giovedì, Novembre 21, 2024

Signor presidente, siamo colpevoli anche noi!

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

«Signor Presidente, se la solidarietà sta divenendo in Italia un reato allora noi le comunichiamo che vogliamo compiere ogni reato di umana solidarietà e che ci associamo a quanto ha fatto la comandante Rackete e desideriamo essere indagati e processati anche noi per apologia di reato e ci offriamo di ricevere la pena prevista per questo reato». Lo scrivono oltre 30 tra teologi, canonisti, storici della Chiesa in una lettera di auto denuncia inviata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il mondo cattolico, anche nei suoi livelli accademici, continua a mobilitarsi a sostegno della solidarietà nei confronti dei migranti ed a difesa di chi, come Carola Rackete, ha scelto di rischiare in prima persona per salvare vite umane.

Inoltre, l’accusa alla capitana Carola, sostiene la lettera, è ridicola ed inaccettabile: come si fa infatti a dire «che una minuscola unità navale, totalmente disarmata e con a bordo dei poveri naufraghi voglia e possa far guerra all’Italia»? La verità è che «non vi è nessuna minaccia e nessuna guerra in atto, se non quella scatenata da mesi nei confronti di esseri umani bisognosi di soccorso e desiderosi di vivere. Non si fa guerra ai poveri e il nostro posto di insegnanti di una Facoltà Teologica è lì dove la vita viene offesa e negata».

I docenti firmatari avvertono i fatti della Sea Watch come direttamente collegati al ruolo di formatori che svolgono: «Come insegnanti, signor Presidente, siamo molto allarmati da questo crescente clima di odio e di aggressione continua soprattutto nei confronti di impoveriti, indeboliti e sfruttati. Questo clima non potrà non avere conseguenze gravissime nella formazione di un comune sentire degli italiani, soprattutto dei più giovani nei cui confronti abbiamo il dovere di dire la verità, di promuovere il dialogo e l’accoglienza, di mostrare il bene della nonviolenza e non favorire e sostenere la mistificazione e l’intolleranza che sfociano inevitabilmente nell’odio».

Per questi motivi, conclude la missiva, «non lasceremo sola la comandante Rackete che con la sua disobbedienza civile ha dimostrato una passione per l’umanità esemplare e associandoci alla comandante attendiamo di essere anche noi processati».

Il gesto ricorda altre celebri iniziative avvenuto in passato in ambito cattolico. Nel 1965, don Milani fu messo sotto processo per apologia di reato, per aver difeso gli obiettori di coscienza (allora una legge che garantisse il diritto all’obiezione di coscienza non esisteva e chi rifiutava di indossare la divisa finiva in carcere per renitenza alla leva) contro i cappellani militari in congedo della Toscana che su un giornale avevano definititi “vili” gli obiettori. «Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni. Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro», scriveva tra le atre cose don Milani ai cappellani. Parole che ricordano da vicino quelle della lettera pubblicata in esclusiva da Adista: «Non si fa guerra ai poveri e il nostro posto di insegnanti di una Facoltà Teologica è lì dove la vita viene offesa e negata».

Qualche anno dopo la vicenda di don Milani, un altro celebre episodio scosse il mondo cattolico. Nel 1969 un migliaio di parrocchiani dell’Isolotto, a Firenze, si auto denunciarono in solidarietà al loro parroco, don Enzo Mazzi, e di altri 4 preti e 3 laici indagati per istigazione a delinquere e turbamento di funzioni religiose, durante i celebri fatti che portarono alla rimozione di don Mazzi da parroco. Nel 1971 furono tutti assolti.

Di seguito, il testo della lettera al presidente della Repubblica

 

 

Al presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella

Signor Presidente,

le scriviamo per manifestarle la nostra totale condivisione con le scelte compiute da Carola Rackete – comandante della piccola nave Sea Watch – sia per aver salvato la vita a dei naufraghi nel Mediterraneo sia per aver deciso, dopo 17 giorni di vana attesa, di farli sbarcare in Italia dopo le lunghissime sofferenze patite nei loro viaggi precedenti e in una nazione in guerra come la Libia.

Signor Presidente, se la solidarietà sta divenendo in Italia un reato allora noi le comunichiamo che vogliamo compiere ogni reato di umana solidarietà e che ci associamo a quanto ha fatto la comandante Rackete e desideriamo essere indagati e processati anche noi per apologia di reato e ci offriamo di ricevere la pena prevista per questo reato. Troviamo inaccettabili le parole dell’attuale ministro dell’Interno il quale, mentre agita a scopo elettorale il Vangelo e il Rosario, parla di atto di guerra compiuto dalla comandante Rackete. È inverosimile e anche ridicolo, infatti, sostenere che una minuscola unità navale, totalmente disarmata e con a bordo dei poveri naufraghi voglia e possa far guerra all’Italia. Non vi è nessuna minaccia e nessuna guerra in atto se non quella scatenata da mesi nei confronti di esseri umani bisognosi di soccorso e desiderosi di vivere. Non si fa guerra ai poveri e il nostro posto di insegnanti di una Facoltà Teologica è lì dove la vita viene offesa e negata.

Appena il 21 giugno papa Francesco ha partecipato ad un convegno nella Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale nella quale lavoriamo e ci ha incoraggiato dicendoci:

«La teologia – tenendo la mente e il cuore fissi sul “Dio misericordioso e pietoso” (cfr Gn 4,2) – può aiutare la Chiesa e la società civile a riprendere la strada in compagnia di tanti naufraghi, incoraggiando le popolazioni del Mediterraneo a rifiutare ogni tentazione di riconquista e di chiusura identitaria. Ambedue nascono, si alimentano e crescono dalla paura. La teologia non si può fare in un ambiente di paura».

Per questo motivo noi non possiamo insegnare teologia rimanendo indifferenti alla progressiva crescita di paura, di terrore, di sospetti, di accuse, di minacce, di incitamento alla violenza e all’odio. E proprio perché rifiutiamo la paura vogliamo fino in fondo svolgere il nostro ruolo di insegnanti e ci associamo a quanto ha scelto di fare la comandante Rackete, perché il primato della coscienza e dell’umanità resterà sempre superiore a tutte le leggi umane, soprattutto quelle leggi che fomentano paure e aprono la strada alle persecuzioni. Facciamo questo proprio ispirandoci a quanto ancora ci ha detto papa Francesco il 21 giugno:

«è importante che i teologi siano uomini e donne di compassione – sottolineo questo: che siano uomini e donne di compassione –, toccati dalla vita oppressa di molti, dalle schiavitù di oggi, dalle piaghe sociali, dalle violenze, dalle guerre e dalle enormi ingiustizie subite da tanti poveri che vivono sulle sponde di questo “mare comune”».

Le scriviamo motivati anche da quell’imperativo morale che ci richiama il Concilio Vaticano II nella Costituzione Pastorale Gaudium et spes:

«I capi di Stato, infatti, i quali sono mallevadori del bene comune delle proprie nazioni e fautori insieme del bene della umanità intera, dipendono in massima parte dalle opinioni e dai sentimenti delle moltitudini. È inutile infatti che essi si adoperino con tenacia a costruire la pace, finché sentimenti di ostilità, di disprezzo e di diffidenza, odi razziali e ostinate ideologie dividono gli uomini, ponendoli gli uni contro gli altri. Di qui la estrema, urgente necessità di una rinnovata educazione degli animi e di un nuovo orientamento nell’opinione pubblica. Coloro che si dedicano a un’opera di educazione, specie della gioventù, e coloro che contribuiscono alla formazione della pubblica opinione, considerino loro dovere gravissimo inculcare negli animi di tutti sentimenti nuovi, ispiratori di pace. E ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, aprendo gli occhi sul mondo intero e su tutte quelle cose che gli uomini possono compiere insieme per condurre l’umanità verso un migliore destino» (n. 82).

E noi sollecitati da queste istanze conciliari, prendiamo posizione chiara in spirito di collaborazione al Suo servizio di Capo di Stato poiché come insegnanti della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale inseriti nei corsi formativi della Sezione San Luigi, retta dai padri Gesuiti, ormai da anni abbiamo promosso un percorso di approfondimento epistemologico e di revisione dei corsi accademici, teso a contestualizzare l’insegnamento teologico nel solco della Tradizione di fede e all’interno delle coordinate socio territoriali del Meridione d’Italia nel quale viviamo e per il quale formiamo i nostri studenti. In tempi recenti il raggio d’interesse e di approfondimento si è esteso all’orizzonte del Mediterraneo, quale bacino culturale che raccoglie le sfide di civiltà e d’integrazione storicamente raggiunte come traguardi di vera umanità e oggi, purtroppo, compromesse da preoccupanti tentativi di chiusure e irrigidimenti sistemici verso le altre civiltà che si affacciano sullo stesso mare.

Come insegnanti, signor Presidente, siamo molto allarmati da questo crescente clima di odio e di aggressione continua soprattutto nei confronti di impoveriti, indeboliti e sfruttati. Questo clima non potrà non avere conseguenze gravissime nella formazione di un comune sentire degli italiani, soprattutto dei più giovani nei cui confronti abbiamo il dovere di dire la verità, di promuovere il dialogo e l’accoglienza, di mostrare il bene della nonviolenza e non favorire e sostenere la mistificazione e l’intolleranza che sfociano inevitabilmente nell’odio.

Per questi motivi, signor Presidente, non lasceremo sola la comandante Rackete che con la sua disobbedienza civile ha dimostrato una passione per l’umanità esemplare e associandoci alla comandante attendiamo di essere anche noi processati.

Voglia accogliere, signor Presidente, la nostra più viva partecipazione all’impegnativo compito che Lei assolve a servizio dell’Italia anche in questi mesi sempre più difficili per coloro che hanno come faro la nostra Costituzione e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sempre più spesso calpestate dalle esigenze della propaganda e del consenso elettorale.

Tutti i firmatari sono insegnanti della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (sezione san Luigi)

Giorgio Agnisola, storico dell’arte cristiana

Giuliana Albano, storica dell’arte cristiana

Enzo Appella, biblista

Azzariti-Fumaroli Luigi, storico della filosofia

Luigi Borriello, teologo della spiritualità

Anna Carfora, storica della Chiesa

Umberto Rosario Del Giudice, teologo canonista

Giuseppina De Simone, teologa fondamentale

Giovanni Di Napoli, teologo dogmatico

Ettore Franco, biblista

Dario Garribba, storico della Chiesa

Lorenzo Gasparro, biblista

Annalisa Guida, biblista

Antonio Ianniello, storico della Chiesa

Giorgio Jossa, storico della Chiesa

Nicola Lanza, filosofia della natura

Sabatino Majorano, teologo della morale

Giorgio Marcello, sociologo

Jluis Narvaja, teologo patristico

Armando Nugnes, teologo dogmatico

Cosimo Pagliara, biblista

Andrea Patauner, lingua tedesca

Valerio Petrarca, antropologo

Agostino Porreca, teologo dogmatico

Matteo Prodi, teologo della morale

Salvatore Purcaro, teologo della morale

Nicola Salato, teologo dogmatico

Emilio Salvatore, biblista

Lucio Sembrano, biblista

Sergio Tanzarella, storico della Chiesa

Gianfranco Terziani, biblista

Bartolomeo Puca, biblista

Valerio Gigante, Adista, 02/07/2019

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