mercoledì, Dicembre 25, 2024

Grazie a una parrocchia inclusiva ho potuto parlare della mia omosessualità in famiglia

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Sono nato in una piccola nazione dei Balcani tristemente nota per la sua cultura maschilista e per la scarsa diversificazione sociale.

Io e i miei genitori vivevamo in una piccola cittadina del nord, dove tutti conoscevano tutti e frequentavano la stessa chiesa. Essere diversi in una comunità così piccola ed omogenea era particolarmente difficile, specialmente considerando che avevo spesso l’impressione che in un posto simile fosse impossibile avere una vita privata.

All’interno della comunità, ma anche della nazione intera, non si conosceva generalmente il significato della parola “omosessuale”. Chi invece era attratto da persone dello stesso sesso veniva definito “pederasta”. Ammettere apertamente di nutrire attrazione per persone dello stesso sesso veniva considerato come una perversione di chi aveva deciso di vivere in modo sbagliato la propria vita sessuale.

Nella mia città natale nessuno avrebbe avuto il coraggio di ammettere gusti sessuali di questa natura, mentre nelle città più grandi chi lo aveva confessato veniva ripudiato, subiva abusi sessuali e veniva emarginato nel tentativo di “ripristinare” l’onore della comunità e liberarla dalla perversione.

A causa dell’intolleranza culturale, la maggior parte degli uomini e delle donne omosessuali cedevano alle pressioni delle proprie famiglie e acconsentivano a matrimoni eterosessuali.

Chiunque non fosse sposato, a prescindere dall’orientamento sessuale, era considerato come uno scarto, indesiderabile e da compatire.

All’età di 10 anni io e la mia famiglia ci trasferimmo nel Regno Unito. Nonostante vivessi in una società molto più tollerante, facevo fatica a liberarmi della mentalità provinciale che mi era stata inculcata fin da quando ero piccolo.

Ero incapace di trovare un modo ragionevole per riuscire ad essere me stesso senza evitare che la mia famiglia si scagliasse contro di me, così decisi di nascondere la mia sessualità. Ero convinto del fatto che la mia famiglia mi avrebbe ripudiato se avesse scoperto che ero gay.

Il pensiero di rischiare di essere abbandonato, senza famiglia e senza casa, mi fece cadere in depressione. La paura che la mia sessualità venisse scoperta mi rese distante e riservato.

Pur avendo vissuto a Londra fin dall’età di 10 anni, non ebbi l’occasione di incontrare nessun’altra persona dichiaratamente gay prima dei miei 23 anni. Ci incontrammo casualmente per strada e fin dal primo momento ebbi la sensazione di non essere più da solo. Dopo aver avuto una breve ma positiva relazione, ero determinato a trovare altre persone omosessuali.

Conobbi numerose persone grazie a un’organizzazione LGBT, e fu così che scoprii che molte di esse non condividevano la mia idea di Dio e della religione; al contrario, la maggior parte trovava singolare la mia decisione di continuare ad essere cattolico. Qualcuno mi chiese per quale motivo volessi appartenere ad una comunità che mi rifiutava; altri, invece, mi consigliarono di cercare gruppi cattolici LGBT, che mi avrebbero aiutato a riconciliare la mia sessualità con la mia fede religiosa.

In dodici mesi di tempo passai dal sentirmi come l’unica persona gay sconosciuta del Regno Unito all’essere entrato in contatto con numerosi LGBT.

In più, insieme ad un gruppo di cattolici LGBT, frequentavo una chiesa aperta ad accogliere persone come me. Ricordo ancora la prima volta che andai alla messa organizzata per i membri della comunità LGBT, i loro amici e le loro famiglie.

Ero preoccupato del fatto che qualcuno avesse potuto parlare della mia sessualità, così decisi di non fermarmi per il tè all’ingresso della chiesa dopo la messa. Nonostante le mie paure, la funzione mi piacque e mi ci recai di nuovo due settimane dopo.

Alla messa conobbi molte persone che mi facevano sentire il benvenuto. Essere in compagnia di altri LGBT al di fuori del loro ambiente familiare mi fece sperare che un giorno i miei genitori avrebbero potuto accettare la mia sessualità.

La relazione con i miei genitori andava deteriorandosi mano a mano che continuavo a partecipare alle messe e agli eventi organizzati dalla comunità, infatti mentivo per non dire loro cosa facessi realmente.

I miei genitori erano cresciuti facendo parte di una cultura basata sul valore della famiglia e insistevano per sapere dove andassi e cosa facessi tutto il tempo. Io continuavo a mentire, cosicché essi si lamentavano spesso di me e mi accusavano in modo offensivo.

LStanco di sentirmi accusato e temendo che la relazione che stavo cercando di proteggere si stesse sgretolando davanti ai miei occhi, decisi che era il momento di confessare la verità.

Il 15 maggio 2013 decisi che avrei confessato loro di essere gay. Mi aspettavo che mi avrebbero immediatamente sbattuto fuori di casa, la tipica reazione che chiunque avrebbe avuto nel mio Paese d’origine. Sorprendentemente, questo non avvenne, al contrario, si sentirono in colpa e passarono le successive due settimane reagendo come molti altri genitori nella loro situazione, cioè piangendo e cercando di capire il motivo di ciò che stava accadendo.

I miei genitori sono cattolici molto devoti e avevo sperato di poterli portare con me alla messa. Essi, dubitando dei pregiudizi propri della loro cultura, desideravano sapere di più sul mondo omosessuale, così, tre settimane dopo essermi confidato con loro, ci recammo a messa insieme.

Il 9 giugno 2013 io e i miei genitori ci recammo a Farm Street, alla messa delle 18:15. Ricordo di aver guardato la faccia di mia madre durante la messa e i suoi singhiozzi mi spezzarono il cuore. Dopo la messa, alcuni membri della comunità salutarono i miei genitori mentre prendevamo il tè all’ingresso della parrocchia.

Quando lasciammo la chiesa mia madre non era turbata, bensì sollevata, per avere scoperto che gli omosessuali sono esattamente come chiunque altro. Se non fosse stato per questa comunità, non avrei avuto il coraggio di cui avevo bisogno per essere sincero con la mia famiglia: i miei genitori avrebbero continuato ad avere pregiudizi sulla comunità LGBT e, a lungo andare, non mi avrebbero sostenuto.

Ora ho 26 anni e mi sento estremamente fortunato per poter finalmente essere me stesso e continuare ad avere un bel rapporto con i miei genitori, cercando anche di essere un buon cattolico.

PIl mio desiderio è che comunità come queste siano presenti sul territorio del mio Paese di origine e in altre regioni dove l’intolleranza è diffusa: in questo modo, essere diversi sarebbe molto più facile.

 

Testimonianza pubblicata sul sito LGBT Testimony, liberamente tradotta da Enrico Villa, Progetto Gionata

Testo originale (PDF): LGBT Testimony 4

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