacco ed una sporta” di avvenimenti. Già, il partigiano! Fu in effetti un punto di riferimento dell’opposizione cattolica al nazifascismo. Con l’amico Camillo De Piaz, aveva partecipato alla Resistenza e con lui aveva lavorato alla pubblicazione, durante l’occupazione nazifascista, del foglio clandestino L’Uomo.

“Vorrotti” (ti vorrò!) a tal proposito favorire un significativo “estratto” (e volentieri) dell’intervento che padre David Maria Turoldo tenne il 31 maggio 1985 all’Itis Istituto  «Castelli» di Brescia per il ciclo di conferenze su «La lotta di liberazione in Italia». Così parlò agli studenti:

“Vi dirò proprio che io, rispetto a voi, ho due stati d’animo, uno uguale, uno contrario all’altro: non so mai se invidiarvi, oppure se compiangervi; e vi dirò proprio perché: sono portato a invidiarvi, per la ragione stessa della vita – voi siete nella giovinezza e io sono nel declino – ma, più che per questo, per la storia che io ho vissuto, e mi auguro molto diversa dalla storia che, dovreste, almeno spererei, vivere voi (…) invidiarvi, perché almeno voi, io spero, non vivrete quello che noi abbiamo vissuto: una guerra interminabile! Pensate: avevamo il lezzo dei cadaveri nelle narici; io ho svuotato, insieme con le commissioni pontificie di liberazione, e le truppe di liberazione, 29 campi di concentramento, cominciando da Dachau, a Flossemburg, a Swabach Altenburg, a Mauthausen. Pensate voi, e si camminava – vi dico subito, allora si avevano le scarpe di caucciù. Mi ricordo, arrivo a Dachau: entro nel recinto dei forni crematori: un giardino bellissimo; nel centro del giardino queste bocche di forni crematori che andavano giorno e notte, giorno e notte, e si bruciava ogni cadavere nello spazio di quattro-cinque minuti, perché altrimenti i cadaveri si ammucchiavano, e si buttava la cenere nei viali del giardino! (…) Mi ricordo che da allora, guardate, per anni e anni, ogni volta che avevo quel tipo di scarpe e camminavo, magari, sulla sabbia, e faceva quello scricchiolio, mi veniva come freddo, e pensavo: non sarà mica cenere di morti!? (…) Sapete che dopo, per anni, io non riuscivo a salire su una Volkswagen, perché era una macchina tedesca. Per anni, ogni volta che vedevo un tedesco, mi domandavo: quanti anni avrà? Capite? Quanti anni avrà! Per sapere quanti morti c’erano dietro! (…) Non so appunto se invidiarvi o compiangervi, perché non avendo avuto queste esperienze, non vorrei che aveste la tentazione di fare quello che abbiamo fatto noi, di commettere gli stessi orribili errori, che abbiam commesso noi! (…) Per questo – ringrazio Iddio – appena mi invitano nelle scuole vado subito, perché sono i semenzai della coscienza, sono le oasi dove si forma o deforma la coscienza (…). Vi dirò come e perché ricordare (…). Il motto con cui noi abbiamo fatto la Resistenza era questo: «Non tradire più l’uomo» (…). Resistenza era la scelta dell’umano contro il disumano, quale presupposto di ogni ideologia e di ogni etica personale – ciò che valeva, e che dovrebbe sempre valere, è da che parte stare; se si è, appunto, dalla parte giusta. In certe situazioni storiche, come quelle del fascismo e della guerra, io ho sempre stimato «beati coloro che avevano fame e sete di opposizione», giudizio che ritengo ancora valido, riscontrando il perdurare di sistemi altrettanto disumani. E perciò io mi auguro che la Resistenza come valore possa diventare l’anima ispiratrice delle nuove generazioni. Se fossero… ecco qui: qui è il mio problema più grande, rispetto ai giovani – se fossero educate, queste nuove generazioni, al costo della libertà, ad esempio – e anche al costo di questo malvissuto benessere – non saremmo certo al punto in cui siamo (…). Oggi abbiamo giovani senza ricordi! Giovani astorici! (…). Non sanno nulla del primo Piazzale Loreto: in quel giorno io ho chiesto perdono di vivere – era nell’agosto 1944. Perché tutti sanno del secondo Piazzale Loreto, ma non sanno del primo (…) quando quindici poveri operai son presi da San Vittore e vengono presi, caricati su un camion, girata la città, sono scaricati in Piazzale Loreto, e vedono il plotone di esecuzione già schierato (…). Son morti tutti in un mucchio. Ed io ricordo quel mucchio, tutto il giorno custodito dalle ausiliarie (…). E queste donne, con il fucile in spalla, la sigaretta in bocca, a custodire questo mucchio di cadaveri, e di tanto in tanto a pulirsi le scarpe sui cadaveri, mentre il sangue scorreva! (…) Il 25 aprile, quando è venuto il secondo Piazzale Loreto, e i corpi pendevano da quegli artigli, da quelle travi del distributore di benzina, ho detto: «Abbiamo fatto la Resistenza; oggi io non predico Vangelo di nessuna sorte; si stacchino quei cadaveri! Perché il cadavere, comunque, è sacro: non si gioca sui cadaveri! Staccate quei cadaveri!». Anche se era il cadavere della Claretta e di Mussolini. E, ricordo, la sera stessa sono stati staccati. E tuttavia, si sa del secondo Piazzale Loreto: ma non si sa del primo Piazzale Loreto! (…).Tra i morti della Resistenza vi erano seguaci di tutte le fedi – questa è cosa che dovreste tramandare, voi! Ognuno aveva il suo Dio, ognuno aveva il suo credo, e parlavano lingue diverse, e avevano pelle di diverso colore, eppure nella libertà e nella dignità umana si sentivano fratelli. Volevano costruire un mondo giusto, dove tutti gli uomini vivano del proprio lavoro, dove ogni uomo conti veramente per uno. (…) Ecco, io vorrei che questo fosse il vero messaggio: la Resistenza non è finita; è stata frutto di pochi precursori, che avevano seminato durante un ventennio, ma è stata anche una più vasta semente per l’avvenire. E non dobbiamo scoraggiarci.     (Padre Turoldo tra Resistenza e dopoguerra)”. Fine di quel lungo ma significativo intervento. Mi credi? Ho la pelle d’oca, Gianni Carlo, amico mio. Capisci a me tutto questo? Capisci il disagio e la vergogna di ricordare? Capisci quanti giovani, oggi, sono “senza memoria”? Capisci a me le parole di padre Turoldo: “Beati coloro che hanno fame e sete di opposizione?”. E ancora: “Beato colui che sa RESISTERE?”. Capisci a me perché sono sempre più spesso risoluto nei miei interventi, così spietatamente duro e cinico contro certi patetici revisionisti e negazionisti della Storia? Capisci a me cosa furono, a quell’epoca, VIOLENZA, UMILIAZIONE E MISERIA? Ciao. E grazie ancora!

(Giorgio  Carnevali Cremona)        

https://www.welfarenetwork.it/padre-turoldo-un-giorno-disse-agli-studenti-cari-ragazzi-la-resistenza-non-e-finita-di-giorgino-carnevali-20161201/

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