Idealmente sono tutti là nella Basilica di San Pietro, evocati dalle parole del Papa. “In questo sesto anniversario della visita a Lampedusa – sottolinea infatti Francesco -, il mio pensiero va agli “ultimi” che ogni giorno gridano al Signore, chiedendo di essere liberati dai mali che li affliggono. Sono gli ultimi ingannati e abbandonati a morire nel deserto; sono gli ultimi torturati, abusati e violentati nei campi di detenzione; sono gli ultimi che sfidano le onde di un mare impietoso; sono gli ultimi lasciati in campi di un’accoglienza troppo lunga per essere chiamata temporanea. Essi sono solo alcuni degli ultimi che Gesù ci chiede di amare e rialzare”. E’ uno dei passaggi fondamentali dell’omelia che il Pontefice pronuncia nella Basilica vaticana in occasione della Messa che egli stesso ha voluto presiedere per ricordare appunto il sesto anniversario della sua visita nell’isola simbolo dell’approdo di chi arriva da terre lontane. Un ulteriore monito, questa celebrazione per non dimenticare la grave questione e per richiamare le coscienze alla responsabilità di un’accoglienza che non è certo senza regole, ma che non può prescindere da una considerazione fondamentale. I “migranti”, sono soprattutto persone. E come tali vanno trattati.
Il Papa, che già ieri, domenica, all’Angelus aveva pregato per i migranti morti nel raid in Libia, lo dice apertamente nel corso dell’omelia. “Sono persone, non si tratta solo di questioni sociali o migratorie! “Non si tratta solo di migranti!”, nel duplice senso che i migranti sono prima di tutto persone umane, e che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata”. Ecco perché Francesco richiama a un impegno a 360 gradi. “Gesù – dice – rivela ai suoi discepoli la necessità di un’opzione preferenziale per gli ultimi, i quali devono essere messi al primo posto nell’esercizio della carità”. Nel corso della Messa si prega anche per i soccorritori: “Signore Gesù, benedici i soccorritori nel Mar Mediterraneo, e fa crescere in ciascuno di noi il coraggio della verità e il rispetto per ogni vita umana”.
Quindi il Papa prosegue: “Purtroppo le periferie esistenziali delle nostre città sono densamente popolate di persone scartate, emarginate, oppresse, discriminate, abusate, sfruttate, abbandonate, povere e sofferenti. Nello spirito delle Beatitudini siamo chiamati a consolare le loro afflizioni e offrire loro misericordia; a saziare la loro fame e sete di giustizia; a far sentire loro la paternità premurosa di Dio; a indicare loro il cammino per il Regno dei Cieli”. Insomma, “I più deboli e vulnerabili devono essere aiutati”.
E allora il Vescovo di Roma riprende l’immagine della scala di Giacobbe su cui gli angeli salgono e scendono, riferendosi a uno dei brani ascoltati nella Liturgia della Parola, e nel ricordare che quella scala è il simbolo del collegamento tra cielo e terra, assicurato dal Cristo morto e risorto, auspica: “Mi piace allora pensare che potremmo essere noi quegli angeli che salgono e scendono, prendendo sottobraccio i piccoli, gli zoppi, gli ammalati, gli esclusi: gli ultimi, che altrimenti resterebbero indietro e vedrebbero solo le miserie della terra, senza scorgere già da ora qualche bagliore di Cielo. Si tratta di una grande responsabilità, dalla quale nessuno si può esimere se vogliamo portare a compimento la missione di salvezza e liberazione alla quale il Signore stesso ci ha chiamato a collaborare”.
Infine il Papa si rivolge agli immigrati giunti da poco in Italia e presenti, tra gli altri fedeli, alla Messa: “So che molti di voi, che sono arrivati solo qualche mese fa, stanno già aiutando i fratelli e le sorelle che sono giunti in tempi più recenti. Voglio ringraziarvi per questo bellissimo segno di umanità, gratitudine e solidarietà”. Un gesto che chiede di essere ripetuto tante e tante volte. Da parte di ognuno.
Alla celebrazione era presente anche don Carmelo La Magra, parroco della chiesa di San Gerlando a Lampedusa (Ag), che ha rappresentato l’intera comunità dell’isola e portato, come ha tenuto a sottolineare, “le voci, gli abbracci e le ansie di tutti i lampedusani, dei migranti e di quanti guardano a noi ancora come ad una piccola luce, anche in mezzo al buio”.