Il Vaticano sapeva degli abusi del sacerdote Maciel dal 1943. Una “mafia” l’ha protetto per 63 anni
MADRID-ADISTA. Il Vaticano sapeva dei reati di pedofilia del fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel Degollado, dal 1943. Non si è proceduto contro di lui perché «coloro che lo proteggevano erano una mafia, non erano Chiesa». È quello che ha detto il prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata (la Congregazione per i religiosi), il card. João Braz de Aviz in un servizio del settimanale cattolico spagnolo Vida nueva pubblicato nel numero del 15 novembre 2018. Se è riemerso dalle brume della disattenzione (anche di Adista, confessiamo) è per merito del quotidiano El País che ne riferisce il 2 gennaio, trovando eco su molti media in varie parti del mondo.
Il prefetto si trovava a Madrid perché aveva assistito all’Assemblea generale della Confederazione dei religiosi spagnoli (13-15/11/18). Il settimanale riporta le risposte, tutte interessanti e su vari temi, del cardinal prefetto in un libero scambio con i religiosi, e certo la sua affermazione su Maciel, quella che abbiamo virgolettato all’inizio, è quella che, infine e a ragione, ha fatto maggior chiasso. Peraltro corredata da qualche breve considerazione: «Ho l’impressione – ha detto – che le denunce di abusi cresceranno, perché siamo solo all’inizio. Sono 70 anni di insabbiamento, e questo è stato un tremendo errore». Proprio «il problema attuale ci indica che molte cose nel passato si sono fatte male», «si mentiva». «A quelli della mia generazione – ha lamentato – nessuno parlava di sessualità e questo oggi va ripensato nel quadro della formazione».
È El País a ricostruire con maggiori dettagli il percorso tortuoso e inefficace (fu sotto indagine per ben due volte, nel 1956 e nel 1959) delle denunce contro Maciel, che il quotidiano descrive come «amico di vari papi e il maggiore predatore sessuale della storia recente della Chiesa», «presentato per anni da Giovanni Paolo II come apostolo della gioventù e coccolato da innumerevoli vescovi e cardinali, molti dei quali spagnoli», condannato nel 2006 sotto Benedetto XVI – «mesi dopo la morte del pontefice polacco» – a ritirarsi in Messico dedicando il resto della vita «alla penitenza e alla preghiera», e morto «senza chiedere perdono due anni più tardi, quando una commissione di indagine aveva già portato alla luce senza ombra di dubbio le sue attività delittuose e una vita di bagordi tollerata dal Vaticano» (ebbe anche vari figli da diverse donne). E tuttavia, pur togliendo a p. Maciel il diritto di esercitare il suo ministero di sacerdote, il dicastero vaticano comunicava (v. Adista Notizie n. 29/11) di aver deciso, dopo «attento studio», di «rinunciare ad un processo canonico», adducendo a motivi ufficiali l’età avanzata e la cagionevole salute di Maciel che all’epoca aveva 86 anni. Un ulteriore riguardo, insomma, dopo un annosissimo immobilismo criminale che ha permesso all’abusatore di continuare a delinquere.
«Le denunce delle sue innumerevoli vittime [di pedofilia], alle quali si aggiunsero più tardi quelle delle donne con le quali il sacerdote Maciel aveva avuto figli», seguita El País, «gravarono sulla situazione fino a renderla insopportabile per il Vaticano», ma, «nessuno prese misure. “Non si processa un amico del papa”, argomentavano quelli che dovevano intervenire, in primo luogo il card. Joseph Ratzinger, oggi papa emerito. Maciel era anche amico suo, oltre che confessore del papa polacco in più occasioni».
Ricorda il quotidiano che «appena una settimana prima che Ratzinger [ancora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede] notificasse l’apertura di un’indagine [a carico di Macile], il celebre fondatore dei Legionari festeggiò i suoi 60 anni di sacerdozio con un atto al quale assistettero il papa [Giovanni Paolo II] e il suo segretario di Stato, cardinal Angelo Sodano».
Il papa polacco, un santo.