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Perché la puttana felice è un falso mito (Mariangela Mianiti)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Intervista a Julie Bindel. Per mettere fine al mercato del sesso serve offrire vie di uscita per le donne prostituite, con volontà politica e fondi, oggi un’eccezione. E bisogna creare deterrenti per chi paga!

Quando, nel 1990, uscì il film Pretty Woman, l’immagine della puttana che sposa un bel miliardario creò il primo mito persuasivo del mercato del sesso. Con il saggio/inchiesta Il mito Pretty Woman. Come la lobby dell’industria del sesso ci spaccia la prostituzione (VandAepublishing, 283 pagine, 15 euro) Julie Bindel sbugiarda le teorie secondo cui il sesso a pagamento è un lavoro come un altro.
Accanto a Stupro a pagamento (Round Robin editore) di Rachel Moran, Il mito Pretty Woman è una lettura indispensabile per capire che la prostituzione, come ha detto Evelina Giobbe, fondatrice di Whisper: «È un’industria portata avanti dalla domanda maschile di accesso sessuale incondizionato ai corpi delle donne, una domanda che esiste grazie al potere sociale, economico e di genere esercitato dal patriarcato».
Femminista radicale, attivista, giornalista famosa per le sue inchieste, Julie Bindel è in Italia fino al 9 marzo per presentare il suo libro.

Bindel, perché il sesso a pagamento non può essere considerato un lavoro?
Primo: non si può far diventare l’interno del corpo di una donna un luogo di lavoro. Secondo: se il sesso è lavoro, allora lo stupro è semplicemente un furto. Terzo: non è accettabile chiamarlo lavoro quando il rischio del mestiere è la morte per contagio da Aids, suicidio, femminicidio.

Da chi è composta la lobby pro sex work?
Dipende dal paese di cui si parla. Ci sono gruppi ideologi dell’estrema sinistra come il Collettivo Inglese delle Prostitute (ECP) per le quali tutto è lavoro, dalle mansioni domestiche ai rapporti sessuali. Noi femministe invece consideriamo che il lavoro di cura debba essere condiviso da uomini e donne. Poi ci sono i papponi, i proprietari di agenzie di escort, quelli che affittano gli appartamenti a persone prostituite, pornografi e tenutari dei bordelli. A questa lobby fa molto comodo la decriminalizzazione così come all’industria del tabacco fa comodo vendere nei paesi dove non ci sono leggi restrittive. Al terzo gruppo appartengono accademici e intellettuali che ritengono regressivo, anti libertario e conservatore essere contro il sex work perché limiterebbe la scelta soggettiva delle donne.

Il sesso a pagamento può essere una scelta di libertà per una donna?
Può esserla solo se ce ne sono molte altre disponibili. Le donne scelgono di stare in relazioni violente per molte ragioni, ma una scelta non è necessariamente buona. Noi non diciamo che le donne non possono decidere di prostituirsi, diciamo solo che lo fanno in circostanze e situazioni così particolari che è irrilevante parlare di scelta. Ciò di cui bisogna parlare, invece, sono le scelte degli uomini.

Quanto conta il linguaggio ripulito usato dagli antiabolizionisti?
Il linguaggio che scegliamo è molto importante. Chi usa il termine sex work pensa così di dare dignità alle persone prostituite. È vero che prostitute è un termine inaccettabile perché la prostituzione viene imposta alla donna dall’intera società patriarcale, per questo diciamo che è prostituita, ma se le donne sono sex worker, allora bisognerebbe dire che i papponi sono dei manager e i proprietari di bordello degli uomini d’affari. Tutte le persone con cui ho parlato e che sono state prostituite non si sono mai definite sex worker che è un termine inventato dalle lobby accademiche.

Che cosa risponde alle femministe che giudicano le abolizioniste puritane, moraliste e contrarie alla libertà di scelta?
Dico loro che ci sono centinaia di modi di essere femministe e la maggior parte di questi sono sbagliati. Il femminismo liberista non è affatto femminismo, è semplicemente liberismo fatto da donne. Il vero femminismo è quello che cerca di liberare tutte le donne dalle situazioni peggiori.

Lei documenta gli effetti, devastanti per le donne, delle leggi che regolamentano o depenalizzano la prostituzione. Qual è la strada da percorrere?
Per mettere fine al mercato del sesso serve un doppio intervento. Da una parte creare vie di uscita e ben fatte per le donne prostituite e per riuscirci servono volontà politica e fondi, oggi un’eccezione. Allo stesso tempo bisogna creare deterrenti per chi paga, determinare pene per i clienti, additarli alla pubblica vergogna. Dobbiamo rendere chiaro agli uomini e ai giovani che questa è violenza contro le donne e che è inaccettabile pagare per il sesso. Dobbiamo smettere di usare eufemismi come “assistente sessuale” o “sex worker” e chiamarla per quello che è, prostituzione. E dobbiamo ascoltare le sopravvissute.

Nel suo libro è citata Luisa Muraro che scrive: «Verrà il momento, ed è questo, in cui la non eliminabile vergogna della prostituzione tornerà alla sua vera causa, che è una concezione maschile degradata del desiderio e della corporeità». Sono quindi gli uomini a doversi interrogare e cambiare?
Sì, perché sono gli uomini che guidano e portano avanti questa industria. E’ stata un’idea degli uomini sotto il patriarcato quella di soggiogare le donne pagando per l’accesso dentro il loro corpo. Dobbiamo ritenere gli uomini completamente responsabili della servitù sessuale perché sono loro ad aver creato e normalizzato il mercato del sesso.

 

Mariangela Mianiti, il manifesto, 6 marzo 2019

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