Una rubrica che intenda raccontare l’Alto Adige lontano dagli stereotipi, dai panorami dolomitici e dai gerani sui balconi non può non occuparsi anche della comunità omosessuale altoatesina e più in generale di quella Lgbtqi. Come per ogni viaggio che si rispetti sono partito dalle guide turistiche on-line, in particolare da quelle che segnalano i locali “gay-friendly” in Alto Adige. Travelgay.it, tour operator dedicato al mondo Lgbt che presenta strutture “rigorosamente gay e lesbo” indica due soli hotel in tutto l’Alto Adige, entrambi a cinque stelle, mentre ne segnala oltre il triplo, per la precisione sette, nel vicino Trentino. Su Gayly Planet /Blog di viaggi gay per la comunità Lgbt+ italiana), si può, invece, leggere: «Anche se la vita gay non è la prima cosa per cui si visita la città, comunque ci sono diversi luoghi dove è possibile divertirsi o incontrare nuove persone».
I diversi luoghi, però, risultano essere solamente due: una sauna in periferia e la sede di Centaurus. Quest’ultima, come noto, è l’associazione di riferimento per le persone Lgbti+ in Alto Adige ed è il suo presidente, Andreas Unterkircher, a confermarmi che «non esistono veri e propri “locali gay” a Bolzano. In passato abbiamo organizzato serate in una birreria del centro che, forse non casualmente, è gestita da stranieri».
Che la vocazione turistica altoatesina si limiti ai turisti eterosessuali? Prima di trarre conclusioni affrettate è meglio fare due chiacchiere approfondite con Unterkircher. Lo incontro in una sala del Centro Trevi con una lista di domande piuttosto lunghe. La prima riguarda il livello di omofobia della popolazione locale: La risposta sembra tranquillizzante: «Non ci sono stati segnalati eclatanti casi di omofobia negli ultimi anni – precisa – nemmeno alla nostra linea telefonica. L’ultimo caso di violenza risale al 2010 quando due ragazzi vennero aggrediti davanti a una discoteca. Più di recente, nel dicembre 2017, un bagnino delle Terme di Merano ha ripreso due ragazzi che si baciavano. Nonostante questo, credo che vi sia molta omofobia non denunciata, ma devo ammettere che registriamo soprattutto molta solitudine. Per questo cercheremo di decentralizzare le nostre attività da Bolzano a Merano e Bressanone. Sentiamo che dalle periferie proviene una forte richiesta di intervento. Di recente abbiamo ricevuto una mail molto commovente e dai toni anche drammatici, da parte di un ragazzo di Brunico che ci ha raccontato le esperienze quotidiane e ci ha esortato ad aprire una sede anche in Val Pusteria. Nel frattempo proseguiamo i progetti nelle scuole che ci richiedono interventi di sensibilizzazione sul tema Lgbt».
L’InVisibilità
Non si può negare che in Alto Adige i temi Lgbt appaiano poco sentiti, sicuramente poco trattati, come se tutto funzionasse a meraviglia. Ma è davvero così? «Sembrerà un paradosso – continua Unterkircher – ma è un’invisibilità evidente. Ogni tanto pare che valga la regola del Non chiedere non dire. Tutti sanno ma nessuno chiede e se non scoppia un caso particolare non si parla dell’argomento. E’ ovvio che dobbiamo uscire da questo isolamento, non ho una ricetta precisa, ma solo attraverso la visibilità possiamo ottenere dei risultati concreti per tutta la comunità Lgbt».
A cercare di dirottare l’attenzione sul tema ci ha pensato recentemente Martine De Biasi con il suo premiatissimo documentario “Becoming me” in cui descrive la storia della sua ex partner diventata uomo e attualmente maestro elementare ad Appiano.
Raggiungo Martine De Biasi al telefono mentre si trova a Monaco per un periodo di vacanza insieme alla sua compagna. «Preferirei non parlare del film – premette – credo sia più importante ragionare sulla grandissima omertà sul tema omosessualità in Alto Adige. Basterebbe citare l’atteggiamento del gruppo Athesia che per anni non ha voluto occuparsi dell’argomento. Io e la mia compagna siamo state una delle prime coppie intervistate da un loro giornale. Era il 2013 e una giornalista della Zett am Sonntag ci ha chiesto se usavamo il dildo o se davvero non ci piacevano gli uomini… Terminata l’intervista, le abbiamo proposto di farle domande dello stesso genere per la rivista dell’associazione Centaurus ma si è rifiutata. Ci ha spiegato che a lei e al suo compagno non piaceva l’idea di rendere pubbliche certe cose».
Martine De Biasi, invece, non ha nessun problema a raccontare altri aspetti della sua vita di coppia. La fa con grande tranquillità e con nessun malanimo: «La mia compagna è bavarese, ha vissuto a lungo a Monaco e per lei è stato uno shock notare come camminando per Bolzano non si vedessero effusioni tra coppie omosessuali. Non mi riferisco solo ai baci, ma anche al semplice tenersi per mano. Devo ammettere che, lentamente, questa modalità ha contagiato anche noi. Ma se non ci si bacia o ci si tiene per mano nel capoluogo, è facile immaginarsi quale sia la situazione nelle cittadine più piccole».
L’importanza dei gerani ai balconi
Comprenderne i motivi non è semplice, ma provarci aiuta a evidenziare un aspetto fondamentale dell’Alto Adige, non solo riguardo alle tematiche omosessuali. «Se non vedi nessuna coppia omosessuale che si tiene per mano, se nessuno ne parla, tranne qualche raro insegnante illuminato, si finisce inevitabilmente per accettare queste leggi non scritte. D’altra parte in Alto Adige le facciate sono importanti, sempre pulite, ordinate e piene di fiori, sono una parte fondamentale del brand turistico. Non riguarda solo le tematiche Lgbt, solitamente quello che non viene considerato normale viene cancellato in nome dell’idea di perfezione che occorre trasmettere».
Un silenzio che ha vissuto un momento di pausa solo in occasione del riconoscimento delle unioni civili, quando sono uscite alle scoperto molte coppie omosessuali anche nelle valli più remote.
“Nei paesi più piccoli – prosegue – le cose vanno bene fino a quando non esistono gli omosessuali, ma il Francesco o il Johannes. Singoli individui, figli di conoscenti precisi, che la comunità può contemplare. Finché si tratta di casi singoli e isolati la questione non si pone, questo non significa che gli omosessuali non si sentano terribilmente isolati. Poi è vero, personalmente non ho mai subito maltrattamenti, ma comunque non mi sento sicura».
Le alternative non sembrano essere tante: «Occorre che le persone omosessuali escano allo scoperto anche in Alto Adige. Solo in questo modo è possibile creare una comunità sufficientemente ampia e forte che possa cambiare le cose. Forse manca proprio questa volontà, ma se continuiamo così, anche se non veniamo malmenati per strada, la nostra vita risulta completamente sradicata dalla realtà e in Alto Adige continueremo a non esistere».
Su questo aspetto, Andreas Unterkircher usa toni leggermente diversi, ma gli obiettivi sono gli stessi: «Abbiamo compreso che occorre fare rete con altre associazioni per uscire dall’isolamento. Da questo punto di vista credo risulteranno molto importanti alcune iniziative pubbliche. A partire da quella del 28 giugno al Pippo di Bolzano (dalle ore 19), organizzata in occasione del cinquantenario della rivolta di Stonewall a New York. Si intitolerà Stonewall Everywhere e saranno benvenuti tutti coloro che attraverso l’abbigliamento metteranno in discussione i ruoli di genere. Ma soprattutto, nel mese di ottobre, proseguiranno le iniziative di My Life is Revolution. Per aprire un dialogo sulle esperienze del coming out, inviteremo a Uscire fuori dall’armadio e a dichiarare apertamente l’orientamento sessuale e l’identità di genere a famigliari, amici e colleghi. Perché questo resta il gesto di affermazione più importante per una persona Lgbtqi».
Si spera che questo aiuti la società altoatesina a confrontarsi con la diversità, magari potremo finalmente assistere a qualche intensa e costruttiva polemica pubblica. Come noto, per vedere spuntare gli arcobaleni non basta il sole, servono anche le nuvole nere e le piogge.