È nelle crisi, nelle emergenze, nell’abbraccio della paura che mostriamo il meglio e il peggio di noi, e questo vale, naturalmente, per il Paese che abitiamo. Quel che ne esce a prima vista è un impasto glorioso di fessi col botto e gente che fa il suo mestiere, a volte contro ogni incapacità altrui, come i medici di Alzano Lombardo che alla fine del febbraio scorso rompevano i vetri degli estintori d’emergenza per prendere almeno una mascherina, quelle che la Regione Lombardia non aveva, non mandava, ne comprava milioni farlocche (per non dire dei camici).
Chissà, forse il maledetto virus potrebbe servire a qualcosa se lo si usasse per operare sul campo, di fronte agli eventi, una scrematura decisa e massiccia di una classe dirigente incapace che può galleggiare nell’indifferenza delle cose malfatte quando tutto è tranquillo, ma diventa un pericolo quando la crisi morde.
Così non passa giorno che non ci si metta, metaforicamente e non, le mani nei capelli. Il commissario alla Sanità calabrese (ex) Saverio Cotticelli che cade dalle nuvole, balbetta, si imperla, si agita, e poi si difende (in tivù) dicendo che “non ero io” e “forse sono stato drogato”, è caso così ridicolo e clamoroso da farne una specie di paradigma.
Ma già altri fenomeni prendono la scena, mischiando incapacità e inconsistenza con mesmerismo, magia, superstizione. Fino al segretario del sindacato di Polizia Siap che indossa (e preme perché ne vengano acquistati a migliaia) una specie di amuleto israeliano che – a sentire lui – purifica l’aria una volta indossato come collana. Un aggeggio che “genera cationi (eh? Ndr) che inibiscono qualsiasi virus”. Insomma, tipo una collana d’aglio. Cascano le braccia.
Potrei continuare con i casi umani, gli improbabili, gli improvvisatori, i cialtroni, i guastatori a intermittenza, i “piccoli Salvini crescono”.
Ma il rischio è che i casi clamorosi – che non sono i più gravi, ma i più assurdamente evidenti – finiscano per addensare su di sé ironie, condanne e reprimende, e che questo distragga un po’ dagli errori enormi commessi e che ancora si commettono. Esempio: pochissima eco ha avuto sulla stampa il grido d’allarme che viene dall’ospedale di Monza, dove si contano oltre trecento sanitari contagiati. Qui non c’entrano i ragazzini che fanno ressa sul bus o i “signora mia, quanta gente c’era al parco” (colpevolizzazione del cittadino livello Pro), ma, evidentemente, protocolli inesistenti o non rispettati.
Nonostante questo, l’assalto alle coscienze continua, lo scaricabarile, un classico della dinamica Stato-Regioni, non riguarda solo la politica, ma soprattutto la politica e il cittadino. Basta guardare la nuova campagna di “sensibilizzazione” (ahah, Ndr) della Regione Lombardia, spiritosamente battezzata “The covid dilemma”: una giovane ragazza in primo piano e una domanda: “Indossare la mascherina o indossare il respiratore?”, con tanto di chiosa: “La scelta è tua”.
Incredibile. La regione che ha avuto più morti, quella dei pronto soccorso chiusi e riaperti senza sanificazione (Alzano), dei camici del cognato, delle mascherine farlocche, dei vaccini antinfluenzali pagati come caviale, dei cadaveri portati via dall’esercito, delle pressioni confindustriali per non chiudere la Val Seriana, dice alla ragazzina che la scelta tra vivere e morire è sua. Come se in guerra, in presenza di generali incapaci e felloni come quelli che siedono alla Regione Lombardia, si desse la colpa ai cittadini bombardati: la scelta è vostra, che volete da noi?
Alessandro Robecchi, il Fatto Quotidiano, 11 novembre 2020