lunedì, Novembre 18, 2024

Giovanni Franzoni. Un cristiano marginale?

Don Paolo Zambaldi
Don Paolo Zambaldi
Cappellano nelle parrocchie di Visitazione, Regina Pacis, Tre Santi e Sacra Famiglia (Bolzano).

Storia e profezia: l’eredità di Giovanni Franzoni: su questo tema la Comunità cristiana di base di San Paolo in Roma il 9 e 10 novembre ha organizzato un convegno, a ridosso dell’8 di quel mese, quando lui, scomparso il 13 luglio 2017, avrebbe compiuto novant’anni. L’evento è stato celebrato nei luoghi che videro maturare, fino ad “esplodere”, le sorprendenti scelte monastiche dell’allora abate della basilica Ostiense, e poi la sua avventura con e nella Cdb San Paolo: la prima sessione si è svolta, venerdì pomeriggio, all’interno del monastero benedettino (e non era scontato!); la seconda e la terza, sabato, nei locali della comunità, distanti cinquecento metri dalla basilica.
Oltre la Cdb, erano presenti molte altre persone: tra esse monsignor Luigi Bettazzi, classe 1923, amico di Giovanni, vescovo emerito di Ivrea, e uno dei pochissimi “padri” del Vaticano II ancora viventi; e il benedettino belga Pierre De Bethune che, per un anno, visse con Franzoni quando questi lasciò l’abbazia. Ha mandato i suoi auguri di buon lavoro Pupa Garribba,
della comunità ebraica romana; e poi il cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis. Il preposito (superiore) generale
della Compagnia di Gesù, il venezuelano p. Arturo Sosa, ha inviato una lettera nella quale, tra l’altro, scriveva: «Giovanni ha rappresentato per me un uomo che cercava umilmente e coraggiosamente di far suo e di vivere e di aiutare a vivere lo spirito del Concilio».

Don Roberto Dotta, abate di San Paolo fuori le Mura, ha aperto i lavori: «È bello avere qui la comunità di san Paolo, fratelli vescovi, monaci, sacerdoti, la moglie di Giovanni, Yukiko, e tutti gli amici». E, dopo aver precisato di aver personalmente conosciuto Giovanni solo negli ultimissimi anni, ha proseguito:

«In tutte le cose bellissime che ha fatto dal punto di vista pastorale, egli ha saputo mantenere un nucleo interno per vivere la sua spiritualità e la sua ricerca di Dio proprio come un monaco».

E infine: «Quando qualcuno mi dice: “Lei è successore di Schuster”, preciso: “Ma anche di Franzoni”. E se uno mi dice: “Lei è successore di Franzoni”, rispondo: “Ma anche di Schuster”». Quindi l’attore Marco Baliani ha letto alcuni paragrafi de La terra è di Dio, la lettera pastorale scritta da Giovanni nel giugno 1973: essa – che denunciava anche le compromissioni vaticane nella speculazione edilizia a Roma – irritò gran parte della Curia, per cui, come questa auspicava, il mese seguente l’abate, di fatto costretto a farlo, si dimise. Luigi Sandri ha quindi svolto una relazione, preparata insieme ad un gruppo della Cdb, in essa rilevando anche «limiti e contraddizioni» della comunità stessa. A rapidi cenni il testo ripercorre le vicende dell’ex abate, ma pur sempre monaco benedettino, nell’aprile 1974 sospeso a divinis per essersi espresso a favore della libertà di coscienza nel referendum sulla legge del divorzio, e nel ’76 ridotto allo stato laicale per aver annunciato che alle elezioni politiche di quell’anno avrebbe votato Pci. E, ancora, data la nuova situazione canonica in cui era stato posto Giovanni, «nella Cdb si avviò una corale ed approfondita riflessione su un problema di straordinaria importanza: i ministeri ecclesiali. Con l’aiuto di illustri esegeti, approfondimmo il pensiero e la prassi di Gesù in proposito: scoprimmo che egli, per i suoi, non parla mai di “sacerdozio”, ma ipotizza “ministeri”, cioè servizi alla comunità, e spiega che solo l’amore per l’altro, tanto più se questi è uno degli ultimi della terra, è sacro». Perciò, «nelle celebrazioni tutti e tutte insieme ripetiamo le parole pronunciate da Gesù nell’Ultima Cena e, indifferentemente, qualcuno o qualcuna di noi ripete il gesto di spezzare il pane. Nel nostro piccolo, “l’altra metà della Chiesa” aveva ritrovato il suo posto, il suo protagonismo e la sua dignità».

È iniziata quindi la tavola rotonda, coordinata da Anna Maria Marlia, della Cdb. Monsignor Paolo Lojudice, dal 2015 vescovo ausiliare per Roma- Sud, ha detto di non aver seguito, da giovane, le vicende di Franzoni: «Solamente due anni fa, o poco più, venni nella Cdb san Paolo, e lì l’ho conosciuto personalmente. Colsi di aver di fronte una persona sicuramente molto, molto particolare, con una storia di vita per tanti versi apprezzabile, o discutibile – su questo punto ognuno può avere una sua opinione – ma che certamente aveva un modo di intendere e di leggere il Vangelo estremamente serio, radicale. E questo a me personalmente ha sempre interessato in modo profondo». E, rilevando che il Vaticano II scombussolò anche molti ecclesiastici, ha osservato: «Tra quanti hanno sentito il Concilio come un evento davvero innovativo, vi è sicuramente Giovanni Franzoni, che lo fece diventare un elemento centrale nella sua vita di fede, fino a rimetterla completamente in discussione». «La violenza ha segnato una certa stagione della Chiesa cattolica e soprattutto della Chiesa italiana: è stata una stagione di violenza, di violenza istituzionale, e Giovanni Franzoni è stato vittima di quella violenza»: questo lo scultoreo giudizio di Alberto Melloni, storico della Chiesa e direttore, a Bologna, della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII (Fscire). Dopo aver evidenziato il trattamento che subì Franzoni, ha notato che ben diverso sarà, invece, quello riservato all’arcivescovo di Boston, cardinale Bernard Law (costretto nel 2002 a dimettersi, in quanto accusato di aver “tollerato” nella sua diocesi diversi preti pedofili): papa Wojtyla, infatti, lo chiamò a Roma, nominandolo arciprete di Santa Maria Maggiore. Melloni ha poi ricordato il commento di quel pontefice, quando, con il professor Giuseppe Alberigo, allora segretario della Fscire, gli presentò il primo volume della Storia del Concilio Vaticano II: «Quando entrammo in quell’Assemblea avevamo la mitria sulla testa. Quando uscimmo l’avevamo ancora, ma la testa era cambiata».

Da parte sua, Marinella Perroni, teologa e biblista, fondatrice del Coordinamento teologhe italiane: «Anche per me, come per molti altri, il nome di Giovanni Franzoni coincide con un’icona dell’epoca post-conciliare, di cui ha incarnato le speranze, le tensioni, il travaglio. Ricordo la commozione con cui ho letto La terra è di Dio, un testo che ha permesso alla mia generazione di dare un ordito biblico-teologico alle nostre irrequietezze e alle nostre speranze». E ancora: «Giovanni, a mio avviso, ha saputo accorgersi che la ricezione del Concilio si giocava in modo forte e deciso nel mondo delle donne». Infine, Luca Negro ha parlato dell’ecumenismo secondo Giovanni: il suo – ha notato – era soprattutto un atteggiamento concreto, che si manifestava nel lavorare fianco a fianco, cattolici ed evangelici, per “fare” Com-Nuovi Tempi e, poi, Confronti. Ma, per illuminare l’aspetto teorico di questo tema, il presidente della Federazione delle Chiese evangeliche italiane ha citato la relazione [vedi Confronti 12/91], che Franzoni, nel novembre 1991, fece all’assemblea della Fcei.

Là, invece di suddividere le Chiese in ortodosse, protestanti e cattolica romana, come si fa di solito, suggerì una diversa classificazione: «Tautologiche, dogmatiche, approssimative.

Le prime, come la Romana, sono quelle che fanno affermazioni ovvie, per poi scendere nel particolare e dare interpretazioni differenziate; le seconde quelle che predicano una dottrina e adottano una pastorale che offre risposte certe a trecentosessanta gradi su tutti i problemi religiosi ed etici». Infine, Chiese “approssimative”, che non vuol dire “pressapochistiche”, ma “che si avvicinano, si fanno prossime”: «Esse considerano bloccato in se stesso l’enunciato dogmatico e inutile la tautologia: perciò si pongono in un cammino di approssimazione alla dottrina di salvezza; esse conoscono molto meglio ciò che lasciano alle loro spalle piuttosto che il mistero cui si approssimano. E se si approssimano lo fanno nel duplice senso dell’approssimarsi alla fonte di vita e del farsi prossime ai momenti dolenti della vita. La separatezza è il loro Satana, la prossimità il loro Sacramento; e comunque è in questa ricerca che verificano la loro provvisoria identità». Le Cdb e le Chiese “protestanti” – suggeriva Giovanni – potrebbero ritrovarsi in questa linea. La serata si è conclusa con un originale spettacolo teatrale a cura del presbitero veronese Marco Campedelli: La passione secondo Giovanni: raccontare la profezia dell’abate Franzoni. L’indomani, la seconda sessione aveva come tema: L’eredità di Giovanni Franzoni: la comunità cristiana di base di san Paolo. La tavola rotonda, coordinata da Gabriella Natta, è stata preceduta da comunicazioni su aspetti della vita e della riflessione della Cdb. Elena Lobina Cocco ha illustrato Il ruolo e il cammino delle donne nella comunità, intervento preparato dal gruppo donne della Cdb: «Esattamente trenta anni fa, nel 1988, a Brescia, le Cdb italiane tennero il loro IX Seminario nazionale che ha rappresentato un punto di svolta sia per le donne che per le Comunità stesse. Titolo: Le scomode figlie di Eva. Le Comunità di base si interrogano sui percorsi di ricerca delle donne. In quell’occasione per la prima volta durante la celebrazione eucaristica mani di donna “spezzarono il pane”». Da allora, gradualmente, nella Cdb si è formato il gruppo donne, che approfondisce l’esegesi dei “Libri sacri” con l’ausilio delle maggiori teologhe femministe e, insieme, cerca di inverare nella prassi anche liturgica quelle acquisizioni teoriche.

Poi, spiegando come si fa La lettura e lo studio della Bibbia in comunità, Antonio Guagliumi ha sottolineato come elemento qualificante di tale impegno il gruppo biblico, che, da oltre quarant’anni, si riunisce una volta la settimana, e che fa partecipe l’intera comunità degli apporti che derivano da una lettura storico-critica delle Scritture. Questo studio ha aiutato a fondare scelte ecclesiali dirimenti della Cdb, avendo mostrato come molte interpretazioni ufficiali della Bibbia siano assai lontane dal senso profondo di un dato passaggio scritturistico, e pongono quindi, per esser fedeli ad essa, l’urgenza di profonde riforme. Purtroppo, ha concluso, tali acquisizioni, pacifiche tra gli esegeti, raramente arrivano ai preti in cura d’anime, e quindi, salvo eccezioni, i fedeli le ignorano, lasciando così crescere una pericolosa divaricazione. Sul Laboratorio di religione, Dea Santonico ha spiegato come Giovanni, per oltre quarant’anni, ogni settimana abbia incontrato bambini/e e adolescenti della comunità non per “indottrinarli” ma per scoprire insieme il senso del messaggio di Gesù e per dar loro gli strumenti, come in un “laboratorio”, perché potessero fare da grandi le loro scelte. Laura Bologna, Sofia Schiattone, Paola Guagliumi, Alice Corte ed Elena Graziani, ex bambine del “laboratorio”, hanno riflettuto su quell’esperienza, interrogandosi su una metafora di Giovanni: «La vita è come il gioco delle carte, non puoi tenerle tutte in mano, qualcuna la devi scartare. Come sarà la tua vita dipenderà dalle carte che deciderai di tenere e da quelle che deciderai di scartare». L’impegno socio-politico della comunità, in questi anni, è stato costante e molteplice: per esemplificare, Antonella Garofalo ha raccontato come nel 2010 sia nata, da un’idea di Giovanni, La sosta. Non lontano dalla sede della comunità, vicino alla stazione Ostiense si erano accampati gruppi di afghani, bisognosi di tutto: per dare loro un momento di respiro, la domenica si è organizzata, per loro e con loro, la serata, che prevede la cena, la possibilità di una doccia e di stare insieme. Dopo queste testimonianze interne alla Comunità, sono intervenute altre voci. Secondo don Franco Barbero – della comunità di base di Via Città di Gap a Pinerolo, che “con riconoscenza” ha dedicato un suo libro alla Cdb sorella –

«Giovanni era un grande accompagnatore, un profeta che non segna la strada, ma accompagna la sua gente e, insieme, cercano la meta. Nella Chiesa cattolica siamo diventati pastori pensando invece di essere dei direttori.

Dobbiamo, piuttosto, accompagnarci a vicenda: questo è il senso dei ministeri nella Chiesa. E una comunità senza ministeri non va avanti. Ma l’accompagnamento non si fa sopra o sotto, il cammino deve essere comunitario».

Da parte sua, Maria Immacolata Macioti, sociologa, ha ricordato un episodio significativo: «In Campidoglio – siamo nel maggio 1994 – si parlava delle cinquanta nuove chiese che il Vicariato voleva costruire a Roma. Intervenendo nel dibattito io proposi: perché, invece di chiese, nelle periferie piene di immigrati non costruire una moschea, o un tempio buddhista o hinduista? E Franzoni, là presente, senza contestare il piano del Vicariato, più saggiamente propose un cinquantunesimo edificio, per dare spazio alle varie credenze, centrato su elementi antropologici, come acqua e pietre. Molti – vi erano anche dirigenti del Comune – applaudirono; ma poi non se ne fece nulla». La terza sessione (Giovanni Franzoni e le sfide del mondo), coordinata dal giornalista Roberto Natale, è stata preceduta da tre testimonianze. Tonino dell’Olio, della Cittadella di Assisi: «Egli ha avuto la capacità di tenere insieme tante perle, ha attraversato tanti mondi, tanti luoghi che vanno molto oltre la comunità di San Paolo. La Palestina, l’ex-Iugoslavia, l’Afghanistan e le altre situazioni di guerra hanno abitato nel suo cuore, con una grande capacità di ascolto delle vittime. Guardava sempre al contributo che le fedi possono dare alla costruzione della pace». E Yousef Salman, medico palestinese: «Tutti i miei fratelli hanno apprezzato il suo coinvolgimento nella nostra causa [Giovanni si recò in Libano per visitare i campi profughi palestinesi]; ha lottato per distruggere tutti i muri mentali». Infine, Gerardo Lutte – cinquant’anni fa impegnato a Roma con i baraccati, e attualmente in Guatemala per aiutare i ragazzi e le ragazze di strada – ha descritto così “Giovanni fuori le Mura”: egli, come Giulio Girardi e tanti donne e uomini, «sono profeti nel tempo della mondializzazione: segnano un mutamento qualitativo nell’evoluzione dell’umanità perché vedono la realtà con gli occhi dei poveri e degli esclusi. Sono persone che abbattono i muri, compresi quelli dei templi di cui non rimarrà pietra su pietra».

Quindi, la tavola rotonda. Vincenzo Vita, già parlamentare: «Franzoni è stato punto di riferimento per tante persone di culture diverse. Con lui il mondo ecclesiale è stato messo in discussione». Erri De Luca, scrittore: «Si vive bene quando si sta dalla parte degli oppressi; quando ci si ribella, quando si conquistano per loro territori e spazi. Giovanni Franzoni si è ribellato. È stato in mezzo alle lotte internazionali, come il Vietnam, così come a quelle italiane sul divorzio e l’aborto». E il gesuita Fabrizio Valletti, impegnato a Napoli nel disastrato quartiere di Scampia: «Ora è possibile confrontarsi anche sul suo rapporto con l’istituzione ecclesiastica, avviando quel processo di riconoscimento e di affermazione che Giovanni “stava dalla parte giusta”. Giovanni era un ”contemplativo politico” perché aveva saputo leggere quei “semi del Verbo” che né la legge ecclesiastica, né le rubriche, né il diritto canonico sapevano evidenziare». Un bellissimo spettacolo teatrale – Giovanni Franzoni, i perduti e i ritrovati – a cura dei giovani della Cdb, ha concluso il convegno. Nostalgie, sorrisi e lacrime; ma anche, senza presunzioni o primogeniture da rivendicare, l’impegno a proseguire nel solco aperto con tanta fatica, audacia e speranza. Alla luce di una frase, che Giovanni amava, dell’aviatore francese Georges Guynemer: «Non si è dato nulla finché non si è dato tutto».

[di Luigi Sandri (Redazione Confronti), Gianni Novelli (Fondatore Cipax), Pubblicato su Confronti 12/2018]

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