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“Il percorso di Gesù: una vera conversione”, Battesimo del Signore (don Franco Barbero)

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

ANNO C, 13 gennaio 2019, BATTESIMO DEL SIGNORE; Is 40,1-5.9-11; Sal 103; Tt2,11-14;3,4-7; Lc 3,15-16.21-22

 

Due cose diverse.

 

Quando parliamo del battesimo di Gesù, dobbiamo fare chiarezza, cioè non possiamo pensare ai tanti battesimi che vengono amministrati, quasi sempre a dei neonati, nelle nostre parrocchie. Scrive a ragione don Vittorio Mencucci su Adista del 26 dicembre scorso: “Chi vive a contatto con la gente nella vita pastorale si rende conto che il battesimo è una “cerimonia” bella, che si deve fare, come è usanza nelle famiglie di tradizione cristiana, altrimenti ci si sentirebbe in colpa.

Difficilmente si pensa ad una scelta di senso da dare alla vita e di fatto viviamo come non ci fosse mai stata”.

Molto spesso prevale il rinfresco, spesso il pranzo in ristorante e, in molte occasioni, non mancano le bomboniere. Il tutto avviene tra flash, fotografi d’occasione, dolcetti e salatini e brindisi vari. Si tratta ormai di un rito civile, un’occasione in cui la famiglia “perbene” da’ buona mostra di sé. E così il parroco, chiudendo un occhio e anche l’altro sul fatto che il battesimo esige una scelta di fede, annota diligentemente sul registro parrocchiale il giorno e il nome, i padrini…..con tanto di timbro ufficiale.

Ti puoi domandare: Che razza di iniziazione alla fede cristiana è mai questo? A volte, raramente, il battesimo viene preceduto da alcuni incontri con i genitori, ma questa non è ancora la prassi battesimale più ricorrente.

Questo scenario lascia intendere quanto sia necessario ed urgente ripensare il senso del battesimo nella comunità cristiana.

Ma ora veniamo al battesimo di Gesù

 

Il percorso di Gesù: una vera conversione

Come la pagina evangelica ci documenta, per Gesù il battesimo, un rito comune a molte tradizioni antiche, fu un evento di fede profondamente inserito nel suo cammino personale e adulto della ricerca della volontà di Dio.

Egli, negli anni di Nazaret incontrò la persona, la testimonianza di vita e il messaggio di un certo Giovanni, detto il Battista, profeta itinerante e predicatore infuocato.

Alla “scuola” del Battista il nazareno approfondì il senso della sua esistenza e della sua missione; anzi maturò nuovi orizzonti e sentì crescere nel suo cuore il desiderio vivissimo di portare al popolo l’annuncio che aveva avuto tanta risonanza per lui. Imprigionato il Battista, diventerà predicatore del regno di Dio, come per proseguire l’opera di Giovanni. Ma è estremamente significativo interrogarci su questi anni giovanili di Gesù, sulla sua maturazione di fede a partire dall’educazione di una famiglia tradizionale ebraica.

Consapevole di avere, come ogni creatura umana, il bisogno di crescere, di vedere più chiaro che cosa fare della propria vita, di superare paure ed egoismi, di convertirsi ogni giorno nell’adorazione di Dio e nell’amore dei più deboli, possiamo pensare che l’incontro con il Battista sia stato per lui sconvolgente e determinante.

Una conversione difficile

 

La sua decisione di farsi battezzare nel Giordano e di prendere la strada del Battista non piacque per nulla alla sua famiglia che lo ritenne pazzo (Marco 3) e cercò di distoglierlo da una scelta che lo metteva in pericolo. Fu impossibile fermarlo. Gesù, in qualche modo distanziandosi anche dal suo maestro, sempre più attento alle sofferenze del suo popolo, volle testimoniare che l’azione di Dio e il Suo regno erano già operanti nell’oggi. Irremovibile, amico dichiarato delle persone negate, pieno di fiducia in Dio, parte e lascia la sua famiglia cercando chi voglia coinvolgersi in questa impresa nelle strade della Palestina a favore delle pecore perdute. Gesù aveva piena consapevolezza, maturata nella preghiera assidua, che non stava giocando all’eroe, ma semplicemente accoglieva la proposta che Dio aveva fatto lentamente emergere in lui.
Detto per inciso, anch’io ho fatto molta fatica (nello studio, nella preghiera, nel confronto) ad archiviare il Cristo dogmatizzato, divinizzato, imbalsamato che aveva tutto chiaro in forza di una relazione quasi telefonica con Dio. Si tratta di entrare in sintonia e di mettersi alla sequela di questo Gesù, appassionato adoratore di Dio e umile ricercatore della Sua volontà dentro la vita quotidiana.

 

La voce dal cielo

In questo contesto storico le immagini dei versetti 21 e 22 si illuminano. I cieli che si aprono, il soffio divino che scende e la voce che risuona sono metafore piene di incanto e di efficacia per esprimere ciò che è maturato nell’interiorità di Gesù.
Egli scopre l’orizzonte nel quale muoversi e riconosce in questa scelta il compito che Dio gli assegna. Non si tratta di una sua fantasia, ma di rispondere alla chiamata di Dio.

Mi ha sempre di più coinvolto la figura di questo Gesù tutto proteso alla ricerca del progetto di Dio. Questa è la fecondità della nostra piccola vita quotidiana.

In essa, come fu per Gesù, ciascuno e ciascuna di noi può trovare le tracce per scoprire il senso da dare alla propria esistenza.

Nelle mie inquietudini, nei miei dubbi, nel mio cuore tardo a capire e a convertirsi, nelle mie gioie e nelle mie fatiche lo avverto come un precursore, un reale compagno di viaggio.

Così pure l’immagine del cielo aperto ha continuato e continua ad ispirare la mia vita.

Nei momenti in cui non riuscivo a cucire il pranzo con la cena o mi sembrava che davanti a me non ci fosse prospettiva o quando nell’oggi la fatica è tanta e la strada richiede continue energie, sentire il cielo aperto per me è stata ed è una sorgente di fiducia.

Spesso le chiese cristiane pretendono di chiudere il cielo sulle persone meno fortunate oppure meno allineate al pensiero dominante. Gesù ha compiuto il percorso contrario: ha annunciato che il cielo è aperto sempre e per tutti, a partire da chi vive nell’emarginazione e nel vasto mondo della sofferenza. Costituisce un invito straordinariamente efficace contro chi vorrebbe mettere sulle spalle la croce del destino e dell’infelicità.

Dio apre sempre 

Ma penso che per molte persone sia difficile
o pressoché impossibile vedere un cielo aperto quando si è senza lavoro, senza prospettive per il futuro, senza affetti, senza compagni, senza casa, senza salute…. Quando non hai “un minimo di terra”, cioè di sicurezza e di serenità, come puoi sentire il cielo aperto sopra di te?
Sono sconvolto dal vedere , proprio nella realtà quotidiana, il peso di strutture inique e di crescenti disuguaglianze. Esse chiudono ogni raggio di sole, oscurano il cielo.
Forse solo la solidarietà, l’impegno per la giustizia e il “risveglio degli oppressi” possono riaprire il cielo e far assaporare che Dio non ci ha abbandonati.
La predicazione del Vangelo, se non ci conduce alla lotta per i diritti, è pura retorica. L’amore è oggi soprattutto giustizia sociale o non è. Spesso proprio noi cristiani abbiamo “oscurato Dio” con la nostra esistenza insignificante o alleata con i padroni, i potenti.

Certo le donne, gli omosessuali, i separati e divorziati… hanno spesso trovato un’istituzione che ha chiuso il cielo.

E’ un dono di Dio il fatto che oggi molti pastori e molte comunità cristiane stanno risvegliandosi e coinvolgendosi nella solidarietà verso emarginati e migranti in aperto contrasto con questo governo razzista e contro le varie tirannidi che stanno ripristinando la schiavitù in tante aree del mondo

Belle notizie

Ma c’è un “miracolo quotidiano”: la vita degli ultimi e ultime, dei più sfruttati. Mentre il mondo di noi sazi spesso è addormentato e silente, è dal mondo dei “sotterranei della storia”, dalle donne schiavizzate, dalle fasce più emarginate che si leva il grido vero verso il cielo, verso Dio.
Sono essi che gridano verso un mondo altro, che tengono aperto l’orizzonte. Essi sono i portatori della speranza. E’ il loro grido che va preso sul serio, più che le analisi dei “professori”. E’ nel loro grido che grida Dio. O lo ascoltiamo o la nostra fede si dissolve nel nulla.

 

da: donfrancobarbero.blogspot.com

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