giovedì, Dicembre 26, 2024

“Il problema della violenza sessuale è politico, non morale”. Intervista a Rita Segato

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Secondo l’antropologa Rita Segato, la rappresentazione della violenza sessuale sui media comporta molti pericoli, primo tra tutti, quello di de-politicizzare il cambiamento che sta avvenendo nella struttura del patriarcato

 

Come interpreti ciò che sta accadendo dopo la denuncia di Thelma Fardin?

Credo sia fondamentale vincolarlo con quanto è accaduto due settimane fa con la sentenza sul femminicidio di Lucia Perez, in cui un tribunale dichiarava che non vi era stato alcun rapporto di potere tra due uomini adulti che hanno fornito della droga a un’adolescente. La società che si è scandalizzata perché un’altra adolescente, della stessa età di Lucia, è stata violentata da un uomo adulto e con più potere, sta dicendo a quei giudici di Mar del Plata che si sono sbagliati e che hanno tradito le attese della società in rapporto alla giustizia. Mi sembra particolarmente importante mettere in rapporto questi due fatti. In secondo luogo, stiamo vedendo che la società argentina viene costantemente avvertita riguardo tali questioni, è divenuta sempre più sensibile nei confronti delle aggressioni, delle molestie e delle diverse forme di abuso di genere, e questa è una buona notizia.

Che ne pensi del ruolo dei media nell’approccio a questo argomento?

Vi è il solito problema della notizia-spettacolo. Credo sia importante capire in che modo i media possano davvero informare su questo argomento. Ciò che abbiamo imparato da femminicidi e altri scandali sessuali precedenti è chiaro: benché i media mettano in mostra la mostruosità dell’aggressore, questo tipo di mostro finisce per diventare una figura accattivante per gli altri uomini, poiché si tratta di un mostro potente. Il mostro è un personaggio prepotente, predatore, segue il modello di ciò che deve essere il soggetto maschile formattato dal mandato della mascolinità. E ciò che l’uomo vuole sempre mettere in evidenza è che in effetti egli può diventare questo tipo di uomo, poiché questo è il suo modo di mostrarsi potente. E’ già accaduto in diverse situazioni, come nel caso di Wanda Taddei, che la mostruosità vuole essere imitata. Esistere sotto la lente mediatica sembra essere oggi per molte persone l’unico modo di esistere. E’ un fenomeno dei nostri tempi. Così come è stato rivisto il ruolo dei media per i casi di suicidio, e vi è una regola mediatica che suggerisce di non mostrarli e di non parlare dell’argomento poiché si sa già prima che la notizia genererà ripetizioni, così occorrerebbe ripensare la copertura mediatica dei casi di violenza sessuale.

Qual è dunque la tua proposta?

Comunicatori, giornalisti ed editori dovrebbero convocarsi a un grande evento, direi di dimensione latinoamericana, in cui dibattere in profondità sulle regole mediatiche da applicare ai casi di aggressione sessuale, e ridiscutere anche il suicidio come misura di queste convenzioni. Poiché non-informare, ovvero disinformare, è anche problematico. Credo che questo tipo di discussione sia indispensabile. Non possiamo andare avanti in questo modo. Nel caso di Thelma Fardin è molto chiaro: vi compare una bambina piangendo, bella, attrice, e che ha avuto in passato anche il suo momento di notorietà. Viene infatti esibita come l’eroina delle favole. E tuttavia non è così che deve essere mostrata. E’ molto pericoloso, perché le eroine delle favole rivivono alla fine l’illusione del principe salvatore.

Come dovrebbe essere mostrata?

Dovrebbe essere mostrata come una soggetta che sta scoprendo la sua propria capacità politica di modificare una struttura, che qui non è che la struttura disuguale del patriarcato. Questo è il suo ruolo. E soprattutto come una soggetta che non ha avuto bisogno di nessun principe: vi è un collettivo di attrici che la sostiene, che promuove la sua denuncia e che la sta accompagnando politicamente. La posizione di vittima, dunque, non basta. Il vittimismo non è una buona politica per le donne. La cosa più importante in questa notizia, e che i media dovrebbero mettere in risalto e ripetere senza riserve, e perfino in eccesso, è che chi sta riscattando Thelma è un gruppo di donne, donne che sono le sue pari, le sue colleghe, le sue sorelle nel processo politico che stiamo vivendo in Argentina e in tutto il continente: le donne salvano le donne e mostrano al mondo ciò che bisogna cambiare. Non vi è un principe eroico. Vi è una politica, qualcosa di più bello, coraggioso e reale. La mano salvatrice viene della nostra amicizia e della nostra alleanza. E tuttavia, ciò che i media e i discorsi mainstream mettono costantemente in rilievo, e ripetono in continuazione, è la scena della vittima, descrivendo l’aggressione ed esibendo il suo dolore “mariano”. Si comprende l’emozione rivivendo quel momento, non deve quindi essere assente, ma la presentazione di una soggetta accusatrice soltanto in virtù del suo dolore morale rispetto a quanto accaduto – che è quanto hanno mostrato i media – non dovrebbe sostituire né deformare o anteporsi alla scena di una donna che è divenuta una soggetta politica e che proprio per questo sta denunciando.

Ma non credi che una vittima deve comunque mostrare in pubblico la sofferenza che le causa il ricordo di quella violenza, poiché altrimenti rischia di non essere creduta? C’è un modello ideale di vittima: se non si mostra sofferente finisce perde credibilità, almeno per un certo tipo di pubblico…

Certo, ma questo deve cambiare. La vittima non ha bisogno di essere buona e pura per essere compresa e creduta come vittima, deve semplicemente essere una persona. Capire questa differenza significa fare quella svolta politica di cui ha bisogno la società affinché questo tipo di cose non accadano più.

Certo, ma come facciamo a spostare questo accento?

E’ proprio questo il punto. Dobbiamo spostarlo perché è scioccante anche per chi è coinvolto con una critica e sta dentro un processo politico, che è il mio processo: l’obiettivo è cambiare il mondo, l’ordine politico patriarcale, un ordinamento sociale che non fa bene a nessuno, né alle donne né agli uomini. Stiamo chiedendo agli uomini di spostarsi, di smarcarsi, di smontare il mandato di mascolinità. Molti lo stanno facendo, lo vedo e ci credo, proprio perché percepiscono che quel mandato li uccide per primi, li ammala per primi, e che finiscono per essere vittime inconsapevoli di questo ordine corporativo, crudele e autoritario, che impera all’interno della corporazione maschile. Dentro questa corporazione, come in ogni corporazione, vi sono uomini che sono più uomini di altri, e uomini che sono meno uomini, è quindi una corporazione gerarchica e maligna, che costringe a dare prove di narcisismo e di crudeltà in ogni momento. E’ proprio per questo che la visione politica femminista, il modo di fare politica secondo uno stile femminile, si sta ricomponendo dopo un lungo periodo di chiusura, di censura, di oblio compulsivo. C’è oggi un fenomeno di ri-comparsa della politicità femminile sullo scenario politico, dopo un lungo periodo della sua negazione come politica. E’ questo che vediamo oggi nelle strade. Ed è anche ciò che si vede, fortunatamente, nell’appoggio di massa che Thelma ha ricevuto da parte delle donne dei collettivi politici femminili del sindacato di attori, così come del resto della società argentina. Dobbiamo celebrare questo successo. Basta di pianti. Non vogliamo semplicemente consolare una vittima che piange. La questione è come facciamo a educare la società a capire che il problema della violenza sessuale è un problema politico e non morale. Come facciamo a mostrare l’ordine patriarcale, ovvero un ordinamento politico che si nasconde proprio dietro la morale. E il problema è proprio che si sta mostrando in termini morali. Ed è chiaramente insoddisfacente mostrarlo in questi termini, per vari motivi.

Quali motivi?

Per esempio, ed è qualcosa che ho visto spesso in questi giorni, mostrarlo in questi termini suggerisce per implicito che soltanto l’uomo è soggetto del desiderio sessuale, la donna viene posta al di fuori di esso. L’uomo desidera, la donna si arrende. Non è questa la mia proposta di una situazione migliore per le donne. La donna è un soggetto pieno del desiderio. La notizia però viene presentata come se la donna non lo fosse, come se fosse soltanto vittima del desiderio maschile. Questo posizionamento mi fa paura, perché è terribilmente conservatore, ovvero, non ci toglie dal luogo della passività.

Ma la denuncia è importante perché ha aperto una porta che non si chiuderà più e che conferma ciò che dal movimento delle donne stiamo affermando da tempo: abbiamo ancora a che fare con la naturalizzazione e l’impunità della violenza sessuale in diversi ambiti….

Ovvio, ma non dobbiamo lasciare che la spettacolarizzazione di questi casi finisca per diminuire questo avanzamento. La glamourizzazione di quanto è successo è controproducente. E’ molto importante quanto sta accadendo, poiché mostra che la società, molte donne e anche molti uomini, siamo insoddisfatti con l’attuale ordine delle cose.

Come lo si può legare con quanto sta accadendo rispetto a Ni Una Menos, gli scioperi delle donne, la lotta per il diritto all’aborto, a quel percorso delle donne di oggi?

Trasformandolo in un fatto politico, ritirandolo dalla morale, e facendo vedere che si tratta di una scena, di una situazione, di una posizione in cui noi come donne, ci siamo trovate molte volte nel lavoro, nella scuola, nell’università e nei rapporti della vita quotidiana. La scena di genere è una scena di potere, non bisogna dubitarne più. La società non ne dubita più… e quindi il diritto ne deve trarre i conti. Abbiamo avuto un successo politico formidabile nel rendere visibile questa scena, e le giovani porteranno avanti questa lucidità raggiunta dalla società…. Non senza dolore o, detto meglio, attraverso il dolore dei femminicidi. E’ chiaro che ogni femminicidio è un attacco a tutta la società, un dolore di tutti.

Il tuo giudizio, dunque, è che come donne stiamo vivendo un grande momento?

Non c’è dubbio. Si tratta di una svolta storica, e la stiamo vivendo in molti e diversi scenari. Con il movimento che abbiamo costruito noi donne, stiamo riuscendo a voltare una pagina della storia. Le narrazioni che stanno emergendo e rendendosi pubbliche mostrano chiaramente che ci stiamo liberando di un certo mandato paterno, patriarcale, violento, crudele, narcisista e punitivo. Ed è attraverso la destabilizzazione di questo mandato che si cambiano le cose, che si cambia il mondo. E’ un momento bellissimo, inedito, di un’intensità senza pari. E tuttavia, d’altra parte, è proprio perché si tratta di un momento piuttosto intenso che dobbiamo restare molto attente.

 

Di cosa dobbiamo guardarci?

1) Attenzione, per esempio, a ciò che chiamo il “femminismo del nemico”, poiché tutte le idee che si coagulano attorno all’idea di un nemico finiscono irrimediabilmente per ricadere nell’autoritarismo o in modi di fare un pò fascistoidi. Il femminismo non può e non deve costruire gli uomini come nemici “naturali”. Il nemico resta l’ordine patriarcale, che a volte può essere incarnato anche da donne; 2) attenzione ai linciaggi, poiché abbiamo difeso per lungo tempo il diritto a un giusto processo, che non è altro che un diritto al contraddittorio, alla contraddizione, alla contro-argomentazione durante il processo giuridico. Linciaggio ed “escrache” non sono la stessa cosa. L’”escrache”, così come lo abbiamo abilitato in Argentina quando lo stato è divenuto genocida, si elabora attraverso un processo, un processo che è di giustizia ma non di “giustizia statale”. Si tratta di una pratica, l’escrache, che potremmo riabilitare anche ora, dato che abbiamo constatato, in casi come quello di Lucia Perez o del jury al giudice Rossi (il quale aveva lasciato in libertà colui che aveva ucciso Micaela Garcia, nonostante la condanna per stupro), che la giustizia ci tradisce. Quando la giustizia statale fallisce appaiono altre forme di giustizia, che però non sono del tutto spontanee, dato che vi è deliberazione, interrogazione, ascolto e la considerazione da parte del collettivo del fatto che vi può essere un errore: è questo il contraddittorio, lo spazio per la possibilità della contraddizione. Il linciaggio invece è una forma di esecuzione senza alcuna garanzia. E’ un’esecuzione sommaria, extra-giudiziale, nel senso che non viene sottoposta a nessuna forma di deliberazione, né statale né della collettività in quanto tale; 3) Attenzione a consegnare la gestione e la negoziazione dei rapporti tra le persone, e specialmente quelle inerenti la sessualità, allo stato. Si tratta di qualcosa che non appartiene alle nostre società: non ha nulla a che fare con la tradizione latinoamericana piegarci alla giuridicizzazione della gestione della vita e dei rapporti interpersonali, e non credo sia un buon obiettivo. Dobbiamo preparare le nostre e i nostri giovani a poter negoziare i loro rapporti attraverso la propria parola e i loro stessi gesti. La consegna di quella gestione dei loro rapporti ad altre istanze può avvenire quando i tentativi di parlare del desiderio e del non-desiderio, al di sopra di ogni parte, tornano impossibili. Le giovani e i giovani devono ri-imparare a conversare. Infine, 4) vorrei finire con la frase straordinaria che mi ha detto un capo della polizia a El Salvador, un paese in cui ho lavorato gran parte di quest’anno: «Spero che la donna del futuro non sia l’uomo che ci stiamo lasciando indietro».

 

 

Intervista apparsa in spagnolo sul sito Pagina 12
Traduzione italiana di Miguel Mellino per il sito Decoknow

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