venerdì, Novembre 22, 2024

Omosessualità: la dottrina repressiva della Chiesa costruita su basi traballanti (P. Alberto Maggi)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Nella Chiesa si continua ancora a sostenere che le relazioni omosessuali “sono condannate nella Sacra Scrittura come gravi depravazioni e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio”. Ma come ricostruisce su ilLibraio.it Alberto Maggi, la dottrina repressiva della Chiesa è costruita su basi molto traballanti. E prima o poi arriverà a capire che, agli occhi di Dio, “non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo” – La riflessione del biblista

Prima che nel 1869 l’ungherese Karl-Maria Kertbeny coniasse il termine omosessualità, nella Chiesa non si parlava di omosessuali, ma di sodomiti, con riferimento al leggendario episodio narrato nel Libro della Genesi.

Sòdoma, la principale città della pentapoli cananea, era fiorente “come il giardino di Yahvè” (Gen 13,10) e per questo fu scelta da Lot quando si separò da Abramo (Gen 13,12). Ma “gli uomini di Sòdoma erano malvagi e peccavano molto contro Yahvè” (Gen 13,13). Il profeta Ezechiele, per il quale i peccati di Sòdoma erano “la superbia e l’ingordigia e un ozio indolente”, accusa gli abitanti della città di non stendere la mano verso il povero e l’indigente, di essersi insuperbiti e di commettere quel che è abominevole verso Yahvè” (Ez 16, 49-50); nel Libro della Sapienza è proprio la mancanza al sacro dovere dell’ospitalità il motivo del castigo divino: “Non avevano accolto gli sconosciuti che arrivavano… ci sarà un giudizio perché accolsero ostilmente i forestieri” (Sap 19,14.15).

Non riuscendo a trovare in quella città neanche dieci giusti (Gen 18,31), Yahvè decise di cancellarla dalla faccia della terra. La goccia che fece traboccare il vaso dell’ira del Dio d’Israele fu quando una sera Lot ospitò due angeli. Gli uomini della città, venutolo a sapere “si affollarono attorno alla casa, giovani e vecchi, tutto il popolo al completo”, e chiesero a Lot di far uscire i suoi ospiti per poterne abusare (Gen 19, 4-5). Lot non volle acconsentire, non tanto per una questione di moralità, ma perché l’ospite è sacro e il padrone di casa è il responsabile della sua incolumità a costo anche della sua stessa vita (Sal 23,5). Lot è disposto a cedere alle voglie degli abitanti di Sòdoma le “due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace, perché non facciate nulla a questi uomini, perché sono entrati all’ombra del mio tetto” (Gen 19,8). Ma la folla cercò di sfondare la porta. Per fortuna intervennero gli angeli che portarono via Lot e tutto il suo parentado, dando il via libera a Dio di scatenare la sua micidiale ira, infatti “Yahvè fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco provenienti da Yahvè. Distrusse questa città e tutta la valle con tutti gli abitanti della città e la vegetazione del suolo” (Gen 19, 24-25).

Un episodio analogo lo si legge nel Libro dei Giudici e riguarda la città di Gàbaa nei pressi di Betlemme (Gdc 19,11-30). Un levita, in viaggio con la sua concubina e un suo servo, non trovando alloggio accettò l’ospitalità di un vecchio generoso. Anche qui, come a Sòdoma, alcuni uomini della città, essendone venuti a conoscenza circondarono l’abitazione e chiesero al padrone di casa: “Fa’ uscire quell’uomo che è entrato in casa tua, perché vogliamo abusare di lui”. Il vecchio, appellandosi al sacro dovere dell’ospitalità, rifiutò, ma si disse disposto a concedere loro sia la figlia, che era vergine, sia la concubina, affermando: “violentatele e fate loro quello che vi pare, ma non commettete contro quell’uomo una simile infamia” (Gdc 19,24). A risolvere la situazione fu il levita, che presa la propria concubina la diede agli uomini che assediavano la casa, i quali “la violentarono tutta la notte fino al mattino”, fino a farla morire (Gdc 19,25). Anche in questo episodio la trasgressione non riguarda la sessualità ma il sacro dovere dell’ospitalità. La truculenta conclusione dell’episodio è che il levita poi squartò con un coltello il corpo della donna in dodici pezzi che spedì come monito per tutto il territorio d’Israele… Sorprende che nell’episodio di Gàbaa, a differenza di quello di Sodoma, non ci sia alcun castigo divino sui violentatori ma solo la vendetta degli Israeliti, che evidentemente avevano ben imparato da Yahvè e ormai agivano per conto suo,  con una tremenda strage che lasciò sul campo ben venticinquemilacento morti (Gdc 20,35.46).

Da questi episodi, che appartengono alla leggenda e non alla storia, la Chiesa cattolica elaborò una teologia che arrivò a qualificare la sodomia come il peggiore dei peccati, meritevole come la città di Sòdoma, di essere punito col fuoco. Non potendosi basare per questo giudizio sull’insegnamento di Gesù, che nulla dice al riguardo, le sole fragili basi della Sacra Scrittura sulle quali la Chiesa costruì la sua dottrina contro i sodomiti furono un paio di versetti del Libro del Levitico, dove si legge: “Non ti coricherai con un uomo come si fa con una donna: è cosa abominevole” (Lv 18,22); “Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro” (Lv 20,13). L’assenza di un’analoga condanna nei confronti delle donne è eloquente: le proibizioni non sono in relazione alla sessualità, bensì alla procreazione, in quanto si contravveniva al comandamento divino “Siate fecondi e moltiplicatevi” (Gen 1,28).

Secondo la cultura del tempo, infatti, era il maschio colui che generava il figlio, mentre la donna era solo il contenitore che accoglieva il seme per poi a suo tempo partorire, ma non metteva nulla di suo (Cf. Is 45,10). Si è anche cercato di giustificare la proibizione dei rapporti tra persone dello stesso sesso basandosi su quanto scritto nella Lettera ai Romani, dove Paolo inveisce sia contro le femmine che “hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura”, sia contro i maschi, i quali “lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi” (Rm 1, 26-27). Non esistendo la nozione di omosessualità, ovvero la normale attrazione che può avere una persona verso un’altra dello stesso sesso, Paolo vedeva questo comportamento come una deviazione, basandosi su quello che riteneva fosse il “rapporto naturale”. Le sue opinioni in materia hanno lo stesso valore di quando afferma che è “la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli” (1Cor 11,14), identificando il concetto di natura con la cultura

Su queste traballanti basi si costruì la dottrina repressiva della Chiesa che, dopo alterni periodi di tolleranza e repressione, con il pontificato di papa Pio V (1568) giunse a forme disumane nei confronti dei sodomiti, che vennero imprigionati, torturati, bruciati, per quello che lo stesso Pio V definì un “orribile crimine” da reprimere con il massimo zelo possibile. Molte misure repressive riguardavano “i chierici che sono colpevoli di questo crimine nefando e che non sono spaventati dalla morte delle loro anime”, per costoro il papa decide “che vengano consegnati alla severità dell’autorità secolare, che applica la legge civile…. onde essere sottoposto al supplizio, come prescritto dalla legge appropriata che punisce i laici sprofondati in tale abisso” (Pio V, Costituzione Horrendum illud scelus, del 30 agosto 1568, in Bullarium Romanum, t. IV, c. III, p. 33).

L’obbediente autorità secolare mise in pratica il volere del papa condannando e arrostendo sul fuoco persone colpevoli solo di avere amato, potendo contare sul sostegno della fanatica predicazione del clero che riteneva l’atroce pena del rogo voluta da Gesù stesso quando, parlando della vite, disse che ogni tralcio che non portava frutto andava tagliato, gettato e bruciato nel fuoco (Gv 15,6). Se per Bernardino da Siena (1380-1444), che aveva una fissazione per questo tema, non esisteva al mondo peccato più grave “che quello de la sodomia maladetta” (Predica XXXIX), per Girolamo Savonarola (1452-1498) bisognava bruciare nel rogo i sodomiti come sacrificio di soave odore a Dio.

Oggi i sodomiti non vengono più arrostiti ma nella Chiesa si continua ancora a sostenere che le relazioni omosessuali “sono condannate nella Sacra Scrittura come gravi depravazioni e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio” (Dichiarazione Persona humana della Congregazione per la dottrina della fede, 29 dicembre 1975) e che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Sono contrari alla legge naturale” (Catechismo, art. 2357).

Prima o poi la Chiesa, nella misura in cui essa si convertirà alla buona notizia di Dio per ogni persona, la smetterà di legare “fardelli pesanti e difficili da portare sulle spalle della gente” (Mt 23,4; At 15,10) e arriverà a capire che agli occhi di Dio “non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo” (At 10,28), in quanto esistono solo sue creature che egli ama incondizionatamente e alle quali non chiederà conto a chi hanno voluto bene, ma solo se hanno amato.

Articolo pubblicato in www.illibraio.it il 28.05.2021

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