Diventa più marcata la distanza tra la sicurezza reale e quella percepita. La prova? I reati diminuiscono eppure i cittadini hanno sempre più paura.
E in tanti plaudono alla nuova legge sulla legittima difesa fortemente voluta dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, che salverebbe dall’incriminazione chi uccide per difendersi.
Incrociando i dati del Viminale, del Censis e di Noto sondaggi emerge la fotografia di un Paese dove, a fronte di un calo dell’8 per cento dei reati, un italiano su due ha talmente paura da ritenere la sicurezza il problema più grave dopo l’emergenza lavoro e uno su tre vorrebbe l’introduzione di criteri meno rigidi per il possesso di un’arma da fuoco per la difesa personale.
Secondo il Censis, i più convinti in questa direzione sono le persone meno istruite (il 51 per cento tra chi ha al massimo la licenza media) e gli anziani.
Nel rapporto, realizzato con Federsicurezza, viene sottolineato inoltre l’aumento del numero di persone che possono sparare: nel 2017 in Italia si contano 1.398.920 licenze per porto d’armi (dall’uso caccia alla difesa personale). In sostanza c’è un’arma da fuoco nelle case di quasi 4,5 milioni di italiani (di cui 700 mila minori). Nel complesso, come evidenzia l’analisi effettuata dal Viminale sei mesi fa, i reati sono scesi dell’8 per cento.
Dall’1 agosto 2016 al 31 luglio 2017 erano infatti 2.453.872, mentre dal 1 agosto 2017 al 31 luglio 2018 sono diventati 2.240.210. Più nel dettaglio, si è registrata, nello stesso arco temporale, un’inflessione del 14 per cento degli omicidi (passati da 371 a 319), la riduzione dell’11 per cento delle rapine (da 31.904 a 28.390) e meno 8 per cento dei furti (da 1.302.636 a 1.189.499). Il Censis rivela che Milano era al primo posto con 237.365 reati nel 2016 (il 9,5 per cento del totale), poi Roma (con 228.856 crimini, il 9,2 per cento), seguono Torino e Napoli con percentuali intorno al 5,5.
Ma un conto sono i numeri effettivi, un altro è quello della percezione della sicurezza. “La gente ha paura al punto da ritenere il tema prioritario – osserva Antonio Noto, direttore di Noto sondaggi. L’allarme sicurezza è equamente distribuito sul territorio nazionale, senza particolari distinzioni tra Nord e Sud”.
Ad essere preoccupato per la propria incolumità è il 46 per cento degli italiani, mentre il 33 per cento è d’accordo a incrementare l’uso delle armi per la difesa personale. “E non si tratta solo di elettori del centrodestra – prosegue il sondaggista. Di questo 33 per cento, infatti, il 40 per cento è vicino al centrodestra, un altrettanto 40 per cento non ha ideologie politiche e il 20 appartiene al centrosinistra”.
Tra le altre caratteristiche di questa fetta di cittadini che rivendicano il diritto a sparare in caso di aggressione, il 65 per cento sono uomini, il resto donne, il 50 per cento ha più di 50 anni, il 25 per cento è composto da adulti e il rimanente 25 per cento da giovani. Ma, al di là dei numeri, quali ragioni si annidano dietro la paura della gente e l’aspirazione a farsi giustizia da sé? Secondo il professor Paolo De Nardis, ordinario di Sociologia alla Sapienza e Decano nazionale di sociologia, “un certo clima politico e la complicità mediatica hanno alimentato la paura e la voglia di autodifendersi. Ci stiamo americanizzando, ma in realtà la cultura antropologica degli italiani è fondata sulla solidarietà e non sulla solitudine e la paura, che spingono a considerare le armi come un terzo braccio in grado di risolvere i problemi”.
Il sociologo invita, inoltre, a riflettere su una ricerca secondo cui “in Veneto, dove si registrano più permessi per uso sportivo e venatorio, ci sono meno delitti che in Calabria dove il numero delle licenze è inferiore”. E conclude auspicando “più partecipazione pubblica e una maggiore fiducia nelle istituzioni: non bisogna isolarsi ed essere monadi ma maturare spirito critico”.
(Grazia Longo, La Stampa, 04 dicembre 2018)