venerdì, Novembre 22, 2024

Decalogo per la convivenza etnica (Alex Langer)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Tentativo di decalogo per la convivenza inter-etnica

 1.11.1994, Arcobaleno TN

1.La compresenza pluri-etnica sarà la norma più che l’eccezione; l’alternativa è tra esclusivismo etnico e convivenza

Situazioni di compresenza di comunità di diversa lingua, cultura, religione, etnia sullo stesso territorio saranno sempre più frequenti, soprattutto nelle città. Questa, d’altronde, non è una novità. Anche nelle città antiche e medievali si trovavano quartieri africani, greci, armeni, ebrei, polacchi, tedeschi, spagnoli…

La convivenza pluri-etnica, pluri-culturale, pluri-religiosa, pluri-lingue, pluri-nazionale… appartiene dunque, e sempre più apparterrà, alla normalità, non all’eccezione. Ciò non vuol dire, però, che sia facile o scontata, anzi. La diversità, l’ignoto, l’estraneo complica la vita, può fare paura, può diventare oggetto di diffidenza e di odio, può suscitare competizione sino all’estremo del “mors tua, vita mea”. La stessa esperienza di chi da una valle sposa in un’altra valle della stessa regione, e deve quindi adattarsi e richiede a sua volta rispetto e adattamento, lo dimostra. Le migrazioni sempre più massicce e la mobilità che la vita moderna comporta rendono inevitabilmente più alto il tasso di intreccio inter-etnico ed inter-culturale, in tutte le parti del mondo. Per la prima volta nella storia si può – forse – scegliere consapevolmente di affrontare e risolvere in modo pacifico spostamenti così numerosi di persone, comunità, popoli, anche se alla loro origine sta di solito la violenza (miseria, sfruttamento, degrado ambientale, guerra, persecuzioni…). Ma non bastano retorica e volontarismo dichiarato: se si vuole veramente costruire la compresenza tra diversi sullo stesso territorio, occorre sviluppare una complessa arte della convivenza. D’altra parte diventa sempre più chiaro che gli approcci basati sull’affermazione dei diritti etnici o affini – p.es. nazionali, confessionali, tribali, “razziali” – attraverso obiettivi come lo stato etnico, la secessione etnica, l’epurazione etnica, l’omogeneizzazione nazionale, ecc. portano a conflitti e guerre di imprevedibile portata. L’alternativa tra esclusivismo etnico (comunque motivato, anche per auto-difesa) e convivenza pluri-etnica costituisce la vera questione-chiave nella problematica etnica oggi. Che si tratti di etnie oppresse o minoritarie, di recente o più antica immigrazione, di minoranze religiose, di risvegli etnici o di conflittualità inter-etnica, inter-confessionale, inter-culturale.

La convivenza pluri-etnica può essere percepita e vissuta come arricchimento ed opportunità in più piuttosto che come condanna: non servono prediche contro razzismo, intolleranza e xenofobia, ma esperienze e progetti positivi ed una cultura della convivenza.

2.Identità e convivenza: mai l’una senza l’altra; nè inclusione nè esclusione forzata

“Più chiaramente ci separeremo, meglio ci capiremo”: c’è oggi una forte tendenza ad affrontare i problemi della compresenza pluri-etnica attraverso più nette separazioni. Non suscitano largo consenso i “melting pots”, i crogiuoli dichiaratamente perseguiti come obiettivo (ad esempio negli USA), e non si contano le sollevazioni contro assimilazioni più o meno forzate. Al tempo stesso si incontrano movimenti per l’uguaglianza, contro l’emarginazione e la discriminazione etnica, per la pari dignità.

Non hanno dato buona prova di sè nè le politiche di inclusione forzata (assimilazione, divieti di lingue e religioni, ecc.), nè di esclusione forzata (emarginazione, ghettizzazione, espulsione, sterminio…). Bisogna consentire una più vasta gamma di scelte individuali e collettive, accettando ed offrendo momenti di “intimità” etnica come di incontro e cooperazione inter-etnica. Garanzia di mantenimento dell’identità, da un lato, e di pari dignità e partecipazione dall’altro, devono integrarsi a vicenda. Ciò richiede, naturalmente, che non solo le regole pubbliche e gli ordinamenti, ma soprattutto le comunità interessate so orientino verso questa opzione di convivenza.

3.”Conoscersi,parlarsi, informarsi, interagire:”Più abbiamo a che fare gli uni con gli altri, meglio ci comprenderemo”.

La convivenza offre e richiede molte possibilità di conoscenza reciproca. Affinché possa svolgersi con pari dignità e senza emarginazione, occorre sviluppare il massimo possibile livello di conoscenza reciproca. “Più abbiamo a che fare gli uni con gli altri, meglio ci comprenderemo”, potrebbe essere la controproposta allo slogan separatista sopra ricordato. Imparare a conoscere la lingua, la storia, la cultura, le abitudini, i pregiudizi e stereotipi, le paure delle diverse comunità conviventi è un passo essenziale nel rapporto inter-etnico. Una grande funzione la possono svolgere fonti di informazioni comuni (giornali, trasmissioni, radio, ecc. inter-culturali, pluri-lingui, ecc.), occasioni di apprendimento o di divertimento comune, frequentazioni reciproche almeno occasionali, possibilità di condividere – magari eccezionalmente – eventi “interni” ad una comunità diversa dalla propria (feste, riti, ecc.), anche dei semplici inviti a pranzo o cena. Libri comuni di storia, celebrazioni comuni di eventi pubblici, forse anche momenti di preghiera o di meditazione comune possono aiutare molto ad evitare il rischio che visioni etnocentriche si consolidino sino a diventare ovvie e scontate.

4.Etnico magari sì, ma non a una sola dimensione: territorio, genere, posizione sociale, tempo libero e tanti altri denominatori comuni

Ha la sua legittimità, e talvolta forse anche le sue buone ragioni, l’organizzazione etnica della comunità, delle differenti comunità: purchè sia scelta liberamente, e non diventi a sua volta integralista e totalitaria. Quindi dovremo accettare partiti etnici, associazioni etniche, club etnici, spesso anche scuole e chiede etniche. Ma è evidente che se si vuole favorire la convivenza più che l'(auto-) isolamento etnico, si dovranno valorizzare tutte le altre dimensioni della vita personale e comunitaria che non sono in prima linea a carattere etnico. Prima di tutto il comune territorio e la sua cura, ma anche obiettivi ed interessi professionali, sociali, di età… ed in particolare di genere; le donne possono scoprire e vivere meglio obiettivi e sensibilità comuni. Bisogna evitare che la persona trascorra tutta la sua vita e tutti i momenti della sua giornata all’interno di strutture e dimensioni etniche, ed offrire anche altre opportunità che di norma saranno a base inter-etnica. E’ essenziale che le persone si possano incontrare e parlare e farsi valere non solo attraverso la “rappresentanza diplomatica” della propria etnia, ma direttamente: quindi è assai rilevante che ogni persona possa godere di robusti diritti umani individuali, accanto ai necessari diritti collettivi, di cui alcuni avranno anche un connotato etnico (uso della lingua, tutela delle tradizioni, ecc.); non tutti i diritti collettivi devono essere fruiti e canalizzati per linee etniche (p.es. diritti sociali – casa, occupazione, assistenza, salute… – o ambientali).


5.Definire e delimitare nel modo meno rigido possibile l’appartenenza, non escludere appartenenze ed interferenze plurime

Normalmente l’appartenenza etnica non esige una particolare definizione o delimitazione: è frutto di storia, tradizione, educazione, abitudini, prima che di opzione, volontà, scelta precisa. Più rigida ed artificiosa diventa la definizione dell’appartenenza e la delimitazione contro altri, più pericolosamente vi è insita la vocazione al conflitto. L’enfasi della disciplina o addirittura dell’imposizione etnica nell’uso della lingua, nella pratica religiosa, nel vestirsi (sino all’uniforme imposta), nei comportamenti quotidiani, e la definizione addirittura legale dell’appartenenza (registrazioni, annotazioni su documenti, ecc.) portano in sè una insana spinta a contarsi, alla prova di forza, al tiro alla fune, all’erezione di barricate e frontiere fisiche, alla richiesta di un territorio tutto e solo proprio.

Consentire e favorire, invece, una nozione pratica più flessibile e meno esclusiva dell’appartenenza e permettere quindi una certa osmosi tra comunità diverse e riferimento plurimo da parte di soggetti “di confine” favorisce l’esistenza di “zone grigie”, a bassa definizione e disciplina etnica e quindi di più libero scambio, di inter-comunicazione, di inter-azione.

Evitare ogni forma legale per “targare” le persone da un punto di vista etnico (o confessionale, ecc.) fa parte delle necessarie misure preventive del conflitto, della xenofobia, del razzismo.

L’autodeterminazione dei soggetti e delle comunità non deve partire dalla definizione delle proprie frontiere e dei divieti di accesso, bensì piuttosto dalla definizione in positivo dei propri valori ed obiettivi, e non deve arrivare all’esclusivismo ed alla separatezza. Deve essere possibile una lealtà aperta a più comunità, non esclusiva, nella quale si riconosceranno soprattutto i figli di immigrati, i figli di “famiglie miste”, le persone di formazione più pluralista e cosmopolita.

6.Riconoscere e rendere visibile la dimensione pluri-etnica: i diritti, i segni pubblici, i gesti quotidiani, il diritto a sentirsi di casa

La compresenza di etnie, lingue, culture, religioni e tradizioni diverse sullo stesso territorio, nella stessa città, deve essere riconosciuta e resa visibile. Gli appartenenti alle diverse comunità conviventi devono sentire che sono “di casa”, che hanno cittadinanza, che sono accettati e radicati (o che possono mettere radici). Il bi- (o pluri-)linguismo, l’agibilità per istituzioni religiose, culturali, linguistiche differenti, l’esistenza di strutture ed occasioni specifiche di richiamo e di valorizzazione di ogni etnia presente sono elementi importanti per una cultura della convivenza. Più si organizzerà la compresenza di lingue, culture, religioni, segni caratteristici, meno si avrà a che fare con dispute sulla pertinenza dei luoghi e del territorio a questa o quella etnia: bisogna che ogni forma di esclusivismo o integralismo etnico venga diluita nella naturale compresenza di segni, suoni e istituzioni multiformi. (Franjo Komarica, vescovo di Banja Luka, cità pluri-etnica a maggioranza serba in Croazia, oggi assai disputata tra serbi e croati, lo dice in modo semplice: “un prato con molti fiori diversi è più bello di un prato dove cresce una sola varietà di fiori”.)

Faticosamente l’Europa ha imparato ad accettare la presenza di più confessioni che possono coesistere sullo stesso territorio e non puntare a dominare su tutti e tutto o ad espellersi a vicenda: ora bisogna che lo stesso processo avvenga esplicitamente a proposito di realtà pluri-etnica; convivere tra etnie diverse sullo stesso spazio, con diritti individuali e collettivi appropriati per assicurare pari dignità e libertà a tutti, deve diventare la regola, non l’eccezione.

7.Diritti e garanzie sono essenziali ma non bastano; norme etnocentriche favoriscono comportamenti etnocentrici

Non si creda che identità etnica e convivenza inter-etnica possano essere assicurate innanzitutto da leggi, istituzioni, strutture e tribunali, se non sono radicate tra la gente e non trovano fondamento in un diffuso consenso sociale; ma non si sottovaluti neanche l’importanza di una cornice normativa chiara e rassicurante, che garantisca a tutti il diritto alla propria identità (attraverso diritti linguistici, culturali, scolastici, mezzi d’informazione, ecc.), alla pari dignità (attraverso garanzie di piena partecipazione, contro ogni discriminazione), al necessario autogoverno, senza tentazioni annessionistiche in favore di qualcuna delle comunità etniche conviventi. In particolare appare assai importante che situazioni di convivenza inter-etnica godano di un quadro di autonomia che spinga la comunità locale (tutta, senza discriminazione etnica) a prendere il suo destino nelle proprie mani ed obblighi alla cooperazione inter-etnica, tanto da sviluppare una coscienza territoriale (e di “Heimat”) comune: ciò potrà contribuire a scoraggiare tentativi di risolvere tensioni e conflitti con forzature sullo “status” territoriale (annessioni, cambiamenti di frontiera, ecc.).

E non si dimentichi che leggi e strutture fortemente etnocentriche (fondate cioè sulla continua enfasi dell’appartenenza etnica, sulla netta separazione etnica, ecc.) finiscono inevitabilmente ad inasprire conflitti e tensioni ed a generare o rafforzare atteggiamenti etnocentrici, mentre – al contrario – leggi e strutture favorevoli alla cooperazione inter-etnica possono incoraggiare ed irrobustire scelte di buona convivenza.

8.Dell’importanza di mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera. Occorrono “traditori della compattezza etnica”, ma non “transfughi”

In ogni situazione di coesistenza inter-etnica si sconta, in principio, una mancanza di conoscenza reciproca, di rapporti, di familiarità. Estrema importanza positiva possono avere persone, gruppi, istituzioni che si collochino consapevolmente ai confini tra le comunità conviventi e coltivino in tutti i modi la conoscenza, il dialogo, la cooperazione. La promozione di eventi comuni ed occasioni di incontro ed azione comune non nasce dal nulla, ma chiede una tenace e delicata opera di sensibilizzazione, di mediazione e di familiarizzazione, che va sviluppata con cura e credibilità. Accanto all’identità ed ai confini più o meno netti delle diverse aggregazioni etniche è di fondamentale rilevanza che qualcuno, in simili società, si dedichi all’esplorazione ed al superamento dei confini: attività che magari in situazioni di tensione e conflitto assomiglierà al contrabbando, ma è decisiva per ammorbidire le rigidità, relativizzare le frontiere, favorire l’inter-azione.

Esplosioni di nazionalismo, sciovinismo, razzismo, fanatismo religioso, ecc. sono tra i fattori più dirompenti della convivenza civile che si conoscano (più delle tensioni sociali, ecologiche o economiche), ed implicano praticamente tutte le dimensioni della vita collettiva: la cultura, l’economia, la vita quotidiana, i pregiudizi, le abitudini, oltre che la politica o la religione. Occorre quindi una grande capacità di affrontare e dissolvere la conflittualità etnica. Ciò richiederà che in ogni comunità etnica si valorizzino le persone e le forze capaci di autocritica, verso la propria comunità: veri e propri “traditori della compattezza etnica”, che però non si devono mai trasformare in transfughi, se vogliono mantenere le radici e restare credibili. Proprio in caso di conflitto è essenziale relativizzare e diminuire le spinte che portano le differenti comunità etniche a cercare appoggi esterni (potenze tutelari, interventi esterni, ecc.) e valorizzare gli elementi di comune legame al territorio.

 

9.Una condizione vitale: bandire ogni violenza.

Nella coesistenza inter-etnica è difficile che non si abbiano tensioni, competizione, conflitti: purtroppo la conflittualità di origine etnica, religiosa, nazionale, razziale, ecc. ha un enorme potere di coinvolgimento e di mobilitazione e mette in campo tanti e tali elementi di emotività collettiva da essere assai difficilmente governabile e riconducibile a soluzioni ragionevoli se scappa di mano.

Una necessità si erge pertanto imperiosa su tutte le altre: bandire ogni forma di violenza, reagire con la massima decisione ogni volta che si affacci il germe della violenza etnica, che – se tollerato – rischia di innescare spirali davvero devastanti e incontrollabili. Ed anche in questo caso non bastano leggi o polizie, ma occorre una decisa repulsa sociale e morale, con radici forti: un convinto e convincente no alla violenza.

10.Le piante pioniere della cultura della convivenza: gruppi misti inter-etnici

Un valore inestimabile possono avere in situazioni di tensione, conflittualità o anche semplice coesistenza inter-etnica gruppi misti (per piccoli che possano essere). Essi possono sperimentare sulla propria pelle e come in un coraggioso laboratorio pionieristico i problemi, le difficoltà e le opportunità della convivenza inter-etnica. Gruppi inter-etnici possono avere il loro prezioso valore e svolgere la loro opera nei campi più diversi: dalla religione alla politica, dallo sport alla socialità del tempo libero, dal sindacalismo all’impegno culturale. Saranno in ogni caso il terreno più avanzato di sperimentazione della convivenza, e meritano pertanto ogni appoggio da parte di chi ha a cuore l’arte e la cultura della convivenza come unica alternativa realistica al riemergere di una generalizzata barbarie etnocentrica.

(testo riveduto nel novembre 1994)

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