Intervista. Parla la filosofa in esilio. «Formalmente sono una persona bandita, perseguitata e più volte minacciata di morte: non solo dalle milizie, ma da quei gruppi che svolgono il ruolo di milizie mediatiche»
Fuori dal Brasile, nessuno si capacita di cosa sia successo al paese. «Come ha potuto conquistare il potere uno come Bolsonaro?», si sente spesso chiedere la filosofa e scrittrice Marcia Tiburi.
Per lei, che ha dovuto lasciare il Brasile in seguito alle tante minacce di morte ricevute, la vittoria di Bolsonaro non è stata però un fulmine a ciel sereno. Sui segnali evidenti di un’ascesa del fascismo nel paese, infatti, aveva già messo in guardia, prima ancora del golpe contro la presidente Dilma Rousseff, nel suo libro del 2015 Come conversare con un fascista. E ora che quei timori sono diventati realtà, le abbiamo chiesto cosa sia lecito aspettarsi nell’immediato futuro.
Di fronte alle difficoltà mostrate dal governo, capita spesso di sentir parlare di una possibile caduta di Bolsonaro. Cosa ne pensi?
Dipenderà dalle élite brasiliane. Ma in ogni caso non credo che cadrà prima che venga approvata la riforma della previdenza. Al momento Bolsonaro svolge un ruolo di fondamentale importanza: quello di alimentare un clima perverso di confusione mentale rispetto a ciò che si sta producendo in termini istituzionali, a partire proprio dalla riforma della previdenza. Il suo intento è mantenere la popolazione in uno stato di annebbiamento, tenendola occupata sulle reti sociali con le sue assurdità e la sua violenza verbale e così distraendola dalla realtà. Bolsonaro è il dispositivo che fornisce il carburante a quell’ecosistema fascista che si vive oggi in Brasile, caratterizzato da un discorso vuoto di riflessione, ma pieno di pregiudizio e di odio. Non sorprende allora che, nel momento in cui i militari sparano 80 proiettili contro un’auto con a bordo una famiglia, Bolsonaro commenti: «L’esercito non ha ucciso nessuno». Dove «nessuno» sta per «cittadino». Chiunque può essere ucciso in qualsiasi momento senza che esista un mandante per tale crimine.
Se il governo cadesse, torneresti in Brasile?
Mi piacerebbe tornare in Brasile per aiutare a ricostruire il paese. Un compito che si stava cercando di portare avanti anche prima, sotto i governi del Pt, a cui mi sono affiliata proprio per collaborare a questo progetto. La mia storia è una specie di metonimia di ciò che avviene in Brasile oggi. Io formalmente non sono una persona esiliata. Piuttosto, sono una persona bandita, vittima di una caccia alle streghe, perseguitata e più volte minacciata di morte: non solo dalle milizie, ma da quei gruppi che svolgono il ruolo di milizie mediatiche, che magari non pensano di ucciderti per strada come hanno fatto con Marielle Franco, ma tentano di distruggerti a partire da quel principio di guerra ibrida che è il principio di disinformazione. Non sono certo l’unica ad aver sofferto questa messa al bando informale: è il caso del deputato Jean Wyllys, dell’antropologa Debora Diniz, ma anche di tutti quei docenti, artisti e attivisti che vivono sulla loro pelle lo stesso processo di demonizzazione. Una condizione di messa al bando informale che è uno dei tratti principali della dittatura informale che viviamo oggi.
Come ci si è arrivati?
Nel mio libro del 2015 partendo da fatti, esperienze, pratiche sociali, mostravo, a livello di quotidianità, la crescita del fascismo e dell’autoritarismo. Non di un fascismo di Stato, ma del fascismo che si è introdotto nei cuori e nelle menti dei brasiliani. All’epoca fui molto criticata. Molti, incluso il mio editore, pensavano che esagerassi. Oggi tutti in Brasile parlano di fascismo. A me è rimasto da allora qualcosa che si chiama complesso di Cassandra. Un complesso molto comune tra le donne intellettuali, che parlano spesso come veggenti ma che nessuno è disposto ad ascoltare.
Come si configura questo fascismo in Brasile?
In primo luogo, ma questo vale per tutto il fascismo contemporaneo, le reti sociali, o reti anti-sociali, gli hanno permesso di diventare più veloce, di diffondersi più facilmente, di agire nella soggettività in una maniera più rapida. In particolare, il fascismo alla brasiliana, o fascismo tropicale, deriva dalla capitalizzazione del ridicolo, inteso come un modello di comportamento e di linguaggio contrapposto all’estetica del politicamente corretto e destinato a perpetuare la subalternità delle categorie più deboli. Un aspetto che analizzo nel mio libro Ridicolo politico, dedicato alla mutazione nella cultura politica che si è registrata con figure come Berlusconi, Trump, Bolsonaro. Bolsonaro ha vinto intrattenendo la popolazione come un pagliaccio con le sue battute politicamente scorrette. E benché molti neppure credessero a ciò che diceva, lo hanno comunque votato. In tal senso il fascismo tropicale comincia come un fascismo festoso, un fascismo come fanfara, l’espressione di un’allegria legata a un vuoto di pensiero, di emozioni e di azioni.
Un vuoto di pensiero a cui è evidentemente funzionale l’offensiva contro le università del paese…
Sì, è una guerra contro l’università pubblica ma anche contro l’insegnamento medio e contro l’educazione in quanto tale. Una guerra contro gli intellettuali, i professori, gli scrittori. Contro la filosofia, la sociologia e l’idea stessa di un pensiero critico.