lunedì, Novembre 18, 2024

2021 – Appello degli studenti israeliani che si oppongono al servizio di leva nell’esercito sionista

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

LA LETTERA COMPLETA

Siamo un gruppo di diciottenni israeliani a un bivio. Lo stato israeliano chiede la nostra coscrizione nell’esercito. Presumibilmente, una forza di difesa che dovrebbe salvaguardare l’esistenza dello Stato di Israele.

In realtà, l’obiettivo dell’esercito israeliano non è difendersi da forze armate ostili, ma esercitare il controllo su una popolazione civile. In altre parole, la nostra coscrizione nell’esercito israeliano ha un contesto politico e delle implicazioni.

Ha implicazioni, in primo luogo, sulla vita del popolo palestinese che ha vissuto sotto un’occupazione violenta per 72 anni. In effetti, la politica sionista di brutale violenza ed espulsione dei palestinesi dalle loro case e terre è iniziata nel 1948 e da allora non si è più fermata.

L’occupazione sta anche avvelenando la società israeliana: è violenta, militarista, oppressiva e nazionalista.

È nostro dovere opporci a questa realtà distruttiva unendo le nostre lotte e rifiutando di servire questi sistemi violenti, primo fra tutti l’esercito. Il nostro rifiuto di arruolarci nell’esercito non è un atto di tradimento verso la società israeliana. Al contrario, il nostro rifiuto è un atto di assunzione di responsabilità delle nostre azioni e delle loro conseguenze.

L’esercito non serve solo l’occupazione, ma è l’occupazione. Piloti, unità di spionaggio, impiegati burocratici, soldati combattenti, stanno tutti eseguendo l’occupazione. Uno lo fa con una tastiera e l’altro con una mitragliatrice a un posto di blocco.

Nonostante tutto questo, siamo cresciuti all’ombra dell’ideale simbolico del soldato eroico. Gli abbiamo preparato ceste di cibo durante le festività, abbiamo visitato il carro armato in cui ha combattuto, abbiamo fatto finta di essere lui nei programmi pre-militari al liceo e abbiamo venerato la sua morte nel giorno della memoria. Il fatto che siamo tutti abituati a questa realtà non la rende apolitica. L’arruolamento, non meno del rifiuto, è un atto politico.

Siamo abituati a sentire che è legittimo criticare l’occupazione solo se abbiamo preso parte attiva nel farla rispettare. Come ha senso che per protestare contro la violenza sistemica e il razzismo, dobbiamo prima essere parte del sistema stesso di oppressione che stiamo criticando?

Il percorso su cui ci imbarchiamo nell’infanzia, di un’educazione che insegna violenza e rivendicazioni sulla terra, raggiunge l’apice all’età di 18 anni, con l’arruolamento nell’esercito. Ci viene ordinato di indossare l’uniforme militare macchiata di sangue e di preservare l’eredità della Nakba e dell’occupazione. La società israeliana è stata costruita su queste radici corrotte, ed è evidente in tutti gli aspetti della vita: nel razzismo, nell’odioso linguaggio politico, nella brutalità della polizia e altro ancora.

Questa oppressione militare va di pari passo con l’oppressione economica. Mentre i cittadini dei territori palestinesi occupati sono impoveriti, le abbienti classi dirigenti diventano ancora più ricche a loro spese. I lavoratori palestinesi vengono sistematicamente sfruttati e l’industria delle armi utilizza i Territori palestinesi occupati come terreno di prova e come vetrina per sostenere le sue vendite. Quando il governo sceglie di sostenere l’occupazione, agisce contro il nostro interesse di cittadini: grandi porzioni di denaro dei contribuenti stanno finanziando l’industria della “sicurezza” e lo sviluppo di insediamenti invece del benessere sociale, l’istruzione e la salute.

L’esercito è un’istituzione estremamente violenta, corrotta e corruttiva. Ma il suo peggior crimine è imporre la politica distruttiva dell’occupazione della Palestina. I giovani della nostra età sono tenuti a prendere parte a far rispettare le chiusure come mezzo di “punizione collettiva”, arrestare e incarcerare minori, ricattare per reclutare “collaboratori” e altro ancora, tutti questi sono crimini di guerra che vengono eseguiti e insabbiati ogni giorno. Il governo militare violento nei Territori palestinesi occupati è applicato attraverso politiche di apartheid che comportano due diversi sistemi legali: uno per i palestinesi e l’altro per gli israeliani. I palestinesi devono costantemente confrontarsi con misure antidemocratiche e violente, mentre i coloni israeliani che commettono crimini violenti, in primo luogo contro i palestinesi ma anche contro i soldati, sono “ricompensati” dai militari israeliani che chiudono un occhio e nascondono queste trasgressioni. I militari stanno imponendo un assedio a Gaza da oltre dieci anni. Questo assedio ha creato una massiccia crisi umanitaria nella Striscia di Gaza ed è uno dei principali fattori che perpetua il ciclo di violenza di Israele e Hamas. A causa dell’assedio, non ci sono né acqua potabile né elettricità a Gaza per la maggior parte delle ore del giorno. La disoccupazione e la povertà sono pervasive e il sistema sanitario è privo dei mezzi più basilari. Questa realtà funge da base sulla quale il disastro del COVID-19 ha solo peggiorato le cose a Gaza.

È importante sottolineare che queste ingiustizie non sono uno slittamento occasionale o uno sbandamento. Queste ingiustizie non sono un errore o un sintomo, sono la politica e la malattia. Le azioni delle forze armate israeliane nel 2020 non sono altro che una continuazione e il sostegno dell’eredità del massacro, dell’espulsione di famiglie e del furto di terre, l’eredità che ha “consentito” l’istituzione dello Stato di Israele, come un vero stato democratico, per soli ebrei.

Storicamente, l’esercito è stato visto come uno strumento al servizio della politica del “compiacimento”, come un’istituzione che interseca le divisioni di classe sociale e di genere nella società israeliana. In realtà, questo non potrebbe essere più lontano dalla verità. I militari stanno attuando un chiaro programma di “indirizzamento”; i soldati della classe medio-alta sono indirizzati in posizioni con prospettive economiche e civili, mentre i soldati provenienti da contesti socioeconomici inferiori sono indirizzati in posizioni ad alto rischio mentale e fisico e che non forniscono lo stesso vantaggio nella società civile. Allo stesso tempo, la rappresentanza femminile in posizioni violente come piloti, comandanti di carri armati, soldati combattenti e ufficiali dell’intelligence, viene propagandata come un’impresa femminista. Come ha senso che la lotta contro la disuguaglianza di genere sia raggiunta attraverso l’oppressione delle donne palestinesi? Questi “risultati” eludono la solidarietà con la lotta delle donne palestinesi. I militari stanno consolidando questi rapporti di potere e l’oppressione delle comunità emarginate attraverso una cinica indistinzione delle loro lotte.

Chiediamo agli studenti delle scuole superiori (shministiyot) della nostra età di chiedersi: cosa e chi stiamo servendo quando ci arruoliamo nell’esercito? Perché ci arruoliamo? Quale realtà creiamo servendo nell’esercito di occupazione? Vogliamo la pace e la vera pace richiede giustizia. La giustizia richiede il riconoscimento delle ingiustizie storiche e presenti e della continua Nakba. La giustizia richiede riforme sotto forma di fine dell’occupazione, fine dell’assedio di Gaza e riconoscimento del diritto al ritorno per i profughi palestinesi. La giustizia richiede solidarietà, lotta congiunta e rifiuto.

DICHIARAZIONE DI SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE

Siamo con gli Shministiyot (liceali israeliani) che si rifiutano di prestare servizio nell’esercito israeliano. Come obiettori di coscienza in tutto il mondo, condividiamo il loro impegno per la solidarietà, il profondo rispetto per tutte le persone e il riconoscimento che i sistemi di oppressione sono stati creati dalle persone e possono essere smantellati dalle persone. Rifiutando di prendere parte all’occupazione del governo israeliano e rifiutando il militarismo e il colonialismo dei coloni, gli Shministiyot stanno dimostrando solidarietà al popolo palestinese che vive sotto occupazione, così come ai profughi palestinesi e ai loro discendenti in esilio. È nostra responsabilità come comunità globale sostenere coloro che vedono l’ingiustizia nelle proprie società e scelgono invece la solidarietà.

giovedì 7 gennaio 2021

Traduzione: Beniamino RocchettoFonte: https://shministim.github.io/?lang=en…

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