venerdì, Novembre 22, 2024

La pace non è una virtù (A. Zarri)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).
“La pace non è una virtù: è il risultato di parecchie virtù: la frugalità, la mancanza di pretese, la fede, la fiducia, l’abbandono.

 

 

Cerchiamo prima di tutto di sbarazzare il terreno dagli equivoci. La pace non è l’indifferenza,  l’apatia, il quieto vivere. C’è in effetti chi concepisce la pace in questo modo: destreggiarsi il più abilmente possibile, non avere fastidi, aggirare gli spigoli, essere condiscendenti e arrendevoli, magari transigendo i principi, non impegnarsi a fondo, farsi una cuccia calda e ripararla dai venti, vivere in pantofole, come si suol dire. Il risultato di questo studio minuzioso non è la pace: é il quieto vivere senza grane, senza noie, senza disturbi. A ben pensarci è una sorta di morte. La morte non duole, la morte lascia tranquilli. Ma è forse un ideale da proporsi?

 

 

I Padri greci parlavano del vertice della vita interiore come di uno stato di assoluta calma. Al riparo ormai dai turbamenti della vita. Che differenza passa tra questo stato e il quieto vivere di chi non vuole fastidi? La differenza che passa tra la vita e la morte. Quella calma suprema è il risultato del potenziamento vitale di tutte le energie dello spirito e della grazia che si esaltano in una finezza di armonia. Il quieto vivere, invece, è l’assopimento di tutte le istanze vitali e morali che si mette al sicuro dai colpi dell’esistenza. Quella è al di là delle crisi esistenziali, questa è al di qua e cerca di evitarle. Ma evitare le crisi e le difficoltà del vivere, significa rifiutare la vita e restare bambini. Non è l’infanzia del Regno, perché il Signore promette la vita eterna a chi “diventa” bambino, non già a chi resta in un’immaturità che non vuole crescere; promette il Regno a chi riconquista l’infanzia, lo stupore, l’abbandono, la pace dopo le crisi, le tentazioni di pessimismo e di sfiducia che sono il portato normale della vita.

 

 

Quando il Signore nel discorso dell’ultima cena promette la pace ai suoi discepoli precisa che la pace che dà lui, non è la pace che dà il mondo. Perché? Proprio perché la pace che dà il mondo è una scaltra difesa delle ferite della vita, un patteggiamento e un calcolo.

 

 

La pace invece che ci dà il Signore non conosce questa astuzia, non ci ripara, si impegna a fondo della vita, disarmata, disposta a lasciarsi ferire. Il discepolo del Signore non si sottrae a nessun pericolo, a nessuna offesa dell’esistenza e degli uomini. La sua pace è al di là. E’ una pace drammatica, ferita, dolorosa. Le sue radici non sono nella facilità di un’esistenza facile, calcolata, protetta: sono in Dio. Noi sappiamo che Dio ci vede, ci custodisce; che il suo amore è sempre vigile e che nessuna forza del mondo del potrà staccarci da lui. Questa è la pace: sapere che è vicino, che ci ama e che noi possiamo amarlo. Credere che ciò che accade è il suo amore, che ciò che ci ferisce è ancora il suo amore. Fidarsi, fargli credito senza domandare perché, sicuri di lui come dell’amico che non tradisce e non tradirà mai. “Scio cui crededi” dice San Paolo: so a chi mi sono affidato, a chi ho accordato  fiducia. Mi basta. Amen. Questa è la pace.”
(da  A. Zarri, Un eremo non è un guscio di lumaca, Einaudi, 2011, pag. 240)

Supporta Don Paolo Zambaldi con una donazione con PayPal.

Ultimi post

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Dalla stessa categoria