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Bolsonaro ha scelto di celebrare l’inizio della dittatura brasiliana

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Il 31 marzo il capo dello Stato leggerà un messaggio per commemorare il golpe del 1964 che portò all’instaurazione del regime durato fino al 1985. 

La decisione del presidente brasiliano Jair Bolsonaro di commemorare il 31 marzo il 55esimo anniversario del golpe del 1964, che mise fine al governo di Joao Goulart e diede inizio a 21 anni di regime militare in Brasile (fino al 1985), che lui non considera un colpo di Stato, ha sollevato un’ondata di indignazione e polemiche nel Paese. Il portavoce della presidenza, Otavio Rego Barros, ha annunciato la sera del 25 marzo che Bolsonaro ha approvato un messaggio che sarà letto nelle caserme il prossimo 31 marzo. Rego Barros non ha reso noto il contenuto del messaggio, ma ha indicato che il presidente «non considera il 31 marzo 1964 come un golpe militare». Ritiene piuttosto che quel giorno «la società intera, conscia del pericolo che il Paese stava vivendo in quel momento, si sia unita, civili e militari». «Così siamo riusciti a recuperare l’orientamento e a deviare il nostro Paese da una direzione che, altrimenti, ci avrebbe portato ad avere oggi un tipo di governo che non sarebbe positivo per nessuno», ha aggiunto il portavoce. L’annuncio ha avuto un forte impatto sull’opinione pubblica brasiliana: nelle ore seguenti, la polemica sul golpe del ’64 è diventata trending topic su Twitter, dove l’hashtag #DitaduraNuncaMais («Mai più dittatura») si è imposto sul suo rivale, #ComunismoNuncaMais («Mai più comunismo), mentre sui social e nei media piovevano critiche a Bolsonaro.

«UN ATTENTATO CONTRO LA MEMORIA DEL BRASILE»

«Commemorare il golpe militare del 1964 è un attentato contro la memoria del Brasile», ha scritto il giornalista indipendente Kenney Alencar, mentre Taliria Petrone, deputata di sinistra, rivolgendosi a Bolsonaro, ha detto che «non c’è niente da celebrare, presidente: la dittatura ha censurato, torturato, perseguitato ed ucciso. Dobbiamo ricordarlo, sì, ma per non dimenticare, perché non succeda mai più». Alcuni hanno pubblicato testimonianze personali sugli abusi del regime. «Nel ’64 mio padre è finito in prigione e mia madre ha perso il bambino che aspettava quando l’ha saputo», ha ricordato la scrittrice Patricia Melo. «Nata in piena dittatura, sono stata educata al silenzio, ho visto arrestare miei professori, avevo un informatore armato in classe all’Università: non ho niente da celebrare”. Poche le manifestazioni di appoggio al revisionismo storico di Bolsonaro: la deputata Joice Hasselman, capogruppo del governo alla Camera, ha detto di essere «orgogliosa» per l’iniziativa, sottolineando che «così riprendiamo la vera narrativa della nostra storia». Mentre José Pinto Coelho, del Partito Nazionale di Rinnovamento (estrema destra), ha scritto che «finalmente» si celebra «il giorno in cui i militari si sono sollevati contro il comunista Goulart, che voleva fare del Brasile una gigantesca Cuba». Più equilibrato, ma certo negativo, il commento di Helio Gourovitz, columnist della Globo, secondo il quale Bolsonaro «può avere ragione quando dice che la lettura ufficiale della sinistra di ciò che avvenne allora è sbagliata, ma è un errore ancor più grande minimizzare l’arbitrarietà del regime. Non ci sono dubbi sui fatti: è stato un golpe, c’è stata censura, tortura, almeno 434 persone sono morte o sparite, il Parlamento è stato chiuso e i diritti politici sono stati negati. È stata una dittatura».

lettera43.it, 26 marzo 2019

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