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La grande isola spogliata

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

La deforestazione in Madagascar ha raggiunto livelli allarmanti. In meno di 60 anni il paese ha perso la metà delle sue foreste e con esse parte consistente del suo patrimonio unico di biodiversità. Una devastazione dovuta da politiche che favoriscono lo sfruttamento del territorio da parte di aziende straniere e al fiorente commercio illegale di legname pregiato.

 

A dare l’allarme sulla gravità del fenomeno sono i dati pubblicati dall’osservatorio Global Forest Watch, secondo cui sull’isola dal 2001 al 2017, sono andati distrutti 3,27 milioni di ettari di foresta. La perdita della diversità ambientale, che ha portato al dimezzamento delle foreste malgasce dall’indipendenza del 1960 ad oggi, ha subito un’ulteriore accelerazione a partire dall’inizio del millennio, con un calo delle aree forestali pari al 19%.

Contro l’avanzata della deforestazione, che riguarda in particolare le regioni di Toamasina e Toliara (rispettivamente a nord-est e a sud-ovest dell’isola), è intervenuto anche Ndranto Razakamanarina, presidente dell’organizzazione per la salvaguardia dell’ambiente Alliance Voahary Gasy, il quale ha riferito come il 2017 sia stato l’anno più disastroso per le foreste dello stato africano. «Siamo stati la nazione con il più alto tasso di deforestazione al mondo ed abbiamo perso il 3,8% delle nostre foreste. Ad oggi, in termini di superfice, siamo il quarto paese al mondo, dopo il Brasile, l’Indonesia e la Repubblica democratica del Congo, per perdita di vegetazione».

Le multinazionali del legno, le aziende minerarie e agro-alimentari avanzano da almeno un decennio, favorite dalla corruzione e dalla complicità del governo. Il rapido aumento della deforestazione si ricollega in particolare al fiorente commercio illegale di legnami pregiati (uno su tutti il palissandro), molto richiesti dal mercato internazionale e di cui il Madagascar è (ma forse è meglio dire, era) ricco.

Intervistate dall’agenzia Reuters, le guide turistiche della regione di Vohibola, nel sud-est, hanno recentemente denunciato l’azione dei trafficanti di legname che nel 2017, appiccando il fuoco alla foresta, hanno bruciato circa il 20% della riserva naturale, causando la morte numerose specie animali.

Le azioni di disboscamento infatti stanno mettendo seriamente a rischio l’esistenza di numerose specie dell’incredibile diversità faunistica del paese. Tra i mammiferi presenti sull’isola, di cui circa l’80% non si trova da nessun’altra parte al mondo, i lemuri sono i più esposti a rischio estinzione.  Gli esperti ritengono che oltre al bracconaggio, la modificazione dell’habitat in cui vive l’animale è causa del pericolo cui è esposta la specie. Secondo Giuseppe Donati, professore associato di primatologia alla Oxford Brookes University, «le foreste spinose in cui i lemuri vivono, nel sud e ovest dell’isola, sono scomparse molto rapidamente e rigenerarle è molto complicato, e richiede tempi lunghissimi».

Tutte queste diverse problematiche però sembrano ora essere al centro dell’attenzione del nuovo governo del neo-eletto presidente Andry Rajoelina, che molto ha puntato sulla necessità di fermare l’attività di deforestazione e di concentrarsi con più attenzione e vigore sul rimboschimento del paese. Il nuovo approccio del presidente malgascio incontra al tempo stesso il favore e i dubbi dell’Alliance Voahary Gasy. Razakamanarina ha elogiato l’impegno di Rajoelina a confrontarsi con la società civile e le ong, ma allo stesso tempo si è detto perplesso sulla possibilità, avanzata dal governo, di utilizzare i droni per le operazioni di rimboschimento, «fino a prova contraria nulla ha dimostrato che questa tecnica funzioni» ha detto.

 

(Nella foto: ceppi in una valle del Madagascar, causati dalla deforestazione (Dudarev Mikhail, Shutterstock, Ipbes – avvenire.it)

 

Giacomo Quartaroli, Nigrizia, 01 febbraio 2019

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