Sono al supermercato per la necessaria spesa alimentare, dopo una settimana di isolamento nella quale non ho attraversato neppure la soglia di casa!
Al supermercato incontro una persona che solo dalle sue parole mi accorgo di conoscere: con gli occhiali da sub e la maxi mascherina che indossa sarebbe stato impossibile riconoscerlo…
«Don Aldo – mi dice -, tu mi conosci e lo sai: io sono credente e praticante. Vado a Messa tutte le domeniche, faccio la Comunione, prego, cerco di fare sempre del bene, non mi tiro mai indietro. Ma questo Dio? Questo Dio che fa?».
“Caro N. N., gli rispondo secco: Dio non fa né il medico né il farmacista. E la preghiera non serve per avere una polizza di assicurazione contro gli infortuni!».
Poi, con parole più morbide ho cercato di fargli capire che Dio, per noi credenti, è colui che ci da volontà e forza per saper stare in piedi nelle situazioni di crisi, di restare umani nelle situazioni di radicale disumanità e di saper sorridere anche nei casi più disperati: sorrisi di speranza, naturalmente, non sorrisi da incoscienti.
Allontanandomi mi sono detto: “se questo è il livello di cultura religiosa dei nostri fedeli, stiamo messi proprio bene…!».
Naturalmente, la responsabilità di questo stato di cose è tutta di noi preti, che abbiamo appiattito la nostra «Vocazione» nella figura del funzionario liturgico invece che in quella del profeta del Regno, burocrati invece che «pastori», rappresentanti di una religiosità feticcia più che testimoni di una fede adulta. Con la conseguenza che il Dio creduto dai credenti non è altro che il «dio» presentato dal demonio nella parabola delle tentazioni.
Avete presenti le prime due tentazioni di cui narra Matteo (4,1-7)?
“Se sei figlio di Dio, fa che queste pietre diventino pane!».
“Se sei figlio di Dio, buttati giù» dal pinnacolo del tempio!
Qui è in gioco Dio e le varie raffigurazioni che ce ne facciamo; il Dio come suprema espressione del potere, quello a cui tutti, più o meno segretamente, più o meno consapevolmente, ambiamo. Il tentatore chiede a Gesù di mostrarsi Dio come l’uomo vorrebbe che fosse: potente, tanto potente che più potente non si può. «Onnipotente», appunto!
Dimenticando che l’onnipotenza di Dio è l’onnipotenza nell’amore: «chi ama può tutto»; «se credete (amando) potete spostare anche le montagne»! Mancando questo amore, di cui noi cristiani dovremmo essere espressione e strumento, Dio rimane impotente, con le mani legate, meglio: crocifisse!
«Credere un Dio sbagliato è il più grande disastro che possa capitare», gridava, altero, padre Davide Maria Turoldo (Cfr. Anche Dio è infelice, p. 184), cosciente dei disastri che una fede sbagliata può produrre, ribaltando la posizione di Tommaso d’Aquino, secondo il quale «un errore riguardo al creato produce un errore riguardo la Creatore».
E allora sarebbe necessario anche ribaltare certe domande e, invece che rivolgerle a Dio, chiederci noi che cosa abbiamo fatto e che cosa stiamo facendo. Dopo tutto è la domanda, eterna domanda, che Dio stesso rivolge ad Adamo sin dall’inizio della storia: «Adamo. Dove sei? Cosa hai fatto?».
Di questi tempi, in particolare, nei quali tocchiamo con mano la debolezza estrema delle persone non più aduse a convivere con se stesse, del tutto esternalizzate in un mondo nel quale le cose hanno preso il sopravvento sulle persone e il fare sul sentire, la domanda da porsi non è su Dio ma su noi! Il perché di tutta questa impossibilità generalizzata (e generazionale!) a saper stare con se stessi, il perché di questo disagio a stare in famiglia, scambiando l’intimità con la solitudine va chiesto a noi stessi.
Chi il responsabile di questa mutilazione antropologica per cui l’homo sapiens si è talmente identificato con l’homo faber al punto tale che quella che era una sua funzione è diventata una sua seconda natura? Nell’uomo moderno la «res extensa» ha seppellito l’«ego cogitans», con la conseguenza che le sue capacità conoscitive si sono ridotte semplicemente a quelle matematiche e geometriche. L’uomo moderno sa solo far di conto!
Chi, l’autore di questo delitto, se non il «dio mercato» che abbiamo sostituito al «Dio amore»?
E allora non più la domanda: «Dio che fa?», ma l’interrogativo: «Noi cosa facciamo?».
don Aldo Antonelli, Rocca, 1/15 aprile