Ratzinger pone (erroneamente) gli anni ’60 e quel Concilio all’origine della decadenza morale nella chiesa, in una evidente differenza con papa Francesco
Benedetto XVI ha rotto il proprio silenzio sugli abusi sessuali, e in modo del tutto irrituale. La sera del 10 aprile 2019, a sei settimane dalla conclusione del summit vaticano sugli abusi sessuali convocato da papa Francesco, in una fase critica per la chiesa cattolica alle prese con un scandalo di dimensioni globali ed epocali, il “papa emerito” ha fatto conoscere il proprio pensiero sulla genesi del fenomeno in un lungo saggio (oltre cinquemila parole) inviato ad alcuni mass media cattolici online, che sono da sempre vicini al suo entourage e ostili a papa Francesco.
Il saggio di Benedetto XVI si può dividere in due parti. La seconda parte, quella teologica, è una riflessione sulla natura spirituale della chiesa, che sottolinea le analogie con l’approccio di papa Francesco alla crisi degli abusi sessuali: non può essere risolta soltanto con una mentalità burocratica e giuridica, ma anche e soprattutto come lotta a un male spirituale che si rivela sotto forma di abusi sessuali di minori e nella complicità della chiesa coi colpevoli di questi atti criminali.
In tutto il resto il documento evidenzia importanti differenze rispetto alla visione di chiesa e dell’analisi del fenomeno da parte di papa Francesco. In Ratzinger, l’analisi storico-teologica del post-concilio – cosa è successo nella chiesa cattolica a partire dagli anni sessanta in poi – è concentrata sugli effetti negativi per la chiesa della rivoluzione sessuale in termini di decadenza morale nelle pratiche e del sorgere del relativismo nella teologia morale. Questa è un’analisi a dir poco problematica: pone il concilio Vaticano II all’origine della decadenza morale nella chiesa, in una evidente differenza dal modo in cui papa Francesco parla e ha sempre parlato del concilio. Ma il vero problema è che da parte di Benedetto XVI identificare negli anni sessanta l’inizio del fenomeno degli abusi sessuali è totalmente smentito da tutti gli studi scientifici disponibili in varie lingue e in tutto il mondo. La storia degli abusi sessuali nella chiesa inizia ben prima degli anni sessanta: si ritrova già negli scritti dei Padri della chiesa nei primi secoli, in termini coniati di nuovo e che non si ritrovano nel greco classico; c’è una vasta letteratura storica e giuridica sul fenomeno e sugli strumenti elaborati dalla chiesa per contrastarlo.
Questo saggio da parte di Benedetto XVI offre una caricatura del periodo post-Vaticano II, che fu un periodo estremamente complesso e contraddittorio, non privo di errori e ingenuità da parte dei cattolici presi nel tentativo di immaginare una chiesa più aperta al mondo: ma la pornografizzazione del post-concilio è cosa sorprendente da parte di uno dei teologi più importanti sia del concilio Vaticano II sia del post-concilio. Questa peculiare “tesi Ratzinger”, tuttavia, non è nuova: se ne trovano tracce già nella lettera inviata alla chiesa in Irlanda nel 2010.
Questa analisi rivela anche altri punti problematici. C’è una scarsissima attenzione alle vittime. Si offre un giudizio affrettato e superficiale sulle responsabilità della chiesa istituzionale e del Vaticano tra Giovanni Paolo II e il pontificato di Benedetto XVI. Non c’è nessuna assunzione di responsabilità per i fallimenti (il caso del cardinale Bernard Law rifugiatosi a Roma per sfuggire alla legge americana) e i tragici ritardi (il caso di Marcial Maciel e dei Legionari di Cristo) – una storia in cui Joseph Ratzinger ebbe un ruolo non proprio secondario come prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede. C’è un lato personale in questo saggio di Joseph Ratzinger ma solo come una delle vittime: Ratzinger vittima non degli abusi sessuali, ma degli abusi teologici da parte della teologia liberal (il riferimento, spesso presente negli scritti ratzingeriani, alla “Dichiarazione di Colonia” del 1989). La storia è più complicata. Per esempio, nel febbraio 2012, durante il pontificato di Benedetto e a ridosso della gestione vaticana della crisi degli abusi in Irlanda, si tenne alla Pontificia Università Gregoriana a Roma un convegno sulla crisi degli abusi sessuali: il tutto si svolse nel disinteresse dei media vaticani, che ricevettero ordine di non dare risalto alla notizia, e senza che papa Benedetto intervenisse o apparisse a quel convegno come invece ha fatto papa Francesco due mesi fa.
C’è poi una seconda questione soggiacente alla pubblicazione di questo saggio, che è di metodo e costituzionale. Il testo di Benedetto XVI afferma di avere chiesto il permesso a papa Francesco e al Segretario di Stato, cardinale Parolin, che lo avrebbero concesso al fine di una pubblicazione, in tedesco, in un periodico del clero bavarese. In realtà, il lungo testo era disponibile, e in una buona traduzione in lingua inglese, fin dal pomeriggio del 10 aprile ad alcuni (ma solo alcuni) media cattolici e non-cattolici che negli Stati Uniti fanno parte dell’apparato conservatore e tradizionalista che da sempre fa propaganda contro papa Francesco. Questa cosa dovrà essere prima o poi spiegata: chi lo ha inviato a certi organi di stampa? Perché ad alcuno e non ad altri? Con quale informazione fornita ai dirigenti della comunicazione della Santa Sede? Le spiegazioni infatti non vanno cercate presso i media vaticani, che pare siano stati sorpresi dall’iniziativa, ma da quella specie di corte papale parallela che si è formata attorno al papa emerito – fin da prima diventasse emerito. La pubblicazione di questo saggio e la sua tesi di fondo sono presto diventate strumento nelle mani di coloro che, specialmente negli USA, da un anno a questa parte stanno tentando con ogni mezzo di liberarsi di papa Francesco, in un modo o nell’altro. In America c’è tentazione di scisma e la narrazione giornalistica sulla crisi degli abusi sessuali è parte integrante del disegno. Benedetto XVI forse non lo sa, ma lo sa benissimo chi ha organizzato questo lancio di stampa con tanto di embargo (prontamente violato). La scelta di privilegiare certi organi di stampa, che si sono distinti nella campagna contro papa Bergoglio dal 2013 in poi, dà l’impressione che Benedetto XVI sia organico a quegli ambienti e dà l’impressione che il papa emerito sia manipolato e manipolabile.
La questione del metodo è importante anche dal punto di vista legale: finora Joseph Ratzinger è stato, come tutti gli uomini di punta del Vaticano durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (a partire dai Segretari di Stato, i cardinali Sodano e Bertone), molto riservato circa i casi ancora aperti, e specialmente sul caso del cardinale americano Theodore McCarrick, escluso dal collegio cardinalizio da papa Francesco nel 2018 e spretato due mesi fa dopo un processo canonico. Il silenzio di un papa emerito si può giustificare come facente parte dell’immunità di cui gode l’ex sovrano dello stato vaticano, oppure anche come il tentativo di non interferire con il governo di papa Francesco. Ora Benedetto XVI scrive e pubblica lunghi testi. Nel momento in cui il papa emerito interviene sulla questione abusi sessuali, fa sorgere domande che nessuno finora aveva potuto o voluto rivolgere a chi è stato ai vertici del Vaticano sin dal 1981 come lui.
Problemi legali a parte, il problema più evidente è di natura ecclesiale. La tesi Ratzinger sugli abusi sessuali nella chiesa costituisce una contro-narrazione che va ad alimentare direttamente l’opposizione a papa Francesco e che crea confusione sul che fare in questo momento drammatico, specialmente attorno a una questione: il legame tra abusi sessuali e omosessualità. Nonostante gli studi scientifici sugli abusi abbiano smentito un legame tra orientamento omosessuale e abusi sessuali, Benedetto XVI ripropone questa tesi che si configura come una strada alternativa a quella proposta da papa Francesco e dal summit in Vaticano di due mesi fa, che vede la questione degli abusi come fenomeno di abuso di potere nella chiesa, senza collocarlo all’interno di una tesi sul ruolo chiave della rivoluzione sessuale per i destini del cattolicesimo. Un fatto importante è anche il contesto del 2018-2019: questa operazione mediatica va letta come la prosecuzione dell’operazione Viganò dell’agosto scorso. Benedetto XVI certamente non punta a far dimettere papa Francesco; ma altri, ben collocati nel complesso giornalistico cattolico oltreatlantico dotato di basi a Roma, ci stanno provando, ed è cosa di cui il segretario di Joseph Ratzinger è certamente informato.
La terza questione è di natura costituzionale circa l’ufficio di “papa emerito” nella chiesa cattolica. Dal marzo 2013 ad oggi la coabitazione tra papa ed emerito aveva funzionato senza troppi sussulti. Ora, qualunque cosa diranno papa Francesco e i media vaticani nei prossimi giorni, è chiaro che questo episodio costituisce un vulnus: una ferita al regime dei rapporti tra i due uffici. Il problema non è tra le due persone Francesco e Benedetto, che continueranno a volersi bene come prima, ma tra i due uffici e i loro bracci operativi. Se non altro, questo incidente dimostra che poco conta cambiare il sistema delle comunicazioni vaticane, se continua ad esistere una corte papale parallela che fa tutto per dare l’impressione che ci sia un secondo papa ancora in servizio per quanti sono scontenti del papa regnante.
I papi hanno sempre potuto dimettersi. Pochi lo hanno fatto, nel medioevo, e quasi mai spontaneamente. Benedetto XVI ha innovato il papato dimettendosi in diretta, sei anni fa, e questo è probabile che si ripeta in futuro. Nel mondo dominato dai media digitali e dai social media, quella del papa emerito è un’istituzione che necessita di una regolamentazione che oggi non ha: al momento delle dimissioni, dovrebbe dimettersi assieme al papa anche la sua segreteria, che viene riassegnata; il ruolo di prefetto della casa pontificia va abolito; il papa emerito deve cessare di vestire di bianco; i suoi rapporti coi media non vanno lasciati alla discrezione di segretari che hanno tutto l’interesse a prolungare la vita di un pontificato che è cessato a tutti gli effetti (ma non dal punto di vista mediatico).
Questo saggio pubblicato ieri purtroppo danneggia l’immagine di Benedetto, che nel suo scritto dimostra una visione idiosincratica e limitata della genesi della crisi degli abusi sessuali e dello stato delle conoscenze scientifiche sul problema. Il pontificato di papa Francesco alle prese con la crisi degli abusi risentirà in modo marginale di questa manovra – architettata mediaticamente non da Benedetto XVI, ma da chi gli sta intorno. In un certo senso, questa manovra potrebbe fornire al Vaticano di Francesco degli alibi. Di sicuro dimostra quanto la chiesa abbia bisogno di una nuova generazione di leader e di un nuovo pensiero per affrontare la crisi più grave del cattolicesimo del nostro tempo.