Oggi si celebra la festa di San Francesco. Un santo spesso ridotto a semplice rappresentante di un’utopia: la pace, il creato, il rapporto mistico con tutte le creature. Un poeta, dunque un sognatore…
Non sempre essere santificati è un dono. Spesso significa essere mummificati, inquadrati, manipolati…
Chi era Francesco? Un giovane del suo tempo. Benestante, con un padre che aveva progetti per lui, che lo vedeva già come suo erede. Infatti era intelligente, furbo, amante del bello, vivace.
Poi qualcosa è cambiato nella sua vita. Una crisi, la presa di coscienza del non-senso del suo quotidiano, una verifica della sua religiosità, un’esigenza di prendere il Vangelo alla lettera. Vedeva la Chiesa pervasa dalla sete di potere, sempre schierata coi ricchi, privilegiata, corrosa dall’avidità. Una Chiesa da ricostruire!
Egli pensò che era necessario partire da sè stesso. Dai suoi compagni e vicini. Pensò che era necessario un cambiamento dal basso. Perché, aveva capito bene Francesco, partire dall’alto non era più possibile. O forse non è mai possibile, come dimostra purtroppo anche la Chiesa di oggi.
Prese come criterio di vita “la povertà”, tema fondamentale della predicazione e dell’esperienza di Gesù.
Povertà come libertà, povertà come condivisione, povertà come inclusione.
Francesco sentì un bisogno forte di “non servire due padroni”. Sentì che doveva scegliere radicalmente da che parte stare.
Non si può infatti essere di Dio, non si può dirsi cristiani e farsi dominare dai beni.
Egli intuì in modo profondo, il senso della prima beatitudine ”Beati i poveri perché di essi è il Regno”. Comprese che la povertà proposta dal Vangelo non è un’umiliazione da accettare, né miseria da sopportare, nè privazione dei diritti da tollerare, in vista di un premio celeste. (Queste povertà messe in atto dalla violenza predatoria dei ricchi, vanno sempre condannate e combattute!), ma è una povertà intesa come “liberazione” dalla schiavitù del possedere, del contare, dell’accumulare. Chi ha, anche non tantissimo, è preoccupato, pauroso e violento. Tende a volere ancora di più. Identifica la sua felicità e persino il suo valore personale col suo conto in banca. E’ prigioniero dei suoi presunti bisogni…
Francesco fece quello che il giovane ricco non era riuscito a fare. Scelse, non la povertà (concetto astratto e poco cristiano), ma scelse di vivere come i più poveri del suo tempo, i minores, i braccianti, il sottoproletariato. E lo scelse non per essere più pio e religioso degli altri, ma perché convinto che Dio , la libertà, l’amore, la giustizia, il rispetto del creato e dell’uomo non possono convivere con la ricchezza e il privilegio.
Noi lo vediamo nel mondo d’oggi, un mondo in cui la cupidigia spinge allo sfruttamento delle risorse oltre ogni limite e la sete di potere e di controllo costringe ad armarsi fino ai denti, un mondo in cui il 20%dei privilegiati lascia letteralmente morire di fame l’80% dell’umanità e il ricco occidente non si vergogna di lasciar affogare uomini e donne disperati e in fuga da una vita disumana. “Prima noi” è un motto diventato ormai un must, che trova consenso alle nostre latitudini. Siamo prigionieri di mammona.
Francesco aveva capito che Dio condannava il sentirsi privilegiati. Quell’orgoglio che sa così ben discriminare gli altri. Orgoglio derivato non solo dall’avere, ma anche dal sapere, dal sentirsi depositari della verità, dall’essere “religiosi”. Quella presunzione che ti fa condannare giudicare, escludere.
Per questo non predicò la dottrina, né spiegò la Parola. Volle rimanere laico. Considerava un privilegio anche essere prete. Considerava escludente persino “la cultura”, quando marcava una differenza, una disuguaglianza. Non si arrogò il diritto di annunciare “la verità”. Semplicemente visse la verità,
Si spogliò di tutto, rimase nudo, davanti a un vescovo inorridito e a un padre deluso, dimostrando, direi plasticamente, che la sua scelta non era “fare la carità”. La riteneva una soluzione consolatoria e dunque anti-evangelica. Per lui stare dalla parte dei poveri, non poteva essere un lasciar cadere oboli dall’alto di una comodità piccolo borghese, che non si vuole assolutamente rischiare. Per lui stare dalla parte dei poveri voleva dire “vivere con i poveri da povero”, condividendone la precarietà, le attese, le lotte, l’emarginazione.
Questa sua lettura della povertà,( povertà come liberazione e povertà come condivisione), mette in luce un aspetto fondamentale dell’immagine di Dio. Molto diversa dal Dio padre, giudice giusto, potente signore dell’universo. Francesco con la sua vita profetica, ci mostra un Dio inclusivo, un Dio che cerca “i perduti e i perdenti”, gli esclusi dalla società e dalle chiese, gli inaccettabili per diversità di pensiero, di etnia, di genere, di status sociale. Ci mostra il Dio di Gesù.
Dio lo troviamo nell’uomo/donna esclusi dalla storia. Non nelle chiese cattedrali, nei sistemi dottrinali, nelle devozioni consolatorie, nelle istituzioni religiose .
Francesco invita a partire da noi. A non trovare la scusa del “così fan tutti” “ a Roma però” …Francesco infatti non provò a riformare la chiesa, le sue strutture, le sue dottrine …cominciò spogliando se stesso e facendosi servo. Costruì dal basso una comunità liberata e accogliente, il lievito nella pasta di un mondo distratto ed egoista.
E dunque non fu un romantico cantore, ma un uomo adulto. In piedi davanti al suo Dio.
don Paolo Zambaldi