La pandemia utilizzata dai governi di destra per ristabilire l’ordine pubblico. E crescono gli omicidi contro i lottatori sociali
Uruguay, Bolivia, Colombia, Cile: la pandemia del corona virus, in questi stati del continente latinoamericano, si è trasformata, per i governi di destra, nell’occasione attesa per imporre aggiustamenti strutturali, attuare misure ancora più repressive, perseguitare una volta di più leader dei movimenti e delle organizzazioni popolari.
A meno di un mese dal suo insediamento, dopo 15 anni di governi di centrosinistra del Frente Amplio, il presidente uruguayano Lacalle Pou si è trovato a dover gestire l’emergenza dovuta al Covid-19, ma lo fatto prendendo una serie di misure altamente contraddittorie e gestendo ancora peggio la comunicazione del governo in merito al virus. Ad esempio, Daniel Salinas, ministro della Sanità ed esponente del partito di estrema destra Cabildo Abierto, formazione politica di peso nella Coalición Multicolor di Luis Lacalle Pou, ha dichiarato che per combattere il corona virus non c’era bisogno che gli sportivi amanti della corsa limitassero la loro attività, poiché bastava soltanto che indossassero l’abbigliamento tecnico adatto. In Uruguay, per il momento, non è stata dichiarata la quarantena obbligatoria all’insegna dello slogan, ormai universale, quedate en casa, tuttavia, mentre il governo invitava comunque la popolazione a non creare assembramenti all’aperto, l’ineffabile Lacalle Pou si faceva fotografare insieme ad un ambulante intento ad assaggiare un piatto tipico della cucina armena.
Il peggio doveva ancora venire. Nella conferenza stampa del 23 marzo, dedicata alle misure che il governo intendeva prendere a proposito della violenza di genere (i casi di femminicidio sono cresciuti in tutto il paese), Lacalle Pou se ne è uscito con l’inquietante affermazione che l’aumento degli omicidi compiuti contro le donne rappresenta “un effetto collaterale della quarantena”.
Il caso uruguayano, per quanto possa sembrare paradossale, non è dei peggiori. In Colombia, all’annuncio delle prime misure per far fronte all’emergenza sanitaria da parte del presidente Iván Duque, sono seguiti una serie di attentati culminati con la morte di numerosi leader sociali. Non si tratta di episodi casuali, ma di una strategia mirata, in un momento in cui l’intero paese e l’opinione pubblica sono concentrati su ciò che può accadere a causa della diffusione del Covid-19. Tra gli omicidi degli ultimi giorni figurano quelli di Marco Rivadeneira, portavoce del Comité Operativo Nacional de la Coordinación Colombia-Europa-Estados-Unidos, leader storico delle comunità contadine del Putumayo. Oltre a lui, sono stati assassinati anche Ángel Ovidio Quintero e Ivo Humbero Bracamonte, rispettivamente consiglieri dei municipi di San Francisco (Antioquia) e Puerto Santander (Norte de Santander).
Anche il quotidiano inglese The Guardian ha denunciato l’offensiva contro attivisti sociali e militanti per i diritti umani, divenuti ancor più facili obiettivi da colpire in questo periodo di quarantena. Il Comité Operativo Nacional de la Coordinación Colombia-Europa-Estados-Unidos ha chiamato in causa il presidente Duque e, in particolare, la sua ministra Alicia Arango che, poco più di un mese fa, proprio nel Putumayo, terra di Marco Rivadeneira, aveva reso alla stampa questa infelice dichiarazione: “Muoiono più persone per il furto dei cellulari che i difensori dei diritti umani”. Tra i sospettati di questi omicidi, compreso quello di Jhon Restrepo, leader della comunità lgbt di Medellín ucciso il 25 marzo, e di Carlota Salinas, esponente di Organización Feminina (storica organizzazione femminista della regione del Magdalena Medio), i paramilitari di Águilas Negras, che hanno approfittato dell’isolamento di molti portavoce di primo piano dei movimenti sociali per ucciderli.
Anche in Bolivia il corona virus è sinonimo di repressione. Nei 10 decreti che la presidenta de facto Añez ha firmato per far fronte alla pandemia, figurano in realtà una serie di poteri speciali per polizia e militari, a partire da acquisti di gas lacrimogeni ed equipaggiamenti antisommossa. Le organizzazioni popolari hanno sottolineato, con amara ironia, il passaggio dal corona virus al corona golpe.
In una situazione oggettivamente difficile, la destra boliviana non ha perso tempo ed ha già chiesto di posticipare le elezioni presidenziali del 3 maggio. Se è vero che organizzare un processo elettorale nel pieno dell’emergenza sanitaria risulterebbe effettivamente un grande azzardo, la solerzia con la quale i golpisti sembrano voler rinviare delle elezioni già concesse di malavoglia da Jeanine Añez alcuni mesi fa, è facilmente comprensibile. Tutti i sondaggi segnalano il buon vantaggio che avrebbe Luis Arce, il candidato del Mas – Movimiento al Socialismo, su Carlos Mesa e sulla presidenta. Inoltre, la destra che punta su Áñez, spera che il rinvio possa servire a far diminuire l’appeal degli altri candidati anti-Mas in modo tale che l’intero elettorato conservatore (e in certi casi fondamentalista-evangelico-fascista) converga esclusivamente sulla donna che si è insediata a Palacio Quemado tramite il golpe.
Il virus della repressione dilaga anche in Cile, il cui governo e le cui forze armate sono al centro della bufera ormai da molti mesi per i ripetuti casi di violazione dei diritti umani. In Cile il primo contagiato da Covid-19 è stato reso pubblico il 3 marzo, ma il presidente Sebastián Piñera allora era sempre impegnato a varare leggi contro i movimenti sociali, a partire dalla Ley Anticapuchas e dalla persecuzione giudiziaria contro gli studenti. L’obbligo di rimanere in casa per il governo è stata una manna dal cielo per interrompere i costanti assembramenti dovuti alle manifestazioni antigovernative, ma non si sono mai interrotte le ollas populares dalle abitazioni contro Sebastián Piñera. In pratica, l’avanzata del Covid-19 ha rappresentato un alleato del governo per far rispettare l’ordine pubblico.
Più in generale, in tutta l’America latina la crisi del corona virus si è trasformata in un nuovo capitolo del conflitto tra le classi sociali in un continente già attraversato da forti disuguaglianze.
David Lifodi per www.peacelink.it, 3 aprile 2020