domenica, Dicembre 22, 2024

Legittima difesa: un arretramento culturale e una minaccia per la sicurezza

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

39767 ROMA-ADISTA. Con 201 voti favorevoli, 38 contrari e 6 astenuti, il 28 marzo il Senato ha dato il via libera definitivo al disegno di legge che riforma l’articolo 52 del codice penale in materia di difesa legittima. La nuova legge, fortemente voluta dalla Lega e dal suo leader Matteo Salvini, inasprisce le pene per furto, rapina e violazione di domicilio e, al contempo, rende “sempre” legittima e proporzionata la difesa di chi risponde ad una minaccia di violenza nella propria abitazione, e non punibile chi si tutela, anche sparando e uccidendo, qualora si trovi «in condizioni di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto».

Paura e sospetto

Una «legge anoressica», secondo mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso- Bojano (Sir, 1° aprile), perché «adagio adagio ci toglierà il gusto della fiducia nell’altro, la gioia di guardare all’altro come alleato e non come potenziale avversario». È anche una legge «insidiosa sul piano antropologico, perché introduce un principio devastante: dell’altro non mi posso più fidare. Mi potrà essere sempre nemico. Quel “sempre” che è stato introdotto nell’articolo 52 del Codice penale, non necessario, ma volutamente provocatorio, guasterà le nostre relazioni sociali. E ci renderà inesorabilmente più poveri!». Secondo Bregantini, la nostra società, già minata da un crollo di fiducia sul piano politico, economico e delle relazioni internazionali, non aveva proprio bisogno di questa riforma, «pericolosa, direi proprio negativa, in quanto va a minare il cuore della fraternità, dell’essere e del riconoscerci fratelli!». Le paure ci divorano, conclude il vescovo, «l’unica cosa fondamentale per vivere bene: il convivere nella comunione, nutrendo fiducia e non sospetto!».

Legittimità e proporzionalità

Sul numero di aprile del mensile dei paolini Vita Pastorale Francesco Occhetta (gesuita membro del collegio degli scrittori de La Civiltà Cattolica) sottolinea limiti e pericoli della riforma: «Non sarà più necessario che il ladro o la persona che entra nella proprietà privata abbia un’arma in mano, sarà sufficiente simulare d’averla anche senza minacciare direttamente la persona da aggredire. Coloro che spareranno mentre erano gravemente turbati non saranno puniti». Ma non finisce qui, prosegue l’articolo, perché «i casi di legittima difesa avranno una corsia preferenziale per essere giudicati velocemente» e, inoltre, «a chi si difenderà legittimamente è stata tolta la responsabilità civile legata al risarcimento del danno».

Obiettivo della legge, in definitiva, pare essere quello di punire in maniera esemplare il trasgressore e tutelare al contempo chi si difende anche se la sua reazione si dimostra sproporzionata e violenta. Il governo a trazione leghista agita «lo slogan “più sicurezza”», commenta Occhetta, ma le ragioni politiche di tale misura sembrano altre, anche perché una legge sul “Diritto all’autotutela in un privato domicilio» (la 59 del 13 febbraio 2006) già c’era ed era stata voluta proprio dal centrodestra di allora.

Il gesuita tenta poi di ricondurre il dibattito sul piano della realtà concreta dei fatti: se si considera infatti che i procedimenti per eccesso di legittima difesa ogni anno si contano sulla punta delle dita di una mano e che «le rapine e i furti in abitazione sono diminuiti », di quale emergenza si parla? Secondo Occhetta è evidente il meccanismo della costruzione della paura, che ha come unico obiettivo la propaganda e la raccolta di consensi, ma non certo la reale sicurezza dei cittadini. Anche la Chiesa cattolica ha una visione chiara e codificata sulla questione: secondo il Catechismo, infatti, la difesa è un diritto e addirittura un dovere quando si è responsabili della vita altrui. La teologia morale parla però subordina la legittimità al principio di proporzionalità tra aggressione e reazione difensiva. In casi estremi, scrive Occhetta, se la difesa e proporzionata è lecito anche uccidere l’aggressore. La difesa è dunque legittima quando tutela da una minaccia e non quando ha obiettivi diversi, come la prevenzione o la punizione. Per quello, ci sono lo Stato e le forze dell’ordine. Secondo la morale cattolica, conclude dunque Occhetta, «non sono mai legittimati l’odio, il rancore e la vendetta».

Sulla riforma, dunque, Vita Pastorale è critica: una legge che invita a «sostituirsi allo Stato» e «ad armarsi per proteggersi». E, come insegnano le vicende di Paesi come la Florida, leggi pensate in questo modo, «più che scoraggiare i malviventi, li hanno resi sempre più violenti e armati».

Le armi uccidono più delle rapine

Le associazioni afferenti alla Rete Italiana per il Disarmo (RID) – tra le quali Acli, Archivio Disarmo, Arci, associazione Papa Giovanni XXIII, Beati i costruttori di Pace, Conferenza degli Istituti Missionari in Italia (Cimi), Fondazione Finanza Etica, Gruppo Abele, Libera, Movimento Nonviolento, Noi Siamo Chiesa, OPAL Brescia, Pax Christi Italia – vedono nella riforma del codice penale «un arretramento legale e culturale, e un’ulteriore minaccia per la sicurezza collettiva». Preoccupante, si legge in un comunicato del 28 marzo, «la connessione tra questa nuova forma di “legittima difesa” e la diffusione delle armi nelle nostre città e comunità. Una connessione che nel testo approvato è sia implicita sia esplicita e che, se unita alle difficoltà di controllo della diffusione di armi e a una tendenza sempre più marcata nel nostro Paese all’accesso a nuove licenze, comporterà ovviamente un deterioramento della sicurezza per tutti». Il testo parla esplicitamente di «uso di un’arma legittimamente detenuta», accusa la RID, ma non modifica nulla nella normativa per la detenzione e diffusione delle armi. E questo è estremamente preoccupante, prosegue la Rete: «Secondo i dati ufficiali oggi in Italia vi sono più omicidi con armi legalmente detenute che omicidi per “furti e rapine” e dunque se c’è un’arma in casa è molto più facile che venga utilizzata per ammazzare un familiare (molto spesso donna) o un vicino che non per fronteggiare eventuali ladri».

Una sconfitta per lo Stato di diritto

«Più che una tutela per i rari casi di chi si è difeso sparando, la conseguenza più frequente sarà una corsa al rilascio del porto d’armi e all’acquisto e detenzione da parte dei cittadini di pistole e fucili», ha commentato con amarezza l’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo (IRIAD) il giorno del voto. I dati del Ministero dell’Interno dicono che «già negli ultimi anni (2014-2017) tale processo è in atto in forma strisciante grazie all’aumento del 41,6% delle licenze per uso sportivo, più facili da ottenere rispetto a quelle per difesa personale». Secondo il presidente dell’Istituto, Fabrizio Battistelli, la «legittimazione psicologica», introdotta con il riconoscimento delle «condizioni di grave turbamento», «determinerà una proliferazione delle armi da fuoco che moltiplicherà l’eventualità di incidenti, di usi involontari e di usi impropri. In definitiva un aumento del rischio».

In tal senso, l’esempio degli Stati Uniti è «estremo ma chiaro», con «290 milioni di armi “leggere” (poco meno di una per abitante), con un tasso di morti pro capite per arma da fuoco (oltre 38.000 nel 2017) che è il più alto del mondo». Sebbene con i dovuti distinguo, avverte l’IRIAD, «anche in Europa esistono aree nelle quali la disponibilità legale e illegale di armi da fuoco alimenta situazioni allarmanti. È il caso dell’Europa orientale, dove la proliferazione di armi alimenta frequenti casi di ferimenti e omicidi, che tendono ad avere per vittime i settori più esposti della popolazione, come i giovani maschi e, nel 40-50% dei casi, le donne».

La strada da seguire, secondo l’Istituto, è «il rafforzamento del ruolo dello Stato nella prevenzione e nel contrasto della criminalità, e non la privatizzazione della difesa», come chiedono la magistratura e le forze dell’ordine, «interpretando da professionisti la sensibilità di tutti coloro che hanno a cuore l’incolumità dei cittadini e la tutela dello Stato di diritto. Cioè di tutti noi».

 

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