Sintesi dell’articolo originale apparso su Haaretz e riportato dal blog “Israele – Palestina : testimonianze in attesa”
Con il suo background privilegiato, Hallel Rabin avrebbe potuto prestare servizio militare nell’intelligence o alla radio dell’esercito o in qualsiasi unità non combattente che sia abbastanza prestigiosa da migliorare la sua futura carriera. Rabin, che ha poco più di 19 anni, proviene dalla comunità antroposofica di Harduf e non ha mai assaggiato carne, pollo o pesce, rifiuta di farsi arruolare perché si oppone a violenze di qualsiasi tipo.
Avrebbe potuto trovare un modo per aggirare il servizio di leva e ottenere un’esenzione. Avrebbe potuto fingere di essere religiosa o di avere problemi per motivi di salute mentale. Invece sta cercando di far riconoscere all’esercito israeliano la legittimità della sua obiezione di coscienza. Mentre scrivevo questo articolo lunedì, stava inviando un rapporto a un centro di reclutamento dell’esercito, per la terza volta da agosto, dove dichiarava nuovamente il suo rifiuto di diventare un soldato e il suo desiderio di fare invece il servizio civile volontario. La prima volta che ha rifiutato è stata incarcerata per una settimana e la seconda volta per due settimane.
Sta arrivando preparata per la prigione militare: “È spaventoso: combattere con il sistema in tutta la sua potenza. Sono soggetto alle leggi del luogo, e mi trattano come avessi commesso un crimine”.
Nella sua richiesta di esenzione all’ufficio reclutamento, ha scritto: “L’uccisione, la violenza e la distruzione sono diventate così comuni che il cuore si indurisce e lo ignora. … Il male è diventato per noi parte della famiglia, lo difendiamo e lo giustifichiamo o chiudiamo gli occhi di fronte ad esso ed evitiamo la responsabilità. … Non sono preparata a mantenere e alimentare una realtà violenta. Non sono preparata a far parte di un esercito soggetto alla politica di un governo che va contro i miei valori …”
Il “comitato di coscienza”, he esamina simili richieste di esenzione dal servizio militare, ha letto la lettera e ha incontrato Rabin in agosto. “Ha dato l’impressione di essere una ragazza di belle qualità”, si legge nella raccomandazione alla commissione, che a maggioranza ha deciso di respingere la sua richiesta e di inserirla invece in una struttura rieducativa: “dove può dare un significativo contributo all’esercito israeliano.” Forse la maggioranza del comitato ha concluso che Rabin si oppone alla violenza israeliana diretta contro i palestinesi. Ciò in Israele, dopotutto, non è considerata opposizione per ragioni di coscienza, ma piuttosto una motivazione politica.
La parola “occupazione” non è menzionata nella sua richiesta o nelle sue risposte alla commissione. Sicuramente le parole “colonialismo” e “apartheid” non compaiono nemmeno e questi concetti non sono emersi nella sua conversazione con me.
I passaggi della sua richiesta, che suggeriscono che viviamo in Israele, includono questi punti:“dovrei lavorare in un sistema basato sulla disuguaglianza, la paura e l’incapacità di vedere l’altro. … Ciò è spaventoso per un giovane ebreo come per un giovane palestinese. Non c’è nessuno e certamente nessun popolo o nazione, che gode della sofferenza, vive per essa, la desidera per i suoi figli. Non c’è oppressione benevola, né razzismo giustificabile”.
Hallel Rabin ha il coraggio di deviare dalla strada che la sua vita agiata ha aperto e di rifiutare. Possano esserci altri come lei.
Amira Hass, Haarez, 20 ottobre 2020