domenica, Novembre 24, 2024

«Non siamo bestie». A Lipa i migranti rifiutanoil cibo

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Bosnia, temperature a meno 20 gradi. La Farnesina, che ha espresso «grande preoccupazione» per la situazione in Bosnia-Erzegovina, ha fatto sapere in una nota di aver disposto «uno stanziamento fino a 500.000 euro a favore della Croce Rossa che sta operando sul terreno»

Nessuna pietà per i migranti della tendopoli di Lipa, Bosnia-Erzegovina, andata a fuoco il 23 dicembre scorso in circostanze ancora da chiarire. Da allora un migliaio di persone cerca di sopravvivere alla fame, alla sete, al gelo, sorretti dalla speranza che l’Europa possa aprire quel confine maledetto che li separa dalla loro meta. Per ora però quella speranza si è infranta contro il rimpallo di responsabilità e le accuse incrociate tra Ue, organizzazioni internazionali e autorità locali, incapaci di trovare una soluzione a una catastrofe umanitaria nel cuore d’Europa.

Martedì scorso il ministro della Sicurezza bosniaco Selmo Cikotic aveva disposto il trasferimento dei migranti in un’ex caserma di Bradina, villaggio di Konjic a sud di Sarajevo. Quel trasferimento però non ha avuto mai luogo a causa delle proteste dei residenti radunatisi davanti ai cancelli della struttura militare per impedire l’arrivo dei profughi.
Intanto a Lipa il clima era surreale: i migranti sono stati fatti salire sugli autobus arrivati al campo in mattinata e lì sono rimasti per più di 24 ore senza sapere cosa ne sarebbe stato di loro. Dopo, come in uno spietato gioco dell’oca sono tornati alla posizione di partenza, lì tra le macerie di un campo dove manca tutto, per primo l’umanità.

Su pressione dell’Ue il ministro della Sicurezza bosniaco ha ordinato la riapertura del centro di accoglienza allestito nella fabbrica dismessa del Bira a Bihac, cittadina di frontiera del cantone Una Sana dove si concentrano gli arrivi dei migranti in transito verso l’Europa. Anche in questo caso l’esecutivo è capitolato davanti all’intransigente rifiuto delle autorità locali e dei residenti di Bihac di ospitare, anche in via temporanea, i profughi rimasti all’addiaccio.

La Farnesina, che ha espresso «grande preoccupazione» per la situazione in Bosnia-Erzegovina, ha fatto sapere in una nota di aver disposto «uno stanziamento fino a 500.000 euro a favore della Croce Rossa che sta operando sul terreno» e di aver chiesto alla Commissione Ue di «attivarsi per alleviare le sofferenze delle persone coinvolte». Un appello che tuttavia cozza con la politica di respingimento dell’Italia che solo lo scorso anno ha «riammesso» in Slovenia 4.400 persone, a loro volta respinte in Croazia e Bosnia-Erzegovina.

Per uscire dall’impasse la presidenza bosniaca ha inviato le forze dell’ordine a Lipa con il compito di allestire delle tende sulle rovine del campo. Una misura in sé insufficiente a fronteggiare la catastrofe umanitaria in corso in un luogo, peraltro, dove di notte le temperature possono crollare fino a 20 gradi sotto lo zero. Così ai dannati di Lipa non è rimasto altro che la protesta: da due giorni un centinaio di migranti rifiuta i pasti, uno al giorno, distribuiti dalla Croce Rossa, una delle poche organizzazioni ancora attive sul campo. «Aprite le frontiere, siamo esseri umani, non animali» dicono i cartelli branditi nell’indifferenza generale. L’ennesimo, disperato urlo, destinato a restare inascoltato.

Alessandra Briganti, il manifesto, 03.01.2021

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