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Donne palestinesi denunciano abusi sessuali nelle carceri israeliane (Invictapalestina.org)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Le prigioniere palestinesi raccontano il comportamento umiliante  dei funzionari dell’intelligence israeliana durante gli interrogatori.

 

Fonte: English version

Salam Abu Sharar – 21.09.2020

Ramallah

Dena Karmi, 41 anni, una donna palestinese che ha trascorso 16 mesi in una prigione israeliana, ricorda  la sua storia di abusi sessuali che ha subito  dietro le sbarre.

Il suo corpo trema ancora  mentre racconta le sedute di interrogatori notturni da parte degli ufficiali dell’intelligence israeliana. In ogni istante, è stata umiliata ed è stata portata vicino all’abuso sessuale estremo.

Come Karmi, molte donne palestinesi hanno denunciato abusi sessuali, a cominciare  dalle perquisizioni  corporali, anche intime, al momento dell’ingresso nelle carceri israeliane.

Parlando con l’Agenzia Anadolu, Karmi ha detto di essere stata sottoposta a molestie sessuali per due giorni nel Centro Interrogatori di Ashqelon.

“Quando mi  rifiutai di togliermi i vestiti, il carceriere mi aggredì. Mi strappò i pantaloni e mi sottopose a perquisizioni imbarazzanti”, ha detto descrivendo i suoi primi momenti nel centro di detenzione.

Karmi è stata arrestata nel luglio 2018 nella sua casa di Hebron – una città palestinese nel sud della Cisgiordania, 30 km a sud di Gerusalemme – ed è stata condannata a 16 mesi di reclusione.

È stata arrestata con altre sei donne per presunta partecipazione ad attività sociali legate al movimento di resistenza di Hamas nella città di Hebron.

“Gli abusi sessuali verbali fanno parte di una strategia ben precisa usata contro tutti i detenuti palestinesi, specialmente contro donne e bambini, per  umiliare e torturare“, ha detto Sahar Francis, presidente di Addameer (la parola araba per coscienza) – un gruppo di sostegno ai prigionieri e per i diritti umani.

Riferisce che le autorità israeliane  utilizzano le molestie sessuali come strumento per fare pressione sui prigionieri, specialmente nelle sessioni di interrogatorio.

Otto giorni dopo la sua detenzione nella prigione di Shikma ad Ashkelon, Karmi era molto stressata e perse più volte i sensi.

Secondo lei, gli interroganti sfruttarono la sua  debolezza e usarono un linguaggio colorito pieno di allusioni sessuali.

Comportamento  degli interroganti atto ad umiliare 

Suo marito Nashat Karmi è stato ucciso nel 2010 dall’esercito israeliano durante uno scontro. Sfruttando la sua situazione di vedova, gli inquirenti l’hanno ripetutamente accusata di indulgere in rapporti sessuali illegittimi.

“E’ stato umiliante e orribile, in particolare quando l’interrogante si comportava in modo promiscuo cercando di provocarmi. A volte durante gli interrogatori notturni, l’interrogante maschio cercava di avvicinarsi, mostrando anche sue foto  in costume da bagno”, ha detto.

La donna ha inoltre detto che mentre aveva la mani ammanettate dietro la schiena, l’interrogante era solito avvicinarsi e respirarle sul volto.

Era stata persino da lui accusata di avere una relazione sessuale con altri ufficiali dell’intelligence, che l’avevano interrogata in precedenza.

Karmi ha ricordato che le sedute  di interrogatorio,  specialmente quelle che si svolgevano di notte, erano particolarmente tormentose, poiché gli agenti  la molestavano usando un linguaggio sporco e offensivo.

“L’interrogante mi minacciava di sottopormi ad abusi sessuali. Una volta mi portò con i carcerieri in una nuova cella. Passarono molte ore vicino alla porta a ridere, il che mi spaventò. Credevo che sarebbero entrati nella cella in qualsiasi momento e mi avrebbero abusato sessualmente“, ha detto.

Un’altra prigioniera palestinese sulla trentina ha detto all’Agenzia Anadolu di essere stata sottoposta a molestie sessuali nel veicolo di trasferimento, noto come “bosta”,  nel percorso dalla prigione israeliana tra Ramallah e Gerusalemme.

“Uno dei detenuti ebrei seduti di fronte a me nella bosta, iniziò a insultarmi sessualmente. Rimasi scioccata e bussai alla gabbia di metallo in cerca di aiuto. Ma nessuno rispose ai miei appelli. Il detenuto ebreo si  tolse i pantaloni e  mimò movimenti sessuali che non sono in grado di descrivere“, ha detto  richiedendo l’anonimato.

Ha detto che nessun ufficiale dell’unità di Nahshon – responsabile del trasferimento dei prigionieri – la aiutò o impedì al criminale ebreo di molestarla. Ha detto che il prigioniero continuò a molestarla per più di due ore.

”Piangevo, pregavo  e chiedevo a Dio di aiutarmi”, ha aggiunto.

Le donne evitano di parlare di tali abusi

Tasneem Jubran, psicoterapeuta e professionista della salute mentale, ha affermato che la maggior parte delle prigioniere palestinesi evita di parlare di tali esperienze per paura dello stigma, tenendo in considerazione che la cultura locale tratta il sesso come una vergogna.

“La molestia sessuale è un trauma che porta a danni fisici e psicologici a lungo termine nel rapporto della vittima con sè stessa e con l’ambiente circostante. Inoltre influisce sulla salute sessuale della vittima se questa dopo la liberazione non si sottopone a psicoterapia“, ha aggiunto Jubran.

Francis, l’attivista di Addmeer, ha affermato che il sistema giudiziario israeliano non prende sul serio le denunce relative alle molestie sessuali.

“Abbiamo documentato e presentato molte denunce ai tribunali israeliani e alle Nazioni Unite. Ma fino ad ora non c’è stata una risposta efficace“, ha detto.

I reclami si accumulano

Nel 2015, Addameer ha sporto denuncia contro diverse poliziotte che avevano molestato fisicamente una prigioniera palestinese, sottoponendola a perquisizione.

“La polizia  indagò su di loro ma non fu presentata alcuna accusa. Questo è stato l’unico caso in cui la polizia ha parzialmente risposto”, ha aggiunto Francis.

Ma nella maggior parte dei casi, le autorità non hanno mai risposto.

“Non si riesce a rendere  giustizia alle vittime di molestie a livello locale e globale. Le istituzioni umanitarie internazionali dovrebbero utilizzare il loro ruolo per identificare i responsabili e assicurarli alla giustizia”, ha detto Francis, che è anche un avvocato e ha documentato decine di denunce negli ultimi 10 anni.

Secondo i dati palestinesi, circa 4.300 palestinesi, tra cui 41 donne e 160 minori, sono attualmente detenuti nelle carceri israeliane.

 

Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù”-Invictapalestina.org

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