Quando si parla di privacy, si è soliti imbattersi in almeno una delle seguenti frasi:
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io non ho nulla da nascondere;
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tanto hanno già i miei dati;
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in qualche modo li prendono comunque.
Premesso che tutti questi luoghi comuni possono essere facilmente smentiti.
Un solo esempio: non c’è bisogno di chiudere la porta di casa a chiave perché, tanto, se vogliono i ladri entrano lo stesso. Chiudere la porta diminuisce drasticamente la possibilità di intrusione, e nessuna persona sana di mente affermerebbe che, dato che esistono i grimaldelli, non ne vale la pena.
Ora siamo in un contesto nuovo, una situazione che non si era prospettata nemmeno dopo l’undici settembre: la schedatura di massa dei dati sanitari.
Può davvero un’app proteggerci dalla pandemia?
Chi l’ha creata?
Con quali criteri è stato scelto il team di sviluppo?
Qual è il suo curriculum?
Ma soprattutto: come funziona?
Se non ci siamo posti nessuna di queste domande è arrivato il momento di fare una seria riflessione, prima di mettere i nostri dati più intimi nelle mani di…
E se poi questi dati cadessero nelle mani sbagliate?