Gli effetti del surriscaldamento globale, ormai drammaticamente tangibili sul nostro pianeta, stanno colpendo duramente anche il continente africano. Con ripercussioni sempre più devastanti sulle popolazioni, l’ambiente e gli animali che lo popolano.
In questi giorni le agenzie di stampa ci descrivono un continente colpito da alluvioni e prolungate siccità che stanno provocando centinaia di vittime tra uomini e animali, e la fuga di centinaia di migliaia di persone che andranno ad ingrossare le fila, già fin troppo affollate, dei profughi.
Alluvioni
Solo nel corso dell’ultimo mese si sono potute leggere numerose drammatiche notizie da diverse zone dell’Africa sub-sahariana. In Niger vaste inondazioni nella regione del Lago Chad hanno costretto almeno 23mila persone a lasciare i propri villaggi nelle ultime settimane. Ma, secondo il governo, dall’inizio di giugno sarebbero 130mila le persone colpite dalle alluvioni e 57 le vittime. In Camerun sono 100mila le persone rimaste senza casa nel corso del mese di ottobre per la peggiore inondazione dal 2012. In Ghana ci sono stati 28 morti negli ultimi giorni, 64 dall’inizio dell’anno.
Il Sudan e la fascia nord del Sud Sudan da mesi sono colpiti da forti piogge. All’inizio di settembre si contavano già 78 morti, 89 feriti e almeno 45mila famiglie rimaste senza casa. Intanto, peggiora la situazione di circa 200mila persone, 150mila delle quali rifugiati, praticamente isolate al confine tra i due paesi. Allagata anche la pista di atterraggio che permetteva il trasporto degli aiuti alimentari e il collegamento con Juba, la capitale del Sud Sudan. Pochi esempi di un elenco che potrebbe essere ben più lungo.
Siccità
Se ci si sposta più a sud il problema è la siccità. In Kenya il monitoraggio costante della situazione per la parte settentrionale del paese dura dal 2014. Ogni anno, per diversi mesi, milioni di persone sopravvivono grazie agli aiuti alimentari. Stessa situazione in Etiopia. Anche peggiore in Somalia. Nei prossimi mesi gran parte del paese risentirà in modo grave per la mancanza di cibo dovuta al fallimento dell’ennesima stagione agricola per la mancanza di pioggia.
Sono informazioni e dati diffusi dal Famine Early Warning Systems Network (FEWS NET), l’organizzazione più autorevole nella raccolta e analisi dei dati riguardanti la sicurezza alimentare nel mondo. Creata da USAID nel 1985, dopo la devastante crisi climatica e alimentare che colpì l’Africa sub-sahariana, lavora oggi in 29 paesi, 22 dei quali in Africa.
Per ora quest’anno l’allarme non riguarda ancora le persone. I morti, che certamente ci sono già stati, non sono in numero tale da far scattare l’emergenza carestia – almeno per i parametri fin troppo rigorosi dell’Onu – in nessuno dei paesi africani. Le situazioni più a rischio sono quelle del Sud Sudan e del nord della Nigeria (e dello Yemen, appena al di là del Mar Rosso) dove la siccità è complicata dalle guerre civili o dagli attacchi di gruppi terroristici che da anni insanguinano quei paesi. Ma si susseguono notizie drammatiche anche sulle condizioni della fauna selvatica.
Animali
Negli ultimi due mesi sono morti un centinaio di elefanti in Botswana e almeno 55 in Zimbabwe, dove i pachidermi sono stati trovati morti di stenti nelle vicinanze di pozze d’acqua. In Botswana pare che ad uccidere una gran parte dei pachidermi sia stata un’epidemia di antrace. La stessa epidemia che l’anno scorso aveva ucciso centinaia di impala e ippopotami in Zimbabwe.
L’epidemia, dicono gli esperti, è scatenata dal fatto che gli animali ingeriscono terreno, dal momento che i pascoli e le pozze d’acqua sono secchi. Entrano così in contatto con il batterio che si sviluppa in corpi sfiancati dalla debolezza e dallo stress a cui sono sottoposti da molti mesi. La Namibia, pure devastata da una gravissima siccità, negli ultimi mesi ha invece deciso di vendere all’asta migliaia di animali selvatici per salvarli da morte certa.
Ovviamente non soffrono solo gli animali selvatici. Negli anni scorsi in Kenya il patrimonio zootecnico delle regioni del nord del paese è stato decimato dalla siccità. I pastori, in cerca di pascoli per il loro bestiame, hanno invaso proprietà private provocando innumerevoli incidenti con diverse vittime. E questo succede in tutti i paesi africani – dove è ancora diffuso l’allevamento brado – tutte le volte che le crisi climatiche costringono le popolazioni a migrazioni nelle regioni limitrofe a quelle in cui sono insediate.
Migrazioni
Secondo economisti e analisti politici delle crisi africane, ma anche per i normali osservatori delle dinamiche del continente, la ricerca di pascoli e di pozzi dei pastori, e la difesa della terra e delle coltivazioni dei contadini, è alla base di moltissimi conflitti locali – definiti piuttosto superficialmente come etnici – che talvolta diventano così gravi da destabilizzare interi paesi e perfino regioni geografiche.
Questo genere di conflitti è destinato a intensificarsi con l’aggravarsi dei fenomeni estremi dovuti al cambiamento climatico, dicono gli esperti. Le due regioni più a rischio, secondo studi che risalgono all’inizio degli anni duemila, sarebbero l’Africa occidentale e il bacino del Nilo, dove in effetti abbiamo visto aumentare la conflittualità negli ultimi anni.
È destinata ad intensificarsi anche la crisi dei profughi. Secondo previsioni della Banca Mondiale, entro il 2050 saranno 143 milioni le persone che dovranno abbandonare le loro zone d’origine a causa di problemi legati ai cambiamenti climatici. Una buona parte di questi profughi climatici saranno in Africa.
Possiamo ipotizzare che molti di loro cercheranno di raggiungere l’Europa che, per ora, non è stata in grado di gestire in modo degno neppure l’inizio di questo fenomeno migratorio innescato da sue politiche energetiche e di sviluppo economico, e da suoi stili di vita dissennati. L’Africa e gli africani ne sono, e sempre più ne saranno, le vittime. Due volte vittime, perché costretti ad abbandonare territori non più in grado di sostenerli e perché respinti da quei paesi che sono responsabili dell’avanzare del degrado.
Bruna Sironi, Nigrizia.it,