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Coronavirus, aerei pieni e riaperture sparse per limitare i danni. Ma nessuno bada al vero malato (Luca Fazzi)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Mentre il governo prepara grandi piani per il rilancio del paese e destina miliardi per la ripartenza senza certezza sulle coperture, il popolo dei vacanzieri saluta con gioia la notizia che gli aerei potranno volare a pieno carico di passeggeri. Su un Airbus A330-200 della flotta Alitalia potranno salire diverse centinaia di passeggeri distanziati da qualche decina di centimetri gli uni dagli altri. Una volta che avranno preso posto sui sedili di viaggio, l’effetto sarà quello solito, tipico del pollaio.

Non è chiaro come per l’ennesima volta il governo abbia cambiato idea sull’efficacia dei criteri di sicurezza per prevenire la diffusione del Covid. Forse sarà perché tra l’8 e il 10% dei milioni di arrivi turistici in Italia avviene per via aerea e giustamente ai soldi del turismo per la ripresa non si può rinunciare. Oppure si tratta di una precauzione nei confronti dello stanziamento miliardario per la costituzione di una nuova società a partecipazione pubblica ideata per salvare Alitalia: la florida azienda costantemente in perdita che secondo Mediobanca è costata alle casse dello stato dal 2007 al 2015 più di sette miliardi di euro.

Oggi è molto difficile dire se le decisioni del governo Conte siano stati lungimiranti o meno. Il lockdown ha salvato milioni, centinaia di migliaia o migliaia di persone a seconda degli studi e dei medici e virologi consultati. Certo, molte scelte di riapertura dei diversi settori di attività rimangono nelle loro ragioni insondabili. L’apertura del 14 aprile delle librerie e dei negozi per articoli di vestiario per bambini per i più continua a restare una decisione alchemica. Perché solo questi esercizi e non altri?

Altre scelte sono state ancora più esoteriche. Nei supermercati gli scaffali di articoli di cancelleria e di biancheria chiusi mentre tutti gli altri erano aperti appartiene a una forma di razionalità superiore, non avvicinabile ai comuni mortali.

Le regioni in ordine sparso, forse capita la poca linearità delle decisioni del governo centrale, da settimane tirano la volata. In Toscana aprono le piste da ballo, sui litorali le spiagge, la distanza tra i tavoli nei ristoranti è scesa a un metro. L’uso delle mascherina sta diventando anche un optional e forse qualcuno avanza l’ipotesi che la probabilità di un contagio del virus all’aperto sia sempre stata prossima allo zero.

In questo scenario da Nave dei folli a restare chiuse e sottoposte a limitazioni pesantissime sono ormai solo le scuole e le università. Le riaperture si prospettano in salita con una serie di vincoli – aperture di aria nelle aule, doppie entrate per evitare assembramenti, sanificazioni tra ore di lezione, divieti di didattica in presenza – di cui non è chiara la ratio.

Una persona normale si chiede per esempio come sia possibile che in un aereo chiuso centinaia di passeggeri a strettissimo contatto non sono a rischio mentre nelle aule il rischio del contagio continua a essere presente. Una risposta è che ci sono più forme di virus: alcune che colpiscono turisti, viaggiatori, ristoratori, esercenti e lavoratori dell’industria, clinicamente innocue, e altre di cui sono vittime gli studenti e i docenti, più aggressive e devastanti.

Oppure a pensare male c’è un altro problema. Qualcuno tra gli ottimi politici oggi al governo pensa che sia indispensabile non fermare l’economia provata da un blocco di attività forse troppo prolungato. La cultura e l’istruzione invece sono altra cosa, non generano reddito e magari il blocco della loro normale ripartenza aiuta anche a giustificare un atteggiamento di nobile attenzione nei confronti della salute dei cittadini.

Eppure se c’è un malato allo stadio terminale in Italia non è l’economia, di cui si continua a vedere il lato emerso degli indicatori ufficiali, e non quello sommerso del risparmio privato, dell’evasione fiscale, delle risorse dirottate nelle tasche di corrotti e corruttori e della spesa assorbita dall’assistenzialismo dilagante. Il malato gravissimo è l’istruzione che rappresenta il presupposto non solo di ogni possibile sviluppo economico, ma anche di ogni capacità critica e interpretativa.

Come rivelano gli studi scientifici più recenti, un numero impressionante di italiani sono analfabeti funzionali. Secondo i test Ocse Pisa solo uno studente su venti padroneggia in Italia compiti di lettura complessi, come sono per esempio quelli che richiedono la distinzione tra fatti e opinioni dopo la lettura di un argomento non famigliare. Solo tre studenti su quattro hanno competenze minime di analisi e comprensione di un testo in lingua madre, mentre gli studi sulle adult skills dell’Ocse da anni segnalano la scarsa capacità di lettura e del testo di almeno un terzo dei cittadini del paese.

E’ tutta colpa della scuola e dell’Università il deficit culturale che annichilisce una parte così rilevante di cittadini italiani? Sicuramente no. Media, culture e sottoculture nazionali, nuove tecnologie contribuiscono sicuramente a indebolire le capacità di lettura, critica e argomentazione della popolazione. Rimane il fatto che il Belpaese, con tutti i sui governi di centro, centrodestra e centrosinistra degli ultimi venti anni, è lo stato dell’Unione europea che destina la più bassa percentuale di spesa pubblica all’educazione.

Secondo il rapporto annuale Education at a glance del 2019 la spesa italiana per l’educazione era pari al 3,6%, contro una media del 5% dei paesi europei. L’età media degli insegnanti è prossima ai 50 anni, la selezione del personale docente è svolta secondo i peggiori criteri sindacal-burocratici, gli stipendi sono tra i più bassi a livello continentale, mentre la percentuale di giovani che non lavorano e non studiano – i famigerati Neet – è all’incirca il doppio che nel resto del continente.

In questo quadro tragico, lasciare scuola e Università ultime a riprendere le attività pare una scelta saggia e coraggiosa. Immaginiamo il premier Conte, informato della situazione, lanciare un segnale di speranza per le nuove generazioni al chiuso degli Stati Generali più blindati della storia dell’Occidente: ‘State tranquilli, vi diamo oggi di meno, per darvi domani di più.’ Grazie presidente. Siamo contenti di ripartire dalla bellezza.

Del resto in quale altra nazione l’opinione pubblica avrebbe digerito senza protestare la stessa persona a capo di un governo di centrodestra prima e di uno di centrosinistra dopo, se non in un paese dove lo studio ha meno valore di un aperitivo al bar? In quale nazione ancora si vota una classe politica così frivola, incompetente e corrotta come quella che è entrata nel parlamento e nelle istituzioni negli ultimi trenta anni?

 

Luca Fazzi, Il Fatto Quotidiano,15 Giugno 2020

 

Luca Fazzi, Docente in Sociologia presso l’Università di Trento

Sono nato e vivo a Bolzano, città di confine. Ho studiato sociologia, economia e antropologia in Italia, Germania, Gran Bretagna e Svizzera, e insegno all’Università di Trento. Lavoro da molti anni sui temi del terzo settore, delle organizzazioni della società civile e della cittadinanza attiva. Ho scritto su questi argomenti molti libri e articoli, alcuni penso interessanti. Anche se studio per motivi professionali, sono animato dalla convinzione che l’economia e la società abbiano bisogno di qualcosa di più del solo intervento dello Stato e del mercato e che la partecipazione sociale sia un elemento fondamentale per sperare di coltivare una decente democrazia.

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