giovedì, Dicembre 26, 2024

Sanremo è lo specchio di un paese sessista

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Il sessismo non si risolve semplicemente non guardando Sanremo o spegnendo la televisione.

Perché il problema non è Sanremo ma lo spazio acquisito e normalizzato che ha il sessismo dentro le parole di un presentatore che è visto da milioni di persone o lo spazio normalizzato dentro a testi di canzoni ascoltate da milioni di ragazze e ragazzi.

Il problema non è in quello schermo.

È nella nostra società che da quello schermo viene rappresentata, e se il sessismo ha accesso alla visibilità vuol dire che “esiste” nella nostra quotidianità.

L’indignazione serve a fare rumore e il rumore smuove ma il piano in cui dobbiamo combattere è e rimane quello dei diritti: leggi più severe per i femminicidi e gli stupri, eliminazione della vittimizzazione delle donne quando denunciano, equità lavorativa, eliminazione della Pas, aumento della paternità, creazione di asili nido, sovvenzioni ai centri antiviolenza, spazio dentro al potere ( le ministre del Conte bis sono solo 8 su 21).

Il piano sociale non equo permette ad Amadeus di salire sul palco e parlare delle donne come se fossero pedine ad appannaggio dell’uomo e permette ad alcuni rap come Cally (…l’ho ammazzata. Le ho strappato la borsC’ho rivestito la maschera) o di Skioffi ( …la sbatto contro il muro, tolgo il fondotinta con la forza dei miei schiaffi…), presente sui banchi del programma Amici, di entrare nelle orecchie delle nostre figlie e dei nostri figli e naturalizzare la sottomissione.

D’altronde si definiscono ancora i padri che si occupano dei figli “mammi”, inoltre la paternità viene definita come maternità maschile e questo la dice lunga.

Quindi, ben venga il rumore ma noi, uomini e donne, dobbiamo pretendere una serie di misure su un piano politico, economico e sociale, perché non sia considerato accettabile che un presentatore si rivolga alle donne in quel modo o che ragazzi raggiungano il successo anche inneggiando alla violenza e al femminicidio.

Perché su un palco non ci sia la fotografia sociale (dieci appendici e al centro lui, il patriarca) e perchè la rappresentazione del femminile non sia sempre e solo legata alla mercificazione del corpo.

 

Quindi, non molliamo. Indigniamoci. Facciamo rumore, scriviamo alla RAI(com_rai@camera.it), chiediamo che un certo linguaggio non esista pretendendo leggi che ci tutelino e nello stesso tempo lavoriamo come possiamo, domandando cambiamenti politici, economici e quindi sociali.

Ad esempio, cosa hanno fatto i governi precedenti e cosa fa questo governo per le donne?

Noi dobbiamo essere una delle priorità, un punto nei programmi, “un capitolo di spesa”, perchè occuparsi di noi vuol dire rendere una società più civile.

Amadeus rimane Amadeus, un uomo che non è in grado nemmeno di capire la violenza delle sue parole e di chiedere scusa.

Noi andiamo avanti, è lui quello da lasciare indietro e continuiamo a chiedere con forza ciò che è giusto.

Per noi, i nostri figli, le nostre figlie e il loro futuro, anche fuori da quel palco.

Soprattutto fuori da quel palco.

Penny

Cinzia Pennati SosDonne

 

BY  · GEN 20, 2020

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